FEDERICI, Federico
Nacque da Cristoforo di Pier Battista e da Nicoletta Rossi in data collocabile intorno al 1570; non è noto il luogo di nascita.
La famiglia, originaria di Sestri Levante, dove manteneva delle proprietà (che il F. ampliò), era trapiantata a Genova, secondo alcuni repertori genealogici, sin dal 1280. Ma aveva posseduto Sestri Levante, in tutto o in parte (la cosiddetta "isola" soltanto), cedendola a Genova nel 1418 in cambio della franchigia perpetua dalle avarie, concessa a Lorenzo Federici nel 1430. Nel 1443 Giovanni Federici ("attavo", trisnonno, del F.), già comandante di una galea nella flotta di Biagio Assereto vittoriosa su Alfonso d'Aragona e passato poi al servizio del re, venne da questo creato conte di Martorano, nel Regno di Napoli, console dei Catalani, Napoletani e Siciliani a Genova e gratificato in perpetuo di 8.000 tratte annue di grano. Il F. possedeva, nel 1640, un dipinto di ignoto raffigurante l'investitura di Giovanni. Le genealogie più attendibili attribuiscono a Giovanni Federici prime nozze con una Cattaneo e seconde nozze con una Doria, dei signori del Sassello; una figlia di Giovanni avrebbe sposato un Ravaschieri, dei conti di Lavagna. Tuttavia il padre del F., Cristoforo di Pier Battista, giureconsulto, venne ascritto al patriziato genovese soltanto nel 1563, e aggregato all' "albergo" (consorteria) dei Salvago, al quale apparteneva sua madre Nicoletta. Perché i Federici fossero rimasti esclusi dal Liber civilitatis redatto al momento della riforma del 1528 non è chiaro. Non vi accedettero nemmeno nel novero degli aventi diritto dimenticati al momento della riforma (ex oblitis), ascritti entro il 1543- Probabilmente continuavano a risiedere, da notabili di Riviera, a Sestri Levante o altrove; un ramo della parentela si trasferi nel Cinquecento alla Spezia (un Federici di questa località, lontano cugino di Federico, chiese invano l'ascrizione alla nobiltà nel 1626). Nonostante il passato illustre (il F. collocava la propria famiglia tra quelle discendenti dagli antichi conti di Lavagna, insieme ai Fieschi e ai Ravaschieri), l'inserimento dei Federici nel ceto di governo genovese era dunque recente e le risorse limitate; i repertori di storia ecclesiastica non confermano quanto riportato in alcune genealogie: che un fratello di Cristoforo e zio del F., il reverendo Nicolosio, fosse vescovo di Brugnato, segnale di uno status di riguardo.
Il padre del F. venne ammesso nel Collegio dei giureconsulti di Genova nel 1554 e morì nel 1600. Comparve da solo nella capitazione della nobiltà del 1593. Il F. dovette perciò nascere attorno al (o poco dopo il) 1570, visto che proprio verso il 1593 ebbe un primo figlio naturale, Gio. Cristoforo (Ottavio al fonte battesimale), ascritto al patriziato nel 1612. La madre del F., Nicoletta Rossi quondam Alessandro, apparteneva a una famiglia di nobiltà "nuova", rappresentata ai vertici della politica genovese nel tardo Cinquecento da suo fratello Marco, senatore per un biennio e più volte elettore dei Consigli. Nella tassa del 1593 a Marco Rossi venne attribuito un imponibile di 53.000 lire circa; a Cristoforo uno di 20.000, che lo collocava nella fascia delle fortune non ragguardevoli (e lo escludeva infatti dall'elenco dei contribuenti con un imponibile superiore a 35.000 lire). La condizione economica del F. restò sempre mediana. Nel 1624 il suo imponibile era di 70.000 lire; nel 1636 di 53-388 lire; alla tassa del 1630 per la costruzione delle nuove mura di Genova pagò un'imposta di 40 lire: a metà strada in una scala che andava, per i patrizi, da 8 a 100 (0 200 per le fortune di rilievo) lire. "De mediana fortuna" giudicò il F. una fonte esterna come l'inviato spagnolo, nel 1634. Nel testamento del 1640 il F. ricordò di aver speso più di 700 scudi d'oro soltanto per raccogliere "scritture importantissime" sull'antichità e i privilegi del suo casato ("senza concorrenza di alcuno delli Federici", puntualizzò). Possedeva tra l'altro, non sappiamo se per eredità o per acquisto, un Raffaello ("un Christo in grembo alla madre e S. Gio.") e un crocifisso "d'avolio in quadro d'ebano" di Michelangelo. Aveva effettuato acquisti di terre presso Sestri Levante, dove possedeva una "casa, con torre". A Genova abitava, verso la fine della vita, nella contrada della chiesa e convento di Castelletto.
