FEBBRE (lat. febris; fr. fièvre; sp. fiebre, calentura; ted. Fieber; ingl. fever)
Consiste in un disturbo dei meccanismi nervosi centrali della termogenesi e della termoregolazione, per il quale la temperatura corporea s'eleva al disopra della media normale (ipertermia febbrile). Contemporaneamente si ha un'intensificazione d'alcuni processi metabolici, in specie un aumento delle combustioni organiche e delle disintegrazioni delle proteine corporee, onde anche aumento degli scambî respiratorî e dell'escrezione di scorie azotate urinarie. Si ha conseguentemente un aumento della frequenza degli atti respiratorî (polipnea febbrile) e del battito cardiaco (tachicardia febbrile). Possono coesistere o no disturbi del sensorio, fino a veri stati confusionali o deliranti. L'accesso febbrile tipico ha un periodo d'invasione o d'accensione, caratterizzato, se l'ascesa della temperatura è rapida, da brivido; uno di stato di calore o d'acme; uno di defervescenza, spesso con vasodilatazione periferica e abbondante sudorazione, rallentamento del battito cardiaco (bradicardia della convalescenza), poliuria. Si distinguono varî tipi di febbre a seconda del comportamento della curva termica: febbre continua; febbre subcontînua (con piccole remissioni ed elevazioni della temperatura, nel periodo di stato l'ampiezza delle oscillazioni non oltrepassando un grado); febbre remittente (ampie oscillazioni della temperatura, senza che i minimi corrispondano però alla temperatura normale); febbre intermittente (aggruppamenti secondo vario tipo d'accessi febbrili, separati da periodi di defervescenza completa o apiressia vera e propria, talora anzi con abbassamenti della temperatura sotto la norma).
Il meccanismo patogenetico della febbre si riconnette con la dottrina della regolazione neuroormonica del ricambio intermediario; è esigenza abbastanza severa degli organismi superiori (omotermi: Uccelli e Mammiferi) la costanza della temperatura, o isotermia del mezzo organico interno, la quale permette una maggiore regolarità delle reazioni metaboliche, svincola le cellule dalla necessità di continui adattamenti e permette loro una migliore differenziazione funzionale. Ora questa isotermia è ottenuta in virtù di meccanismi regolatori, che sono principalmente nervosi, con un contributo ormonico. Infatti nella regione ipotalamica e principalmente nel tuber cinereum (R. Isenschmid e L. Krehl, E. Leschke) esistono dei centri che ricevono stimoli afferenti per le vie di senso termico dalla periferia e soprattutto risentono come di stimolo adeguato della temperatura del sangue (H. Barbour); e corrispondentemente modificano varî centri vegetativi subordinati, dominanti il gioco delle cellule muscolari lisce dei vasi, il ritmo respiratorio e cardiaco, la secrezione sudorale, il consumo di carboidrati nel fegato, il ricambio dei grassi e forse quello delle proteine di varî organi. Col metodo dei tagli a diversa altezza del nevrasse, applicati con successo dai neurologi nella determinazione della sede d'altri centri nervosi, si sono stabilite a sufficienza la sede dei centri termici e le relative connessioni periferiche. La lesione di quei centri, o la loro completa separazione dai meccanismi subordinati periferici modificanti la produzione o la dispersione del calore abolisce la capacità dell'animale a febbricitare, cioè a rispondere con ipertermia agli agenti chimici e fisici, che sappiamo essere causa di febbre negli animali integri. Anche certe ghiandole a secrezione interna possono coi loro ormoni modificare la termogenesi; così sono ormoni ipertermizzanti quello tiroideo e quello del tessuto cromaffine (l'adrenalina): infatti gli animali stiroidati o quelli privati del surrene, che contiene nella midollare la parte principale del tessuto cromaffine, offrono abbassamento della temperatura corporea; e anche nelle malattie caratterizzate da insufficienza funzionale di questi apparati endocrini si ha tendenza alle basse temperature e maggior difficoltà a febbricitare.
Le cause della febbre sono dunque rappresentate da tutti gli agenti che eccitano il centro termico del tuber cinereum; e sono date da agenti fisici (eccitazione meccanica del centro per un trauma o per un intervento sperimentale), chimico-fisici (certe modificazioni dello stato colloidale del plasma sanguigno, come per iniezione di sospensioni finissime o di metalli colloidali) e soprattutto chimici: la più gran parte delle febbri sono dovute proprio ad agenti chimici. Alcuni di questi ultimi sono rappresentati da sostanze ben definite, per esempio la β-tetraidronaftilammina, base organica assai usata dagli sperimentatori, che produce (per esempio 1 cmc. di soluzione 5% del cloridrato in un coniglio) febbre altissima e mortale; il cloruro di sodio che dà una cosiddetta febbre da sale, specialmente nei bambini; i già ricordati ormoni, come l'adrenalina. Ancor più comunemente però sono in gioco sostanze che rientrano tra i prodotti di scissione proteica; e qui troviamo il gruppo considerevole delle febbri nel corso delle malattie infettive e la febbre detta da riassorbimento (di stravasi di sangue, di tessuti in autolisi asettica, ecc.); in tutti questi casi la febbre è una manifestazione dell'intossicazione proteica. Infatti si tratta di proteine estranee all'organismo, come quelle batteriche, o di proteine corporee denaturate, che entrano in circolo e per opera di fermenti organici mobilizzati (v. abderhalden, I, p. 46) sono digerite, cioè scisse, con formazione di prodotti intermediarî svariati, fra cui alcuni, come gli albumosi e peptoni, sono riconosciuti come veleni febbrigeni fino dalle non più recenti ricerche di E. Centanni, M. Matthes e L. Krehl. Anche nella cosiddetta febbre alimentare, descritta in specie nei bambini, s'ha da fare con prodotti intermediarî di scissione proteica provenienti dall'intestino e assorbiti per un'insufficienza di quella barriera che la parete intestinale sana e il fegato oppongono all'ingresso in circolo di proteine o prodotti di scissione incompleta di queste. Le esperienze recenti mostrano chiaramente che molti derivati proteici aumentano l'eccitabilità del centro termico, sia che v'arrivino per la via del sangue, sia che vi siano fatti agire direttamente.
Dalla vera febbre sono da escludere quelle ipertermie che non sono dovute a un meccanismo nervoso centrale (v. ipertermia). La vecchia questione, tanto dibattuta, se nella febbre s'abbia solo un aumento della termogenesi (C. Liebermeister) o solo una diminuzione della dispersione calorica (L. Traube), ha perso oggi molto del suo significato, perché si sa che è in gioco un aggiustamento a un più alto livello dei complessi meccanismi termoregolatori, importante tanto l'aumento delle combustioni quanto, specie nel periodo iniziale della febbre, la diminuzione della dispersione termica (v. anche termometria).
Bibl.: Oltre ai trattati di patologia generale (fra cui quello di A. Lustig e G. Galeotti, con menzione dei lavori speciali della scuola del Galeotti) si consultino H. Freund, Über Wärmeregulation und Fieber, in Ergebn. d. inner. Medicin und Kinderheilk., XXII, 1922; H. Barbour, Heat regulating mechanism of the body, in Physiol. Review, I, ii, 1919; C. Greving, in Deutsche med. Woch., 1922, nn. 50-51. Molti lavori speciali sono nell'Archiv. f. exper. Pathol. u. Pharmakol., dal vol. LXIX in poi: così nel vol. LXX i lavori di R. Isenschmid e L. Krehl, quello di H. Barbour (azione del caldo e del freddo portati direttamente ad agire su centri); nel vol. LXVIII il fondamentale lavoro di M. Hashimoto.