FAVOLELLO
Ci valiamo di questo termine, che è una rieostruzione la quale rispecchia esattamente il francese fableau, piccardo fabliau (dalla base lat.fabula), per designare una forma di racconto in rima, breve, arguto, giocoso, ironico, talora osceno, caratteristico della Francia nei secoli XII-XIV e più particolarmente della Piccardia. Ci sono rimasti un centoventi fabliaux, tra amorosi, sentimentali, satirici, burleschi. Alcuni di essi non hanno altro fine che di muovere al riso: altri racchiudono un insegnamento morale; tutti sono stati composti per allietare le società dei cavalieri e dei borghesi, ma ci conducono in mezzo a tutte le classi, di cui mettono in evidenza le debolezze e i vizî con pungente ironia e talora con rude sarcasmo. Si potrebbero definire un vario, bizzarro e caustico commento alla vita e ai costumi medievali francesi, senza riguardo alle classi più elevate dei principi, dei feudatarî, dei vescovi, dei signori. I chierici e le donne sono particolarmente presi di mira: i primi per la loro cedevolezza agli stimoli della lussuria, le seconde per la loro incostanza, per il loro carattere acre e scontroso e per la loro astuzia. Vi sono, fra questi testi in versi brevi, rimati talvolta con sottile artificio, parecchi componimenti gustosi, ricchi di movimento e di arguzie inattese, piccoli quadri disegnati e coloriti da mano esperta (per es., l'Oiselet, Auberé, Tresses, Trois bossus, Mantel mautallié, Bourse pleine de sens); ma altri ve ne sono sciatti o grossolani, in cui la volgarità raggiunge limiti repugnanti (per es., il souhait insensé, l'Âme du vilain, ecc.). Gli autori talora si dànno a conoscere, ma più spesso tacciono il loro nome. Se qualificano il loro componimento, usano, oltre al termine di fabliau, quelli di gab, di bourde, di trufe e qualche volta di dit (sebbene i dits abbiano carattere meno salace e qualche volta persino moraleggiante). Il più antico favolello conservatoci è anonimo e porta il titolo di Richeut (metà del sec. XII): è una pittura satirica di cortigiane e di loro amici; i meno antichi appartengono ad autori del principio del sec. XIV, come Wautriquet. Alcuni sono di rimatori ben noti (Rustebeuf, Jean de Condé, Huon le Roi, Jean Bodel), altri di verseggiatori quasi ignoti (Huges Piaucelle, Garin), e tutti sono opera d'uomini colti, esperti nell'arte del rimare e non di gente del popolo: poiché il favolello appartiene alla letteratura cortese, e il tono popolare o non vi è o è addirittura esagerato.
Molto si è discusso sull'origine di questi singolari componimenti: il problema rientra in quello delle origini e della diffusione dei racconti popolari. Anche per il favolello, abbiamo da un lato i sostenitori della teoria ariana (G. Paris, E. Cosquin), i quali, fissando prevalentemente la loro attenzione sui temi, astratti dalla forma in cui soltanto hanno vita, li riconducono a fonti orientali (per es. al Pancitantra); e abbiamo dall'altro lato i negatori dell'orientalismo, i quali insistono sul fatto che i fabliaux riflettono - meglio e più delle canzoni di gesta e della poesia dei troveri - costumanze, usi e condizioni sociali della Francia, e paiono un prodotto schietto e genuino del Medioevo francese, senza rapporto con la novellistica indiana. Contro queste teorie generali si potrà osservare che ciascun componimento, studiato nell'inscindibile unità di contenuto e di forma, mostra di avere una storia propria, diversa da quella degli altri componimenti, e che, se tutti interpretano le condizioni spirituali o civili e i costumi della Francia dei secoli XII-XIV, non è detto che molti o alcuni, pur essendo nella loro essenza medievali, non possano affondare le loro estreme radici nella novellistica antica orientale, dove sarebbe tuttavia eccessivo pretendere di trovarne le origini comuni: insomma, ogni componimento richiede una critica sua particolare.
Il vero e proprio favolello, come si è detto, è caratteristicamente francese. Qualche imitazione si ebbe in Germania e in Inghilterra (il Chaucer, per es., riprodusse con fedeltà Le meunier et les deux clercs). Si vuole da alcuni che il Boccaccio abbia attinto al favolello De la pucelle qui vouloit voler per la novella di Donno Gianni (Decam., IX, 10), al Dit de la Nonnette per la novella della badessa (IX, 2) e alla Dame qui fist battre son mari e al Prestre et Alison per altre novelle. Ma, in realtà, se in ognuno di questi casi il motivo fondamentale è analogo, tanta è la varietà nei particolari che non è possibile accettare l'ipotesi di una derivazione diretta.
Ediz.: É. Barbazan, Fabliaux et contes, Parigi 1756, nuova ed. a cura di D.-M. Méon, Parigi 1808, voll. 4; 1823, voll. 2; A. Jubinal, Nouveau recueil de contes et fabliaux, Parigi 1839 e 1842; l'edizione migliore è quella di A. De Montaiglon e G. Raynaud, voll. 6, Parigi 1872-1890. Trad. in versi italiani di alcuni tra i migliori di Mino Chiari (Mario Chini), Favolelli, Roma 1931.
Bibl.: J.-V. Leclerc, Les fabliaux, in Hist. litt. de la France, XXIII (1856), pp. 69-215; Ch. Formentin, Essai sur les fabliaux franåais des XIIe et XIIIe siècles, Saint-Étienne 1877; J. Bédier, Les fabliaux, Parigi 1893, 5ª ed. 1925; E. Cosquin, L'origine des contes populaires européens, Parigi 1891; id., Le Conte du chat et de la chandelle dans l'Europe du moyen âge, in Romania, XL (1911), p. 371 segg.; L. Di Francia, Novellistica, I, Milano 1924.