In data imprecisata il F. sposò Maddalena Ponte (famiglia non numerosa e destinata a estinguersi nel primo Seicento, ma non priva di risorse: nel 1593 Matteo Ponte vantava un imponibile quasi quadruplo di quello del padre del F.), dalla quale ebbe i figli Giacinto e Gio. Carlo, nati rispettivamente verso il 1600/1602 e il 1606/1607. Nel 1628 sposò in seconde nozze, a Sestri Levante (officiante il vescovo di Brugnato, uno Spinola), Vittoria De Franchi quondam Bernardo, del ramo dei Figone, vedova di Carlo Federici, un lontano cugino del F. appartenente a un ramo della famiglia non ascritto alla nobiltà e trapiantato alla Spezia. Da Vittoria aveva avuto sin dal 1615 Francesco Leandro, legittimato dal Senato e ascritto al Liber nobilitatis insieme coi fratellastri Giacinto e Gio. Carlo il 1º giugno 1627 (il 30 maggio 1635 Francesco Leandro ottenne dai Collegi, nei quali sedeva allora il padre, patenti onorevoli e il permesso di andare a militare nelle armate imperiali: scelta controcorrente rispetto all'antispagnolismo di Federico).
Il F., come attesta la sua attività, dovette compiere buoni studi. Si ignora però dove e quali. A differenza dei padre, non fece mai parte del Collegio dei giureconsulti. Raggiunse inoltre i vertici del ceto di governo genovese tardi, tenuto conto della sua levatura intellettuale, e dell'interesse per la politica manifesto nella sua opera. Venne infatti imbussolato nell'urna del seminario, premessa per entrare a far parte del Senato e della Camera, solo nel 1632 (gli oligarchi di successo vi entravano appena compiuti i quarant'anni prescritti dalle leggi; ma il padre del F. non vi era mai stato eletto). Difficile che su questo ritardo influisse la carcerazione di circa un mese subita durante il dogato di Gerolamo Assereto (1607-1609) per aver schiaffeggiato il cancelliere del magistrato di Sanità, del quale il F. faceva in quel momento parte: le carcerazioni inflitte dal Senato a patrizi impertinenti non erano rare, come attesta un appunto steso verosimilmente dallo stesso F., e non danneggiavano troppo le carriere. Fu estratto come membro del Collegio camerale (procuratore) per il biennio 10 luglio 1633-30 giugno 1635. Si trovava dunque al vertice del governo quando, nel 1634, venne finalmente stipulata la pace tra la Repubblica di Genova e il duca di Savoia. Reimbussolato nell'urna del seminario nel 1637, divenne senatore il 1º genn. 1646.
Morì in carica dopo il 7 marzo 1647, data dell'ultimo codicillo al suo testamento, e verosimilmente appena prima del 18 marzo, quando fu sostituito nel Senato (dovette però commissionare il suo ritratto "in abito senatorio" in occasione della presenza nel Collegio camerale, visto che lo possedeva già nel febbraio 1640). Il F. fu tra i trenta elettori dei Consigli nel 1639 e nel 1645: una presenza sporadica, coincidente con il periodo della sua massima attività pubblica. Nel luglio 1635 fu eletto al magistrato di Terraferma. Nel 1637-1638 fu governatore di Savona: e forse in occasione di questo incarico commissionò o acquistò una "Savona ad oglio in quadro grande". Tornato da Savona fu eletto all'ufficio dei Poveri. Nel complesso una carriera pubblica non di primissimo piano.
