FEDE (lat. fides; fr. foi; sp. fe; ted. Glaube; ingl. faith)
La fede è l'assenso dell'intelletto motivato dal valore di una testimonianza. Nella vita quotidiana si procede in gran parte con questa forma di conoscenza, e nel campo scientifico essa non è assente. Include elementi d'intelligenza, perché nessuno vuole prestar fede a chi non la merita; include elementi volitivi, perché non c'è nessuna autorità che possa costringere l'intelletto come lo costringe una dimostrazione matematica o filosofica; e include sentimenti, in quanto possono influire sull'accettazione di una dottrina piuttosto che di un'altra.
Nella dottrina protestante la fede si concepì come una fiducia che i peccati ci siano rimessi e i meriti di Cristo ci siano imputati anche senza le buone opere personali. I cattolici modernisti inclinarono a una fede morale, quasi un senso religioso, un'esperienza benefica delle verità che la Chiesa insegna, prescindendo dall'intrinseca verità delle medesime; e questa era una derivazione dai concetti kantiani, secondo cui noi crediamo all'esistenza di Dio, all'immortalità dell'anima, all'altra vita non per dimostrazioni filosofiche, o per l'autorità di una rivelazione divina ma per l'esigenza della ragione pratica, che ha bisogno di quelle verità come integrazione del sistema morale.
Secondo la dottrina cattolica la fede è assenso della ragione alle verità da Dio rivelate, che noi dobbiamo accettare per l'autorità di chi le rivela. Oggettivamente abbraccia tutte le verità e i precetti che sono contenuti nel deposito della rivelazione, e in quanto cadono sotto la testimonianza e la veracità di Dio; soggettivamente è atto d'intelligenza motivato dalle ragioni che lo rendono saggio e doveroso, determinato dalla volontà che rimane libera in quell'accettazione, e ancora più altamente giustificato da un intimo impulso della grazia che induce all'atto.
Come atto d'intelligenza la fede domanda che l'uomo si assicuri del fatto storico della rivelazione divina, che si renda conto dei motivi interni ed esterni i quali rendono prudente e doveroso il suo assenso. La profezia, in quanto include una predizione di un futuro al difuori di ogni umana previsione possibile, e il miracolo, come fatto che trascende le forze della natura e perciò manifesta l'intervento della causa prima in connessione con una dottrina e con una testimonianza che si presenta come divina, sono i migliori argomenti, ai quali ha fatto appello il rivelatore per eccellenza, Gesù Cristo.
Di fronte alle affermazioni e alle prove che Gesù Cristo portava a dimostrazione della sua missione divina, molti credettero e credono, molti no. Il fatto ha una spiegazione nell'oscurità intrinseca del contenuto della fede, nella cattiva disposizione della volontà umana, la quale resta libera di credere, per la soprannaturalità del mistero. Per quanto l'argomento della testimonianza divina sia il più forte di tutti in sé e nell'uomo, tuttavia resta la libertà dell'assenso, e, se la volontà è mal disposta, l'intelletto resta inquieto e sospeso. La conciliazione della libertà della fede con la ragionevolezza dell'assenso alla rivelazione si spiega col fatto che la dimostrazione cade sulla credibilità e sul dovere di accettare la testimonianza divina, ma non dà l'evidenza della verità rivelata. L'evidenza estrinseca che è propria del conoscimento di fede rende illogico il dubbio, ma non costringe al consenso, cioè non toglie la possibilità di una sospensîone di giudizio. Per questo si deve riconoscere il giusto valore ai motivi di ordine morale, ma non è scientifico misconoscere le ragioni intellettuali della fede nella rivelazione.
Ma nemmeno le disposizioni morali bastano; per un atto di fede soprannaturale occorre quell'intima energia che vien detta "grazia". Alle cause estrinseche che inducono alla fede si deve aggiungere questa causa interna che illumina l'intelligenza, rinvigorisce il volere, e mette proporzione fra l'atto del pensiero e l'oggetto soprannaturale, che viene intelligentemente e liberamente accolto. Se la fede fosse la necessaria conclusione di un ragionamento umano, apparterrebbe alla filosofia e non avrebbe nulla di soprannaturale; se non ci fossero segni e argomenti per giustificare l'adesione dell'intelletto, non sarebbe il rationabile obsequium di S. Paolo, non sarebbe sostanza (fondamento) delle cose sperate e argomento delle non parventi. Quando il martire muore per la fede, non giustifica il suo atto eroico con la scienza apologetica che può avere acquistato, ma principalmente con quest'intimo dono che è soprannaturale come sorgente, natura e oggetto. È perfetta la definizione di San Tommaso: "Il credere è un atto dell'intelletto assenziente alla verità divina per comando della volontà mossa da Dio per mezzo della grazia" (II, 11 q. 2, a. 9).
La Chiesa non è la sorgente della fede, ma la sua missione è di custodire il deposito della verità rivelata, curarne la formulazione esatta, difenderla dalle contraffazioni, estenderne la conoscenza a tutti i popoli, viverla in una coerenza di santità. Le definizioni dei concilî e il progresso teologico sviluppano la conoscenza del dogma, rendono esplicito quello che implicitamente si conteneva nella Bibbia e nella tradizione, ma non possono coniare verità nuove e molto meno farle passare come rivelate. Il fatto della Chiesa universale, nella sua duplice missione di magistero e di ministero santificatore, costituisce un avvenimento che storicamente realizza le profezie cristiane e costituisce un nuovo motivo di fede alla divinità della religione cristiana.
Bibl.: Harent, voce Foi, in Diction. de théol. cathol.; R. Garrigou-Lagrange, De Revelatione per Eccl. catholicam proposita, Roma 1918, cap. XV.