ASINARI, Federico
Nacque sulla fine del 1527 o nella prima metà del 1528, da Francesco, conte di Camerano, e da Lucrezia Torelli. Incerto è il luogo di nascita, sebbene in atti pubblici l'A. si dichiarasse sempre cittadino di Asti. Mancano notizie esaurienti sulla sua giovinezza: sembra comunque che assai presto l'A. dovesse abbandonare il nativo Piemonte, forse in seguito alla morte del padre, per stabilirsi con la famiglia a Parma, dove sposò nel 1547 Costanza Francesca Sanseverini. Frequenti sono nelle Rime le allusioni al soggiorno parmense dell'A. e alla società cavalleresca ed elegante presso la quale lo scrittore maturò le sue prime esperienze letterarie.
Di ritorno in Piemonte, l'A. fu accolto nella corte sabauda senza che, tuttavia, l'animo fiero e orgoglioso dell'aristocratico si uniformasse alla disciplina degradante del cortigiano. là documentata a questo riguardo un'azione risoluta dell'A. per impossessarsi con le armi del castello di Costigliole, per il quale già suo padre aveva fatto valere alcuni diritti (1549). Giudicato ribelle da Emanuele Filiberto, oppose una ferma resistenza all'autorità sovrana (aiutato indirettamente da Ferrante Gonzaga, luogotenente del duca di Savoia), riuscendo, dopo una lunga contesa giuridica, ad ottenere i beni mobili e le scritture del castello. Rimasto fedele al duca (che da questo momento servirà lealmente per tutta la vita) durante l'invasione francese del Piemonte, vide distrutti i suoi beni dall'esercito nemico, per cui dovette riparare in Spagna, ove soggiornò per breve tempo. Di ritorno in patria subì la prigionia ad opera dei Francesi, dalla quale si riscattò pagando personalmente una somma di 6.000 scudi; nel 1554 fu nominato da Emanuele Filiberto gentiluomo di camera. Documenti del 1556-58 attestano una serie di azioni militari sostenute dall'A. a fianco degli Imperiali, in virtù delle quali egli raggiunse il grado di colonnello di fanteria nel quadro del riordinamento della milizia intrapreso dal duca sul finire del 1559. Nel 1561 è a Parma in missione presso Ottavio Farnese e nel 1564 presso Massimiliano II, al servizio del quale combatte in Ungheria contro i Turchi (1566). Non si trattò probabilmente di una spedizione ufficiale inviata dal duca; la missione dell'A. dovette essenzialmente consistere nel mantenere informato Emanuele Filiberto circa le sorti della campagna militare: un compito significativo al fine di sottolineare il notevole prestigio dell'A. nell'ambito della politica ducale.
Elegante e stimato consigliere, arbitro di questioni cavalleresche, l'A. ottiene nel 1568 la nomina a consigliere di guerra e colonnello della milizia, mentre si diffondono i manoscritti delle sue poesie presso la società colta della corte sabauda, ottenendo il consenso di eruditi e di letterati illustri tra i quali G. B. Giraldi Cinzio.
Nel 1570 l'A. è a Firenze presso Cosimo I e nel 1575 cura diligentemente i rapporti diplomatici fra il duca e l'imperatore per il progettato matrimonio di Emanuele Filiberto con Isabella, figlia di Massimiliano e vedova di Carlo IX di Francia. È questa l'ultima notizia riguardante l'A., che morì il 25 dicembre dello stesso anno come ci è attestato da una lettera del figlio Francesco.
Nulla fu pubblicato dall'A., sebbene il suo nome dovette essere conosciuto e apprezzato in ristretti cenacoli di cultura. Indice della scarsa diffusione delle sue poesie presso un vasto pubblico di lettori è la tarda edizione delle opere complete apparsa alla fine del Settecento: Poesie di Federico Asinari conte di Camerano, Torino 1795, comprendente nel primo tomo la parte già pubblicata (la tragedia Il Tancredi principe, alcune delle Rime e un epigramma latino), nel secondo tomo la parte inedita (altre Rime e due poemi: Le Trasformazioni e L'ira di Orlando).