Il F. ricevette a tre riprese il pubblico plauso dei Collegi, che il 21 apr. 1634 lodarono la sua opera sulle antichità genovesi, il 26 giugno 1635 gli accordarono di custodire le sue opere in un apposito armadio nell'Archivio del governo, e il 30 marzo 1645 lo incaricarono della revisione del libro dell'abate Pier Battista Borghi sulle onoranze regie della Repubblica di Genova.
Insieme col più vecchio Antonio Roccatagliata, col più anziano di una generazione Giulio Pallavicino, e coi coevi Giulio Pasqua, Agostino Franzone, Giambattista Cicala, il F. fu un protagonista della ricerca antiquaria e dell'erudizione genealogica e storico-politica genovese di fine Cinquecento e della prima metà del Seicento. Come gli altri era un patrizio; più degli altri legò l'impegno antiquario alla difesa della politica della Repubblica, sposando al ruolo di ideologo delle "affermazioni di sovranità" genovesi quello di collezionista instancabile di notizie storiche e genealogiche, forse in vista di una ricostruzione complessiva della storia genovese che non venne mai realizzata. Fu inoltre un combattivo protagonista del dibattito politico interno all'ofigarchia, polemizzando contro la Spagna e criticando il rapporto che dal 1528 in poi si era stretto tra la Repubblica e il sistema asburgico.
Insieme con Giulio Pallavicino il F. fu tra gli incaricati di rivedere il testo degli Annali di Genova lasciati manoscritti dal Roccatagliata (morto nel febbraio 1608; ma il decreto di nomina di una commissione di revisori delle sue carte risale al settembre successivo) e la grande messe di appunti sulla storia politica cittadina raccolti dall'ex cancelliere della Repubblica. Materiali del Roccatagliata finirono inclusi tra le carte lasciate a sua volta dal F.; e suoi testi vennero inclusi in collettanee di Agostino e Tommaso Franzone. Nell'inventario dei manoscritti che legò alla Repubblica il F. incluse una compilazione acquistata da Giulio Pasqua. La circolazione di testi e copie nel ristretto ambiente dei patrizi antiquari genovesi era evidentemente intensa e abituale. Gli interlocutori locali del F. erano del resto i colleghi di governo e di curiosità erudite; tra questi anche Raffaele Della Torre, che partecipò alle stesse battaglie pubblicistiche del F., e ne condivise alcuni orientamenti ideali e politici. Al Franzone il F. fu vicino nel rifiuto delle tesi esposte nel secolo precedente, durante la polemica sulle origini e i caratteri del patriziato genovese, da monsignor Oberto Foglietta, il quale aveva sostenuto il carattere politico della dignità nobiliare a Genova. Negli anni '20 e '30 del Seicento il Franzone, nel suo dialogo Aristo (steso a varie riprese fra il 1623 e i primi anni '40), e il F., nello Scrutinio della nobiltà ligustica (completato, stando a una delle copie, nel 1638), vollero invece retrodatare al Medioevo la nobiltà di tutte le casate governanti cittadine. Il F. distingueva nobiltà "feudale" e "civile", distribuendo nell'una o nell'altra le famiglie pervenute al governo del Comune o della Repubblica: nella feudale si premurò di includere la propria famiglia e il ramo dei Salvago (i Nepitelli) al quale era appartenuta sua nonna.
Al Della Torre il F. fu affiancato nella replica al Ragguaglio di Parnaso steso dal fuoruscito Gian Antonio Ansaldi, complice del cospiratore Giulio Cesare Vachero, nel 1627. Nel settembre dello stesso anno ricevette da Agostino Pallavicino, più tardi doge ed esponente anch'egli degli ambienti antispagnoli, una copia del testo dell'Ansaldi, al quale replicò prontamente, difendendo le benemerenze della Repubblica. Come Della Torre il F. partecipò alla difesa delle ragioni di Genova sul marchesato del Finale, dalla fine del Cinquecento occupato dal re di Spagna: enclave che spezzava la continuità del controllo genovese sul Ponente ligure, nonché spina nel fianco del commercio genovese e delle dogane di S. Giorgio.
