GALLI, Federico
Figlio di Angelo e della seconda moglie di questo, Francesca Stati, nacque a Urbino attorno al 1435 da nobile famiglia.
Il padre, uomo d'arme, diplomatico e segretario di Guidantonio, Oddantonio e Federico da Montefeltro, fu uno degli esponenti più rappresentativi della lirica volgare dell'epoca. La madre apparteneva a una casata che aveva dato importanti funzionari alla corte urbinate. "Donna di rara prudenza e soavi costumi", essa fu scambiata per la nonna paterna del G. dal Grossi e venne indicata erroneamente come Francesca degli Atti in una edizione ottocentesca della Vita e fatti di Federigo di Montefeltro di Bernardino Baldi (il ms. vaticano Urb. lat. 1015, che contiene l'opera, riporta invece l'esatta dizione di Francesca Stati in una aggiunta autografa a c. 46r).
Assai scarse le notizie sulla formazione e sugli anni giovanili del G. fino a noi pervenute. Cresciuto nella raffinata atmosfera della corte urbinate, a contatto con gli spiriti più illustri dell'epoca, il giovane fu agevolato nel suo tirocinio dai buoni uffici del padre. Era ancora molto giovane quando fu fidanzato ad Antonia di Pierantonio di ser Paolo di ser Benedetto, come risulta dal relativo instrumentum affinitatis rogato, il 17 dic. 1452, nella casa del padre del G., sita nella città ducale "in burgo Vallis Bone", davanti a Giovanbattista di Bartolo di Sassoferrato e a Pierantonio Paltroni che fungevano da testimoni. Appunto nel Paltroni, segretario e apprezzato biografo di Federico da Montefeltro, la letteratura erudita indicò concordemente - ma a torto - il padre della sposa allora promessa al G.: questa notizia, in ogni modo, è stata ripetuta anche in studi recenti. Il 10 dic. 1459 il G. indirizzò una lettera a Francesco I Sforza, duca di Milano, per annunziargli la morte, di recente avvenuta, del proprio padre, che aveva goduto della amicizia di quel principe.
Nella lettera, tuttavia, il G. non si limitava a dare la triste notizia; coglieva anche l'occasione per supplicare il duca di Milano di accoglierlo al suo servizio.
La grafia dell'epistola, piuttosto bella e regolare, non sembra potersi attribuire alla mano di un adolescente: questo sembrerebbe confermare che il G. avesse già da diversi anni superato la ventina. Alcuni studiosi affermano che già allora egli svolgesse quelle mansioni di "lettore" alla tavola dei signori di Urbino, che è attestato aver ricoperto in epoca successiva, ma ciò appare alquanto improbabile. In quel momento, infatti, non aveva ancora completato la sua formazione culturale e gli mancavano la preparazione e le conoscenze letterarie nonché l'esperienza necessarie per sostenere quell'incarico. Ce ne accerta la sua stessa lettera allo Sforza, la cui prosa ha uno stile piuttosto rozzo e confuso e la cui struttura giustappone in modo abbastanza maldestro e scoperto la natura e il carattere di partecipazione di morte a quelle di autoraccomandazione e di tentativo di esplorare l'animo del duca di Milano per conoscerne i sentimenti nei propri confronti.
Qualche anno più tardi - ma ignoriamo esattamente in quale anno - il G., per il suo aspetto gradevole, la bella voce, la chiara dizione e il vivace ingegno, fu chiamato a corte a svolgere un ufficio adatto a mettere in rilievo le sue doti, quello di "lettore alla taula" del conte di Montefeltro, e, intorno al 1464, fu assunto tra i "secretari in Casa" a ricoprire cioè quella carica, che per tanti anni suo padre aveva detenuto con tutti gli onori. Lo si trae da liste distinte di cortigiani, stilate in tempi diversi, arbitrariamente fuse insieme e così rese note in un suo studio da G. Zannoni. Da quel momento il G. fu utilizzato dal conte Federico per missioni delicate e per incarichi di grande fiducia nell'ambito dei suoi interessi umanistici: l'acquisto e la commissione di codici per la grande biblioteca che si andava costituendo nel palazzo dei Montefeltro. Nel quadro di questa sua attività deve essere visto anche il Registro dei diplomi dei Montefeltro, un prezioso codice da lui fatto confezionare e poi offerto al suo signore nell'autunno del 1469.
Si tratta - come si legge nell'epigrafe augurale in testa alla dedicatoria - di una raccolta di 146 documenti relativi alla storia dei Montefeltro dal 1267 al 3 sett. 1469, data della nomina di Federico a luogotenente generale del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, scelti e ordinati dallo stesso G. con l'aiuto del cancelliere Andrea Catoni. Il codice rappresenta una copia di pregio, esemplata da un registro della Cancelleria comitale di Urbino, oggi conservato presso l'Arch. segr. Vaticano con la segnatura Arm. LX, 21. Nell'epistola di dedica il G. riafferma i propri legami con la casa dei Montefeltro, legami che - dichiara - avevano avuto origine addirittura "in utero matris", con un chiaro riferimento al lungo servizio reso dal padre e dagli ascendenti materni. In essa fornisce inoltre notizie utili alla comprensione di una stagione particolarmente feconda della vita urbinate, in concomitanza con l'inizio della seconda fase dei lavori del palazzo dei Montefeltro.