Una vicenda singolare riguarda la tragedia. Fatta stampare per la prima volta a Parigi dal comico italiano Bernardino Lombardi col titolo di Gismonda e attribuita a Torquato Tasso (La Gismonda tragedia del Signor Torquato Tasso nuovamenta composti et posta in luce, A Paris 1587), l'opera trasse in errore, circa l'esatta individuazione dell'autore, eruditi e storici della letteratura quali il Ghilini (Teatro d'huomini letterati, Venezia 1647, p. 106) e l'Allacci (v. per l'argomento A. Zeno, Annotaz. alla Bibliot. d. eloq. ital.del Fontanini, Venezia 1753, I, p. 381), sebbene già nel Cinquecento fosse stata attribuita al conte di Camerano (Il Tancredi Tragedia del Signor Conte di Camerano dal Sig. Gherardo Borgogni di nuovo posta in luce, In Bergamo 1588). Questo lavoro, composto probabilmente intorno al 1570, durante il soggiorno fiorentino dell'A., si pone nella tradizione letteraria della Panfila del Pistoia e della Gismonda del Razzi, seguendo nelle linee essenziali la celebre novella dei Decameron (g. IV,n. 1), da cui tuttavia si discosta nella enunciazione teorica di massime e precetti, che sottolineano l'intento morale dello scrittore piemontese, e nella nuova concezione del carattere della protagonista, più vittima che eroina d'amore. Non estraneo ai dettami dell'imitazione classicista, sollecitato forse dalla più recente esperienza teatrale dei Giraldi Cinzio, l'A. tentò nel Tancredi di far prevalere la parte drammatica sulla narrativa del modello boccaccesco, non riuscendo pienamente nell'intento: ché sovente si contenta di verseggiare la prosa della novella conferendo alla tragedia un carattere di staticità in contrasto con le fondamentali esigenze della rappresentazione drammatica. L'opera comunque, diligentemente esaminata dal Galeani Napione sugli appunti inediti di G. Vernazza, fu giudicata positivamente dal Crescimbeni (Comentari, Venezia 1731, I, p. 309), dal Parisotti (Discorso sopra il Tancredi, tragedia del conte di Camerano, in A. Calogerà, Raccolta d'opuscoli...,XXV, Venezia 1741, pp. 339-348), dallo Zeno (Lettere, Venezia 1785, III, pp. 239 s.) e dal Vallauri (Storia della poesia in Piemonte, Torino 1841, p. 136). I più recenti critici preferirono dedicare le loro indagini all'omonima tragedia di P. Toielli.
Minore interesse riservano le Rime raccolte per la prima volta in due sillogi cinquecentesche: Le Muse toscane di diversi nobilissimi ingegni dal sig. Gherardo Borgogni di nuovo poste in luce, In Bergamo 1594 (contiene quattro canzoni e un sonetto dell'A.) e le Rime di diversi illustri poeti de' nostri tempi, di nuovo poste in luce, da Gherardo Borgogni, In Venezia 1599 (con ottantadue sonetti, dieci canzoni, due sestine, una ballata e alcune ottave dell'A.). Nonostante il giudizio favorevole del Caro (De le lettere familiari, II, Venezia 1575, p. 183), esse vanno considerate nell'insieme come un'opera di stanca e ingenua imitazione petrarchesca appesantita da un acceso sirnbolismo (v. le rime per la "barbara Maga", forse Barbara Sanseverini) e da frequenti digressioni retorico-politiche che turbano l'ordinamento ideale del canzoniere.
Poco più di un'esercitazione letteraria sono i due poemi nei quali tuttavia lo stile dell'A. si compone secondo criteri di maggior rigore artistico. Ne L'ira di Orlando lo scrittore tenta una sintesi tra il poema cavalleresco e i più celebrati esempi classici (specialmente l'Iliade)seguendo la tradizione inaugurata da L. Alamanni e da B. Tasso. Nelle Trasformazioni - un tema particolarmente in voga secondo gli studi compiuti sulla cultura piemontese agli inizi del Cinquecento (v. per l'argomento F. Gabotto, Lo stato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto, Torino 1895, III, pp. 242-262) - l'A. sperimenta, con poco successo, una connessione logica tra i vari episodi dell'originale ovidiano.
Bibl.: G. F. Galeani Napione, Vita di F. A. conte di Camerano, Torino 1814. ristampata in Vite ed elogi di illustri italiani, Pisa 1818, III, pp. 3-113; F. Neri, F. A. conte di Camerano, poeta del sec. XVI (estr. dalle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino), Torino 1902; F. Rizzi, Tra i lirici parmensi del Cinquecento, in Aurea Parma, V (luglio-agosto 1921), p. 226; V. Cian, Le lettere e la cultura letteraria in Piemonte nell'età di Emanuele Filiberto, in Studi pubblicati dalla R. Univ. di Torino nel IV centenario della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 395-397.