Nel febbraio 1634 il F. finì di stendere una lettera a Gaspare Scioppio, passato per Genova nei mesi precedenti, nella quale elencava le glorie genovesi. Pubblicata nello stesso anno, la lettera andò alle stampe, rivista, nel 1641, con minime aggiunte. Non sfuggì però al pio abate M. Giustiniani, che già rimproverava al F. di aver omesso il ricordo dei fanciulli Giustiniani martirizzati a Chio nel 1566, l'inserimento tra le glorie marinare genovesi di Sinan Bassà, cioè il rinnegato Scipione Cicala.
Il più intenso impegno pubblicistico del F. coincise con l'insorgere dei contrasti tra Genova e il tradizionale alleato e protettore, la Spagna, e soprattutto con il tentativo della Repubblica di affermare la propria posizione nella gerarchia delle potenze assumendo la dignità di nesta coronata", come fece nel settembre 1637. Di lì l'opportunità di scavare le memorie della Corsica (sulle quali intervenne con uno scritto del 1634 indirizzato all'ambasciatore genovese a Roma Giambattista Lazagna), il cui possesso rafforzava le pretese dei Genovesi alla corona regia. Di lì la necessità di rintuzzare, sempre nel 1634, le "pretensioni ridicole" di precedenza sulla Repubblica avanzate dai Cavalieri di Malta sin dal tardo Cinquecento. Nel marzo 1637 il F. stese una memoria, indirizzata all'ex doge Gian Luca Chiavari, sulla forma della corona regia, memoria sostenuta da una precisazione polernica contro la rappresentazione, equivalente al "berrettone ducale", che della corona di Genova aveva dato Agostino Mascardi. Allo stesso anno andrebbe datato secondo Ciasca il "Discorso... perché non si deliberasse di mandar Ambasciatore in Spagna mentre non si dovesse coprire" (Istruzioni..., III, p. 42), collegato alla mancata missione a Madrid di Agostino De Mari, avendo il re preannunciato al governo genovese che non gli avrebbe concesso il diritto di coprirsi in sua presenza.
Qualche anno dopo, nell'autunno 1641, il F. inviò al nuovo ambasciatore genovese a Madrid, Costantino Doria, una memoria di "Alcuni meriti della Repubblica di Genova con la Corona di Spagna oltre di quelli che ha non minori, con gli antichi Re di Napoli, e di Sicilia che per hora si tralasciano ". Nello scritto, che Doria fece tradurre in castigliano l'anno seguente, il F. ricordava non solo la lealtà di Genova all'alleanza spagnola, ma più ancora l'appoggio finanziario e logistico che questa ne aveva tratto. "Le contrattationi con le quali si affacilita il giro cotanto necessario del denaro, da Provincia a Provincia, le munitioni, gli armamenti et apparecchi maritimi somministrati da' Genovesi, tanti marinari, e tanti capitani che servono Sua Maestà sono dignissime di alta considerazione, non havendo forsi Sua Maestà Provincia alcuna sua propria dalla quale riceva né tanti comodi né tanti obsequi quanto dalla Repubblica nostra la quale è propugnacolo et antemurale dello stato di Milano, e scala molto opportuna a' regni di Sua Maestà in Italia".
Tutti questi scritti commissionati dal governo costituivano l'attività pubblicistica palese del F., accanto alla quale esisteva però un impegno sotterraneo di polemista accanitamente antispagnolo, trasfuso in alcuni interventi destinati evidentemente a circolare tra i colleghi patrizi, persuadendoli a schierarsi contro la Spagna. Nella relazione sugli orientamenti dei patrizi genovesi verso la Spagna redatta nel maggio 1634 l'ambasciatore del re Cattolico a Genova, don Francisco de Melo, aveva già lucidamente classificato il F. come "mal afecto a Su Magestad", cioè antispagnolo: orientamento che l'ambasciatore estendeva ai figli del Federici. Giudizio analogo cadeva anche su Agostino Franzone e soprattutto su Raffaele Della Torre.