Nel corso dell'ottavo decennio del secolo si moltiplicano le testimonianze circa il rilievo raggiunto dal G. nella vita pubblica cittadina grazie alla sua attività di segretario di Federico da Montefeltro, e le prove della fiducia che quest'ultimo riponeva in lui. Nel 1475 fu tra i gonfalonieri di Urbino e, proprio in quell'anno, a lui si rivolse per lettera Giovanni Antonio Campano per avere notizie di prima mano necessarie alla biografia di Federico da Montefeltro, che stava scrivendo. Fu nuovamente tra i gonfalonieri di Urbino nel 1476. La raccolta delle lettere cancelleresche di Federico da Montefeltro ci ha conservato un'importante epistola del G. indirizzata all'urbinate Gentile Becchi, allora vescovo di Arezzo e già precettore di Lorenzo e Giuliano de' Medici, oratore e uomo politico. A nome del signore di Urbino il G. proponeva una trattativa di pace, forse per la composizione della guerra seguita alla congiura dei Pazzi. La lettera faceva parte probabilmente di un copioso carteggio intercorso tra i due e costituisce la risposta a una missiva del Becchi del 4 nov. 1478, nella quale, tra l'altro, il presule si lamentava col G. del sequestro dei suoi beni a Urbino.
Il G. partecipò, come tecnico militare per conto di Federico da Montefeltro, insieme con Francesco di Giorgio Martini, alle operazioni militari in territorio senese, che si svolsero nel corso del 1478, dopo la congiura dei Pazzi. Durante questa campagna egli trovò la morte nel dicembre di quello stesso anno.
Lasciava oltre alla moglie, che gli sopravvisse sino al 1520, cinque figli: Girolamo, Antonio, Angelo, Caterina e Lodovica.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Urbino, Sezione di Pesaro, Quadra del Vescovado, vol. 38, c. 4r (17 dic. 1452); Quadra di Posterula, vol. 57, cc. 38v-39r (18 febbr. 1468); Quadra di Porta Nova, vol. 41, c. 6v (24 genn. 1450); vol. 62, c. 9r (6 febbr. 1473); Quadra di S. Croce, vol. 59, c. 50rv (12 dic. 1469); vol. 60, c. 40rv (12 sett. 1471); Atti del notaio Antonio Vanni, vol. 43 (12 nov. 1472); Atti del notaio Federico Guiducci, n. 239, div. I, cass. 10, cc. 111r-112v (28 febbr. 1520); Arch. segr. Vaticano, A.A., Arm. E, 123, cc. 1r-2v; Bibl. apost. Vaticana, Urb. lat. 721, c. 15r; Urb. lat. 728, cc. 18v-20v; Urb. lat. 325, c. 245v; Arch. di Stato di Milano, Arch. Sforzesco, P.E., c. 144r; Urbino, Bibl. universitaria, busta 131: Alberi delle famiglie degli uomini illustri di Urbino formati colle sue giustificazioni da Pier Girolamo Vernaccia (1706), c. 16r; Raccolta d'istromenti e d'altre scritture con cui si giustificano gl'alberi genealogici delle famiglie degl'uomini illustri d'Urbino, che sono stati formati da Pier Girolamo Vernaccia (1706), cc. 111-114; ms. Urbino 60: Vite di alcuni uomini illustri et memorie di famiglie della stessa città (a cura di P.G. Vernaccia, 1720), c. 91v; G.A. Campano, Opera omnia, a cura di M. Ferno, Romae 1495, c. mv; Id., Epistolae et poemata, a cura di J.B. Mencke, Lipsiae 1707, pp. 524 s.; C. Grossi, Degli uomini illustri di Urbino comentario, Urbino 1819, pp. 132 s.; G. Lesca, Giovannantonio Campano, detto l'episcopus Aprutinus, Pontedera 1892, p. 102; Ordini et offitii alla corte del serenissimo signor duca d'Urbino, a cura di G. Ermini, Urbino 1932, p. V; Federico da Montefeltro, Lettere di Stato e d'arte (1470-1480), a cura di P. Alatri, Roma 1949, pp. 75-77; G. Zannoni, I due libri della Martiados di Giovan Mario Filelfo, in Scrittori cortigiani dei Montefeltro, I, Roma 1894, p. 80; Id., Federico II di Montefeltro e G.A. Campano, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, XXXVIII (1903), p. 114; G. Zaccagnini, Lirici urbinati nel sec. XVI, in Le Marche illustrate…, III (1903), pp. 88 s.; L. Nardini, La Contessa delle Palme, in Museum (Bullettino della Biblioteca-Museo ed Archivio Governativi e dello Studio Sammarinese), VI (1924), pp. 44-48; Id., L'arte tipografica in Urbino, in Urbinum, I (1927), 4-5, p. 115; G. Franceschini, Il poeta urbinate Angelo Galli e i duchi di Milano, in Arch. stor. lombardo, n.s., III (1936), pp. 22, 30; L. Michelini Tocci, I due manoscritti dei privilegi dei Montefeltro, in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 206-257; Federico di Montefeltro: lo Stato, le arti, la cultura, a cura di C. Baiardi - G. Chittolini - P. Floriani, Roma 1986, I, Lo Stato, pp. 362, 365, 374 s., 469 s.; II, La cultura, pp. 27 s., 235.