CHESSA, Federico
Nacque a Sassari il 4 febbr. 1882 da Salvatore e Maria Giuseppa Piras. Dopo aver compiuto gli studi universitari nella facoltà di giurisprudenza dell'università di Sassari e aver lavorato presso la Cassa per le assicurazioni sociali, intraprese e proseguì la carriera accademica, divenendo professore ordinario di economia politica nel 1927 e insegnando prima nell'università di Sassari e poi, dal 1930, in quella di Genova, della cui facoltà di economia e commercio fu preside nel corso degli anni Cinquanta.
Nel complesso, l'opera del C. è caratterizzata da due motivi fondamentali. La riflessione sulla storia delle teorie economiche, che fu il costante punto di riferimento dei suoi successivi tentativi di offrire ampie sistemazioni generali della scienza economica, e la considerazione dei fenomeni e processi storici dai quali questa scienza trae il materiale per le proprie generalizzazioni e nei quali deve quindi, alla fine, trovare applicazione. Questi due motivi vengono via via precisandosi nel corso di un itinerario personale sostanziato dalla predisposizione di una gran massa di riferimenti alla diversità degli assetti istituzionali, giuridici e politici nei quali si svolge l'attività economica, e confluiscono in una concezione che rappresenta una combinazione del punto di vista del liberismo economico tradizionale, cui il C. era legato per formazione, e di quello dell'interventismo statale.
Il C. vide realizzata questa combinazione, prima nell'economia corporativa, che, negli anni Trenta, gli sembra essere "la logica conseguenza dello sviluppo dell'economia moderna", o la via intermedia tra i "due opposti procedimenti di organizzazione della vita economica (ordinamento individualistico-liberale e ordinamento comunista)" (Economia politica corporativa, Torino 1941, I, p. 130), e poi, definitivamente acquisita nelle nuove strutture economiche e politiche del dopoguerra. Del resto, egli interpretò il corporativismo in termini non implicanti una sistemazione totalitaria dello Stato e della società, come invece aveva sostenuto, con sfumature diverse, da Volpicelli a Bottai, la dottrina fascista.
I primi lavori del C. rivelano, ancora in forma embrionale, i tratti di questa concezione. Particolarmente significativa al riguardo non è tanto l'indagine giovanile sull'economia agraria sassarese nei primi anni del secolo (nel 1906 egli pubblicò sulla Riforma sociale un articolo su Le condizioni economiche e sociali dei contadini nell'agro di Sassari), nella cui redazione, come lo stesso C. ricorda in opere successive di economia agraria, gli fu essenziale la guida del maestro F. Coletti, quanto piuttosto la problematica affrontata nei saggi scritti nel periodo bellico. E segnatamente nell'investigazione dei caratteri della produzione a domicilio e dei suoi effetti sul livello salariale, l'organizzazione del lavoro e la struttura complessiva dell'economia (L'industria a domicilio nella costituzione economica odierna pubblicata a Milano nel 1918) e nella rilevazione delle conseguenze che una imprecisa valutazione degli aspetti contabili dell'economia di guerra ha per la riconversione all'economia di pace, che il C. considerò nel 1920nel libro Costo economico e costo finanziario della guerra, edito a Roma.
In quest'ultimo lavoro il C. organizzò una serie di considerazioni sugli effetti duplici indotti dall'economia di guerra. Il conflitto, infatti, non comporta solamente una ingente distruzione di risorse che avrebbero potuto avere una allocazione e destinazione più efficienti in normali condizioni di funzionamento del sistema economico, ma implica anche una accelerazione del processo produttivo e una modificazione degli assetti istituzionali e sociali dell'economia. E ciò appunto tanto nella forma di un crescente intervento dello Stato, quanto nella forma di un necessario "vincolo di solidarietà" da istituirsi fra le classi. Analoghe considerazioni il C. riprenderà a proposito del secondo conflitto mondiale nel saggio L'economia e la guerra (Torino 1946).
Nel 1929 il C., ancora docente a Sassari, pubblicò a Padova un trattato che mette in evidenza un aspetto rilevante della concezione logica del processo economico che gli fu propria: La teoria economica del rischio e dell'assicurazione.
Dopo aver passato in rassegna le principali teorie concernenti i fattori di rischio ed imprevedibilità legati alle condizioni ambientali e sociali nelle quali si trovano ad agire gli operatori economici, il C. osserva che in generale lo sconto dei rendimenti futuri e l'attualizzazione dei saggi di interesse di lungo periodo sui capitali in essere, pur rappresentando gli strumenti tipici di calcolo del rischio cui si uniformano solitamente gli agenti, tradiscono una considerazione statica del processo economico, che è invece esclusa proprio dalla presenza dei fattori di rischio nella vita economica.