Il F. attinse alla pubblicistica e memorialistica genovese precedente e coeva (conosceva gli scritti di Andrea Spinola; utilizzava il diario del doge Alessandro Giustiniani), ai documenti conservati negli archivi e nelle biblioteche di famiglia (dei Sauli, ad es.) e alla panflettistica antispagnola corrente (gli scritti di Antonio Pérez) per presentare nella, luce più cupa la politica della monarchia spagnola verso Genova. L'esempio più brillante è forse costituito dal "Discorso del Signor Federico Federici sotto nome di Don Bernardino di Mendozza fatto in Consiglio di Stato nella pratica delle cose di Genova con l'occasione della venuta in corte del signor Adam Centurione mandato dalla Republica a sua Maestà Catolica l'anno 1548". Prendendo lo spunto dalla rievocazione di un episodio celebre di metà Cinquecento (il rischio che dopo la congiura dei Fieschi gli Spagnoli si assicurassero di Genova introducendovi una fortezza e una guarnigione), il F. segnalava come il coinvolgimento degli uomini d'affari genovesi nel sostegno finanziario del re di Spagna avesse rappresentato una forma di controllo sulle cose della Repubblica assai più efficace della presenza militare. Il testo non è databile con precisione: ma si trova compreso in una miscellanea di scritti federiciani che comprende interventi scaglionati dal 1627 al 1642 e riflette gli umori circolanti tra il patriziato negli anni Trenta.
Sicuramente agli anni Quaranta risale invece il più dettagliato testo antispagnolo del F.: Disegni spagnoli osservati da Federico Federici per benefitio della sua Patria. Qui egli ricapitolava un secolo di torti, prevaricazioni e insidie alla libertà inflitte dalla Spagna a Genova, riprendendo i temi dei suoi interventi ufficiali, dalla questione del Finale alla controversia con Malta, al difficile riconoscimento della corona regia. Particolarmente eloquente la parte propositiva dello scritto: convinto che la monarchia di Spagna, minata dalle ribellioni di Catalogna e di Portogallo e dai rovesci militari, fosse senz'altro avviata al declino, il F. proponeva addirittura che Genova riscuotesse i crediti che vantava nei confronti del re, occupando una parte dello Stato di Milano e tenendolo in pegno, alleandosi poi con tutti i nemici della Spagna. Mentre esortava ad "antepor la libertà all'azenda", il F. non mancava di propugnare, come prima di lui altri esponenti dell'orientamento patriottico detto "republichista", anche il ritorno dei Genovesi alla mercatura e alla marineria, abbandonando i rischiosi investimenti finanziari. Politicamente e militarmente del tutto irrealistico, il suo progetto era l'espressione più estrema dei pensieri reconditi dei settori antispagnoli del ceto dirigente genovese, impegnati in quegli anni in una sottile e sorda lotta per influenzare la politica della Repubblica.
L'ultima fatica di rilievo del F. fu un lavoro antiquario, collegato al suo radicato interesse per la ricerca genealogica: stavolta però non un quadro d'insieme, ma la storia di una singola casata: Della famiglia Fiesca. L'opera venne completata all'inizio del 1645, poiché ricevette l'imprimatur degli inquisitori di Stato il 13 febbraio di quell'anno. Il F. sosteneva la parentela dei Fieschi con le principali casate d'Italia e d'Europa, facendoli discendere dalle case di Borgogna e di Baviera. L'interesse dello scritto non sta però tanto nello scontato atteggiamento encomiastico, quanto nel fatto che il F. avesse scelto una casata che a metà del Cinquecento aveva perso il suo ruolo preminente sulla scena cittadina per aver congiurato contro i consorti oligarchi. Il F. concludeva infatti menzionando "l'intemperanza di Gian Luigi ... il quale con la vastità di tant'eminente stato non potendo tolerar ch'altri sormontasse con favori stranieri ad uguale e forsi maggior riputatione della sua, temendo di cadere precipitò nel profondo dell'abisso tutte le glorie de' suoi antepassati con la sua infelice morte fatale" (c. 49v). Giustificazione di un'impresa colpita da un secolo (l'uscita del lavoro anticipava di poco il centenario della congiura) da una vera damnatio memoriae, e allusione assai ostile ai Doria: arrivati legati agli stranieri (si legga: agli Spagnoli) che avevano insidiato i genovesissimi Fieschi. Il F. non mancava neppure di onorare i discendenti dei Fieschi di metà Cinquecento espatriati in Francia, le cui rivendicazioni avrebbero dato pretesto di li a qualche decennio alle ostilità di Luigi XIV verso la Repubblica.
