VERANZIO (Vrančić, Wranzius, Wranczi), Fausto (Faust, Faustus)
Nacque il 1° gennaio 1551 a Sebenico, città dalmata nella Repubblica di Venezia. Il padre Michele (Mihovil), poeta e diplomatico del regno d’Ungheria, apparteneva a una locale famiglia patrizia, la madre era Caterina Dobroević, anch’essa discendente di una famiglia notabile.
Nella città natia Veranzio ebbe la prima educazione e l’avvio agli studi classici. Lo zio Antonio Veranzio, allora vescovo di Eger, lo sostenne nel percorso formativo chiamandolo già all’età di dieci anni a Pressburgo (Bratislava, Pozsony), capitale d’Ungheria, florido centro culturale e umanistico di ciò che rimaneva del regno dopo la conquista ottomana. Tra il 1568 e il 1572 Fausto Veranzio studiò diritto e filosofia all’università di Padova, approfondendo il pensiero aristotelico e la matematica. In quegli anni compose alcune poesie d’occasione e un’orazione rivolta ai principi cristiani per una spedizione militare contro gli ottomani, esempio di retorica antiturca, consueta lungo il difficile limes ungherese e croato. Nel 1573 scrisse la Vita Antonii Werantii archiepiscopi Strigoniensis, in onore dello zio arcivescovo scomparso, a cui dovette tanto. Fausto Veranzio si spostò quindi a Roma, presso il collegio illirico di s. Girolamo, finché, nel 1579, fu nominato amministratore dei beni vescovili a Veszprém in Ungheria. Da un anno si era sposato con Maria (Marieta) Zar, da cui ebbe una figlia e un figlio. A Veszprém la sua famiglia era nota, in quanto vi fu vescovo un prozio, Pietro Berislavić, all’inizio del Cinquecento. I Veranzio, nella figura dell’arcivescovo e diplomatico Antonio, erano pure conosciuti alla corte asburgica e Fausto divenne, nel 1581, segretario e consigliere di Rodolfo II, re d’Ungheria e imperatore dal Sacro romano impero. Al seguito del sovrano partecipò alla dieta di Augusta nel 1582. Visse presso la corte di Praga una dozzina di anni, impegnato in mansioni amministrative e diplomatiche. Come da tradizione famigliare, restò sempre suddito veneziano, legato a Sebenico, ma anche a Venezia e a Roma, e fece carriera nei vertici asburgici. La morte della moglie nel 1594 indusse Veranzio ad abbandonare per qualche tempo la segreteria imperiale e a trasferirsi a Venezia e, periodicamente, a Sebenico. In quegli anni riprese gli studi, connotati da una varietà di interessi. La conoscenza linguistica maturata nei vari contesti in cui visse lo portò a pubblicare a Venezia nel 1595 il Dictionarium quinque nobilissimarum Europae linguarum, Latinae, Italicae, Germanicae, Dalmaticae et Ungaricae. Si tratta di un’opera di grande significato lessicografico e linguistico, sia per l’approccio comparativo, con il latino come lingua paradigma, sia per essere la prima edizione stampata per il croato, indicato come dalmatico, e per l’ungherese. Nell’edizione furono inoltre presentate le cinque versioni (latina, tedesca, italiana, dalmata/croata e ungherese) dei dieci comandamenti, del Credo e delle preghiere Padre nostro e Ave Maria. Nel 1598 Veranzio ritornò alla corte di Rodolfo II sempre in qualità di segretario. Vedovo, si fece sacerdote. Nel 1600, nominato vescovo di Csanád, fu inviato dall’imperatore in una missione diplomatica in Transilvania. Gli sono attribuite le Regulae cancelleriae Regni Hungariae (in manoscritto); per sé invece Veranzio si impegnò a raccogliere testimonianze, tratte da vari autori tra l’antichità e il medioevo, sull’Illirico d’epoca greca e romana. Di questa impresa si possiede il manoscritto Illyrica historia, forse supporto documentario per una storia di Dalmazia poi non realizzata. La compromessa condizione mentale di Rodolfo II forse fu uno dei motivi per cui Veranzio abbandonò definitivamente Praga e la funzione di segretario nel 1605. Si trasferì a Roma e nel 1608 entrò nell’Ordine dei barnabiti nel collegio di Zagarolo; ma già l’anno seguente abbandonò l’ordine e si avvicinò a Juan Bautista Vives, da lì a qualche anno promotore della congregazione della Propaganda Fide. A Roma Veranzio rimase fino al 1615 e divenne un convinto fautore di azioni volte a rafforzare lo spirito della