ARCIDIACONI, Federico
Nato da una illustre famiglia cremonese, che fu più tardi chiamata Artezaga o degli Artezaghi, fece parte, almeno dal 1294, del collegio dei giureconsulti dell'importante Comune lombardo. Ma la sua carriera di giurista doveva essere incominciata assai prima, se l'A. è una stessa persona con il "Fredericus de Archidiaconis" ricordato come podestà di Perugia nel 1279. Nel 1300 l'A. fu eletto fra gli Abati e Savi della Gabella Magna di Cremona per il periodo aprile-giugno. Rivestì la stessa carica nell'ottobre-dicembre 1305. Non sembra perciò che facesse parte della numerosa emigrazione ghibewna, tanto più che il suo nome non appare fra i fuorusciti riammessi in Cremona con l'atto di pacificazione del 14 genn. 1311, e quasi subito ricacciatine, così da indurre Arrigo VII all'occupazione della città. Ma l'A. fu certamente un ghibellino. Nel governo instauratosi a Cremona dopo l'ingresso di Arrigo, l'A. fu compreso fra i sedici "sapientes" del Comune e fu a lui che il 10 maggio 1311 toccò di prestare, come procuratore del Comune, il giuramento di fedeltà all'imperatore, dopo aver ratificato la sentenza di quest'ultimo contro i guelfi cremonesi.
Nel ricordare questo episodio una corrente dell'antica storiografia cremonese critica l'A. come colui che avrebbe accettato senza reagire le pesanti condizioni imperiali, mentre un'altra corrente lo loda perché si sarebbe abilmente adoperato per riconciliare la città allo sdegnato sovrano. Fu messa, inoltre, in relazione con l'A. un'offerta votiva che il Comune fece per secoli, ogni 4 ottobre, alla chiesa di S. Francesco: si sarebbe dovuto ricordare, con essa, un felice abboccamento avvenuto in quel giorno e in quella chiesa tra l'A. e Arrigo VII. In realtà l'oblazione di "una torcia con dentro denari d'oro" nel giorno sacro a s. Francesco fu istituita dai guelfi rientrati m possesso di Cremona, per ricordare l'opera pietosa che era stata svolta dai frati minori a vantaggio dei guelfi imprigionati da Arrigo VII.
Nel gennaio 1313, allorché i ghibellini dovettero abbandonare la città, della quale si era impadronito Guglielmo Cavalcabò, l'A. fu il capo riconosciuto dei fuorusciti, a nome dei quali nel febbraio successivo, in un consiglio dei rappresentanti delle città e degli esuli ghibellini convocato a Lodi dal conte Vernherus de Homberg, Capitano Generale per la Lombardia, affermò che sarebbe stato facile, recuperare Cremona e ricondurla all'obbedienza dell'impero. Quale ruolo l'A. svolgesse in seguito nell'intricata e convulsa storia delle fazioni cremonesi prima della perdita definitiva dell'autonomia (Troncaciuffi o Barbarasi si chiamavano i ghibellini; i guelfi erano divisi in Cappelletti e Maltraversi) non è abbastanza documentato. L'A. morì nel settembre 1324 e fu sepolto nella chiesa di San Domenico.
Bibl.: P. Pellini, Dell'historia di Perugia, I, in Venetia 1664, p. 293; A. Mariotti, Saggio di memorie istoriche civili ed ecclesiastiche della città di Perugia..., I, 2, Perugia 1806, pp. 218-219; V.Lancetti, Biografia cremonese..., I, Milano 1819, pp. 293 s.; L. Astegiano, Codice Diplomatico Cremonese 715-1334, II, Torino 1898, pp. 21, 48, 204, 206, 321; G. Belelli, L'istituto del podestà in Perugia nel sec. XIII, Bologna 1936, p. 95; A. Cavalcabò, Le ultime lotte del Comune di Crémona per l'autonomia..., Cremona 1939, pp. 47, 49, 54, 76, 80, 107, 194; Id., I Rettori di Cremona (1297-1305), in Boll. stor. cremonese, XX (1955-1957), pp. 125, 152.