L'attività politica ed intellettuale ancora per larga parte oscura del F. trova i centri unificanti nell'attenzione per la ricostruzione dell'identità storica del patriziato genovese e nella difesa accanita e non priva di sbavature (l'erudizione del F. era vasta, ma non esente da errori ed esagerazioni) della dignità e del ruolo di Genova sulla scena internazionale. La sua sotterranea attività di polemista, che può riservare forse qualche altra sorpresa, testimonia della vivacità del dibattito politico genovese del pieno Seicento, nel quale la posizione del F. si caratterizzò per un insolito, benché clandestino, estremismo.
Opere: Lettera ... al signor Gaspare Scioppio nella quale si narrano brevemente alcune memorie della Repubblica Genovese. Con le postille e prove in fine di essa dell'istesso autore, Genova 1634, e Milano, 1634; nuova edizione, Genova, 1641; Lettera ... scritta ad un amico, nella quale si narrano alcuni meriti più importanti della Sereniss. Republica di Genova verso la Santa Sede Apostolica Romana, Genova 1642; Della famiglia Fiesca. Trattato..., Genova 1646.
Nonostante le reiterate disposizioni testamentarie perché i suoi scritti venissero conservati nell'Archivio della Repubblica, e l'effettiva consegna al governo di gran parte del materiale da lui raccolto, già gli autori dei repertori secenteschi di scrittori liguri lamentarono la dispersione delle fatiche del F., che non hanno mantenuto una collocazione omogenea neppure nell'antico Archivio governativo. Un censimento completo dei manoscritti del F., di cui si trova copia in tutte le sezioni di conservazione delle biblioteche genovesi, in molte d'Italia, e probabilmente nelle principali d'Europa, resta da fare. Quelle che seguono sono soltanto alcune prime indicazioni.
Archivio di Stato di Genova: Manoscritti: 46-49 (Collectanea da lui [Federico Federici] compilate con incredibile ed infinita fatica per conservare memoria delle attioni illustri della Liguria), 50 (Memoriae Ianuensium), 51 (Discorso contro i Cavalieri di Malta), 112-114; 440 (miscellanea genealogica comprendente copia del trattato sulla famiglia Fieschi), 798 (Scrutinio della nobiltà ligustica), 803 (minuta autografa della Lettera ... al s.r Gasparo Scioppio nella quale si narrano alcune memorie notabili della Rep.ca Genovese. In appendice la lettera del padre Monoti al padre Camogli, dove si rilevano alcune inesattezze dei F. su punti di storia non genovese; e una risposta in terza persona dello stesso F. al Camogli); Manoscritti della Biblioteca 122 (cc. 158-161: Memorie del Regno di Corsica del s.r Federico Federici mandate a Roma l'anno 1634 al m.co Gio. Batta Lazagna residente per la nostra Ser.ma Republica; cc. 161v-164v: Discorso della Corona Regia di Federico Federici all'ill.mo sig.r Gio. Luca Chiavari); Manoscritti ex Parigi 14, passim (contiene copie ed estratti di documenti e testi sui rapporti tra Genova e la Spagna e su questioni di politica genovese, di mano del F., in particolare, a cc. 392 ss. i Disegni spagnoli osservati da Federico Federici per benefitio della sua Patria).