riforma cattolica post-tridentina. Ne fu frutto la raccolta di componimenti agiografici Život nikoliko izabranih divic (Vita di alcune vergini esemplari),scritta in croato e dedicata alle monache del convento benedettino di S. Salvatore a Sebenico, componimenti in qualche caso già stesi a partire dagli anni praghesi. Nel libro, Veranzio usa il volgare dalmata slavo, il croato, per comporre pure alcune preghiere, mentre usa il latino per la memoria De Slovvinis seu Sarmatis, in cui si oppone alla teoria sarmatica, degli ambienti culturali polacchi, sull’origine degli slavi, sostenendo che lo slavo, come lingua, sia originario dell’Illirico (Dalmazia). In quegli anni Veranzio, con lo pseudonimo Yustus Verax Sicenus, pubblicò due trattati polemici contro l’aristotelismo, in senso teorico conoscitivo e morale: Logica suis ipsius instrumentis formata, del 1608, ed Ethica Christiana, del 1610; trattati riuniti in un unico volume e usciti, con nome proprio, nel 1616 come Logica nova, che può essere intesa come una sovrastruttura teorica elaborata in parallelo alla narrazione agiografica: la prima destinata ai suoi pari per stato e cultura, la seconda destinata a un pubblico più ampio, slavofono di Dalmazia, la patria scelta come luogo d’azione confessionale. La Dalmazia si ripropose dunque, in Fausto Veranzio, come oggetto di studi storici (la non conclusa Storia di Dalmazia), come contesto linguistico slavo di primaria importanza rispetto alle altre Slavie europee (il dizionario), come luogo in cui agire concretamente nello spirito della riforma cattolica post tridentina. Sin dal 1590, da quando gli fu concesso il brevetto, su licenza dal senato di Venezia, per una mola o mulino polifunzionale, Veranzio aveva elaborato diversi progetti tecnici che poi sono confluiti in quella che resta la sua opera più famosa Machinae novae cum declaratione Latina, Italica, Hispanica, Gallica et Germanica, una rassegna di invenzioni tecniche di vario genere, stampata a Venezia nel 1616 (l’ipotesi di una prima edizione di quest’opera nel 1595, a Firenze, è stata esclusa).
Il volume veneziano è ricco di 49 incisioni in cui sono raffigurati 56 tra macchinari e marchingegni vari, costruzioni, impianti, strutture ed edifici, ai quali seguono i commenti descrittivi in latino, italiano, spagnolo, francese e tedesco. Di particolare interesse sono le varie tipologie di ponti, tra cui un modello di ponte sospeso, vari mulini, mole e torchi, attrezzi per la battitura del grano, modelli di imbarcazioni, di pozzi d’acqua, proposte per la regolazione del fiume Tevere e l’homo volans, un modello di paracadute. Di ogni machina è data la finalità e spiegata la modalità di funzionamento. Recenti studi hanno evidenziato come dietro Machinae novae ci fosse una motivazione prettamente imprenditoriale, piuttosto che, come spesso si è scritto, la gratuita passione per la meccanica e la tecnologia costruttiva. Machinae novae è stata riscoperta nel corso del Novecento, con lo sviluppo della storia della tecnologia. Essa esprime e ribadisce la poliedricità e l’ampiezza degli interessi non solo culturali di Fausto Veranzio, che fu uomo, nell’opera e nell’azione, pienamente inserito sia nel suo tempo sia nei contesti così diversi in cui visse. Fausto Veranzio è oggi considerato uno dei più significativi inventori nella storia della Croazia, dove il massimo riconoscimento nazionale in ambito tecnico-tecnologico porta il suo nome.
Veranzio nel 1616 decise di lasciare Roma e ritornare in Dalmazia. Morì a Venezia, dove si era fermato di passaggio, il 27 gennaio 1617.
Dictionarium quinque nobilissimarum Europae linguarum, Latinae, Italicae, Germanicae, Dalmaticae et Ungaricae, Venezia 1595; Xivvot nikoliko izabraniih divviicz, Roma 1606; Logica suis ipsius instrumentis formata (come Yustus Verax Sicenus), Venezia 1608; Ethica Christiana (come. Yustus Verax Sicenus), Roma 1610; Machinae novae cum declaratione Latina, Italica, Hispanica, Gallica et Germanica, Venezia 1616; Logica nova suis ipsius instrumentis formata et recognita. Ethica Christiana, Venezia 1616.
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