"L'homo oeconomicus nelle trasformazioni che egli compie degli oggetti del mondo esteriore tende necessariamente ad avere una sempre crescente sicurezza di reddito e ad ottenere questo in misura tale che possa in qualunque tempo e luogo soddisfare ai suoi bisogni. Ma le trasformazioni economiche, anche quelle più immediate, implicano sempre un rinascere ed un divenire; implicano cioè un processo produttivo che è concepibile solo nel tempo e nello spazio e che soltanto nel tempo e nello spazio può svolgersi in tutta la sua complessità" (Il caso,la congiuntura ed il rischio nell'evoluzione economica, Città di Castello 1928, ristampato poi in L'attività umana e le teorie economiche, Torino 1956, p. 74).
Lo sviluppo dell'economia e del grado di interdipendenza che si instaura fra i diversi settori del sistema economico non comportano già l'eliminazione progressiva del rischio e dell'imprevedibilità, perché questi elementi sono parti insopprimibili dell'attività economica stessa, come processo temporalmente e localmente determinato. Lo sviluppo, infatti, riduce l'area dei rischi statici, connessi per lo più alla imperfetta regolazione giuridico-contrattualistica dei rapporti fra gli operatori, ma è per altro verso legato, soprattutto attraverso l'iniziativa imprenditoriale, alla presenza di rischi dinamici che, in concorso con altri fattori, generano i movimenti ciclici del processo economico complessivo. In questo senso, quindi: "le fluttuazioni economiche, in quanto sono un fenomeno insito nella vita dei popoli, non possono essere considerate, secondo quanto vorrebbero alcuni, come un fatto patologico, ma debbono invece essere intese come un fenomeno naturale, diremmo quasi fisiologico della vita delle ricchezze e di quella dei popoli" (Cicli economici e cicli sociali, Sassari 1929, poi in L'attività umana, cit., p. 340).
La concezione fisiologica del ciclo non è legata nel C. alle tradizionali presupposizioni armonicistiche della dottrina neoclassica. Lo svolgimento "normale" delle alterne fasi del ciclo, ossia il fatto che boom e depressioni costituiscano non la patologia ma la "regola" del sistema (un tema molto diffuso nel pensiero economico tra le due guerre), non deve sollecitare alcuna fiducia nei meccanismi omeostatici od inerziali della vita economica. Riprendendo alcune osservazioni svolte da J. M. Keynes in The End of Laissez Faire (1926), il C. propone, invece, un continuo controllo globale dell'economia che sia in grado di attutire le conseguenze negative dei movimenti cui è indirizzato naturalmente il processo economico. Egli tuttavia preferisce non isolare, come a suo tempo aveva fatto Keynes, le sfere e le modalità particolari dell'intervento statale, giacché "uno Stato social progressivo deve talora imporre limiti all'iniziativa individuale, talatra deve, invece, coordinarla o integrarla e talatra, infine, deve, per le necessità superiori della convivenza sociale, ad essa sostituirsi" (L'evoluzione della massima del "lasciar fare e del lasciar passare" (1939) in L'attività umana, cit., p. 321).
Nel 1938 il C. pubblicava a Torino un trattato su La moneta e nel 1940, sempre a Torino, riordinava una serie di articoli utilizzati, anche in un corso di economia e politica agraria su La produzione agraria e le forme di gestione della proprietà fondiaria.
Nel 1952 la Commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione chiese al C. di precisare gli effetti che una disoccupazione continuativa delle risorse, e in particolar modo delle forze di lavoro, può avere sul tasso di attività dell'economia. Il C. mostra di accettare la diagnosi keynesiana nella memoria Del costo della disoccupazione involontaria (in Atti della Comm. d'inchiesta sulla disoccupazione, IV, 5, Roma 1953), rilevando che un'esatta valutazione dei costi della disoccupazione involontaria delle forze di lavoro in singole economie nazionali richiede necessariamente la raccolta di un insieme di dati statistici più articolata di quelle disponibili.
La determinazione di questi costi, d'altra parte, è di fondamentale importanza, perché la stima dei danni provenienti dalla sottoutilizzazione della capacità produttiva dovrebbe essere uno dei parametri del comportamento efficiente degli operatori, e soprattutto dell'operatore pubblico, cui la politica economica contemporanea affida in diverse forme il compito di sopperire ai limiti dell'iniziativa privata.
Il C. fu direttore degli Annali di statistica ed economia della facoltà di economia e commercio dell'Università di Genova, membro dell'Accademia ligure di scienzee lettere, socio onorario della Società italiana di demografia e statistica, della Società italiana di statistica e della Societàitaliana per l'organizzazione internazionale.
Dopo essersi ritirato dall'insegnamento, fu professore emerito. Morì a Genova il 12 giugno 1960.
Bibl.: Panorama biografico degli italiani d'oggi, a cura di G. Vaccaro, I, Roma 1956, p. 365.