Genova, Archivio storico del Comune, Manoscritti Brignole Sale: 103.C.8 (Scrutinio della nobiltà genovese); 103.D.9 (Scrutinio della nobiltà delle famiglie che hora sono al governo della Repubblica di Genova); 104.F.5-6 (Collettanei o sia Fasti delle cose della Liguria raccolti da me Federico Federici al origine sino e per tutto il 1528…, voll. 2); 104.F.7 (Scrutinio della nobiltà ligustica composto da Federico Federici e copiato dall'originale ad litteram lo anno 16..); 106.D.20 (miscellanea catalogata sotto il titolo di uno dei testi in essa contenuti: Discorso di me Federico Federici perché non si deliberasse di mandar ambascerie in Spagna...; contiene inoltre, a cc. 23-28, Discorso del s. Federico Federici sotto nome di d. Bernardino di Mendozza fatto in Consiglio di Stato nella pratica delle cose di Genova...; a cc. 31-41: Memorie notabili del Regno di Corsica, a cc. 43-68v: Discorso... intorno alle pretensioni ridicole de Cavalieri di Malta; a cc. 109-132v: Raguaglio di Parnaso... contro quello del traditor Ansaldi 1627; a cc. 160-218v: Ristretto... per sostener il Ius... che la Rep.ca di Genova ha nel Marchesato del Finale...); 107.C.11-13 (Famiglie nobili genovesi, voll. 3: manca il tomo I); 107.C.14 (Scrutinio della nobiltà ligustica composto dal signor F. Federici).
Genova, Biblioteca civica Berio: Fondo Brignole Sale 107.C.10 (Famiglie nobili genovesi, I vol.); Manoscritti rari IV.4.42, VI.5.29, VIII.4.19, IX.2.23, IX.5.1, IX.5.8 Trattato della famiglia Fiesca ...), XV.4.5, XV.4.6, XV.5.8.
Genova, Biblioteca universitaria: Manoscritti Rari VII.70.A.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Antica finanza 237; Archivio segreto 860, p. 179; 876, c. 80v; 884, c. 99v; 886, c. 80v; 890, c. 89v; 896, c. 31; 1655, doc. 20; 2833, docc. 235, 236; 2860, docc. 66, 70; Camera 2605; Corsica, Litterarum 1620; Manoscritti 440, p. 21; 476, pp. 234, 240, 244; 478, p. 50; 481bis, pp. 487-494; 494, cc. 132v-133; 496, cc. 118v-119; Manoscritti della Biblioteca 169; Notai antichi 5792, 6802; Genova, Arch. storico del Comune: Manoscritti 338; Manoscritti Brignole Sale 105.E.9, agli anni 1632 e 1637; Ibid., Biblioteca civica Berio, Manoscritti rari IX.3.9, cc. 188-197v; B.VIII.2.28, pp. 458 s.; Parigi, Bibl. nat., Manuscrits français 1607; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, I, Spagna (1494-1617), Roma 1951, p. 323; II, Spagna (1619-1635), ibid. 1955, p. 333; III, Spagna (1636-1655), ibid. 1955, pp. 22, 42, 92, 117, 128, 206, 222; IV, Spagna (1655-1677), ibid. 1957, pp. 78, 83 ss., 87 ss., 195, 207; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri..., Roma 1667, pp. 209 s.; R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova 1667, pp. 90 s.; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, pp. 174 s.; G. Beltrando, Succinta narratione dell'antica e nobile famiglia de' Federici, Palermo 1691; G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, III, Genova 1825, pp. 54-57, 211; G. Banchero, Il duomo di Genova illustrato e descritto, Genova 1855, p. 326; Un autografo del Borgo al F., in Giornale ligust. di archeol., storia e letter., n.s., XXII (1897), pp. 223 s.; L. Volpicella, I libri dei cerimoniali della Repubblica di Genova, Sampierdarena 1921, p. 262; R. Ciasca, Affermazioni di sovranità della Repubblica di Genova nel secolo XVII, in Giorn. stor. e letter. della Liguria, XIV (1938), pp. 81-91, 161-181; Id., LaRepubblica di Genova "testa coronata", in Studi in onore di A. Fanfani, Milano 1962, IV, pp. 303 s., 313; G. 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