SOZZINI (Socini), Fausto
SOZZINI (Socini), Fausto. – Nacque a Siena il 5 dicembre 1539 da famiglia di antiche tradizioni. Il padre Alessandro apparteneva a un’illustre dinastia di giuristi; la madre, Agnese Petrucci, era nipote di Pandolfo Petrucci, signore di Siena dal 1503 al 1512, e discendeva, secondo il ramo materno, dalla nobile casata dei Piccolomini.
Rimasto orfano nel 1541, l’educazione di Fausto fu curata dalla madre, che lo avviò insieme con la sorella Fillide, di un anno più piccola, a studi di carattere prevalentemente letterario. Nel 1553 lo zio paterno Celso, che era professore di diritto a Bologna nonché amministratore del patrimonio familiare, lo ospitò in questa città, dove il nonno Mariano e tutti i suoi figli (tra i quali Alessandro, Lelio, Camillo, Celso e Cornelio) si erano trasferiti nel 1543 da Padova, seguendo il padre nei suoi spostamenti accademici e formandosi nelle discipline giuridiche.
Fu probabilmente a Bologna che la seconda generazione dei Sozzini venne influenzata dalle idee della Riforma. Dopo la fuga dello zio Lelio in Svizzera nel 1547, tutta la famiglia fu al centro dei sospetti dell’Inquisizione. Nel 1553 un’indagine condotta a carico di Mariano Sozzini e risolta in privato grazie all’intervento del nunzio in Germania Girolamo Muzzarelli, ex inquisitore di Bologna e fidato collaboratore di Giulio III, complicò la loro posizione. La morte di Mariano tre anni dopo e l’editto emanato nell’autunno del 1557 da Cosimo I de’ Medici che, dopo avere esteso il suo dominio su Siena, intendeva favorire il rientro in patria dei sudditi all’estero, convinsero i Sozzini a tornare nella città di origine, dove potevano contare su un consistente patrimonio.
Nel 1558 Fausto entrò nell’Accademia degli Intronati, che riuniva i membri delle più antiche famiglie cittadine, assumendo il nome di Frastagliato e dedicandosi ai suoi interessi letterari. Ma i dibattiti che si svolgevano all’interno dell’Accademia toccavano anche questioni di carattere religioso, tanto da rappresentare un momento di diffusione di idee considerate ereticali. Il 20 aprile 1561 Sozzini fu costretto a lasciare Siena per sfuggire a un’azione inquisitoriale e si recò a Lione, dove fece pratica di affari, come era consueto per un giovane di alto rango. Nel maggio dell’anno successivo lo raggiunse la notizia della morte dello zio Lelio a Zurigo, ultima tappa dei suoi spostamenti nelle terre della Riforma, dopo Ginevra, Wittenberg, Cracovia, Basilea. Fausto vi si recò a raccoglierne le carte e l’eredità spirituale.
Tra gli scritti di Lelio si trovava il commento all’inizio del Vangelo di Giovanni, che Fausto utilizzò per comporre durante il soggiorno a Zurigo e a Basilea, tra il maggio del 1562 e il giugno del 1563, il suo primo scritto teologico dal titolo Explicatio primae partis primi capitis Evangelistae Johannis, un’opera cardinale nella storia dell’antitrinitarismo cinquecentesco, nella quale egli negava la plausibilità testuale del dogma trinitario, dimostrandone l’infondatezza. Alla fine di giugno del 1563, lasciati in custodia presso Guarnerio Castiglione, stretto amico di Lelio, gli scritti suoi e dello zio, Fausto rientrò in Italia, probabilmente con l’intenzione di sistemare i propri affari in vista di una lunga permanenza Oltralpe.
Invece vi si trattenne per ben dodici anni, sotto la protezione di Cosimo de’ Medici, spostandosi tra Siena e Roma, dove condusse vita di corte come segretario di monsignor Séraphin Olivier Razali e poi, dall’ottobre del 1569, di Paolo Giordano Orsini e di sua moglie Isabella de’ Medici. In questi anni egli mantenne i contatti con gli esuli a Basilea, ma non svolse attività di propaganda né manifestò attenzione per le questioni religiose, simulando le sue convinzioni con atteggiamento nicodemitico e immergendosi nuovamente in quell’attività letteraria che aveva costituito il suo principale interesse prima del viaggio a Lione. Nel 1568 fu pubblicata anonima in Transilvania l’Explicatio, che seguiva di alcuni mesi la stampa della Brevis explicatio dello zio, secondo modalità ancora oggi da chiarire. La morte dell’amata sorella Fillide, quella dello stimato maestro Ludovico Castelvetro nel 1571, e il progressivo deterioramento dei rapporti con la casata dei Medici dopo l’avvento di Francesco I recisero i suoi legami più forti con l’Italia e lo convinsero, infine, ad abbandonare una vita di agi per riprendere quella missione di riforma religiosa che aveva lasciato interrotta.
Nella seconda metà del 1575 era a Basilea, dove fu accolto come un maestro dal gruppo di dissidenti con i quali aveva continuato a mantenere i contatti. Qui entrò subito nel vivo del dibattito teologico, sostenendo due dispute che contribuirono a chiarire aspetti fondamentali del suo pensiero. Prima discusse con il pastore ginevrino Jacques Covet il tema della funzione redentrice di Gesù Cristo, ultimando nel luglio del 1578 la Disputatio de Jesu Christo servatore nella quale negava il valore metafisico del sacrificio di Cristo sulla croce, attribuendo il suo ruolo salvifico esclusivamente alla parola, che rivela la via per la salvezza, e alla Resurrezione, che manifesta il potere divino di dare ai fedeli la vita eterna. Tale concezione era alternativa a quella del beneficio di Cristo e appariva perciò rivoluzionaria sia nei confronti della teologia cattolica che di quella luterana. Contemporaneamente affrontò la questione dell’immortalità di Adamo prima del peccato contro l’esule fiorentino Francesco Pucci, in un dibattito che si protrasse sino al 1583 a Cracovia. Nella De statu primi hominis ante lapsum disputatio, pubblicata postuma nel centro sociniano di Raków nel 1610, Sozzini negò il valore metafisico del peccato originale, considerandolo semplicemente il primo peccato commesso e non una colpa che ha mutato la natura dell’uomo.
Nell’autunno del 1578 Sozzini lasciò Basilea per recarsi a Kolozsvár (odierna Cluj-Napoca) in Transilvania, chiamato da Giorgio Biandrata, vecchio interlocutore dello zio, che sperava di trovare in lui un valido aiuto nel conflitto con Ferencz Dávid, il quale sosteneva l’illiceità dell’adorazione di Cristo. Nel corso della disputa, poi edita nel 1595 con il titolo di De Iesu Christi invocatione, Sozzini non riuscì a convincere Dávid. Decise comunque di non ritornare in Svizzera, ma di fermarsi a Cracovia, dove viveva una nutrita comunità di italiani, per la maggior parte legati alla Ecclesia minor, ossia il ramo antitrinitario della Chiesa riformata dei Fratres Poloni, che fino dal 1562 si era separata dal calvinismo organizzandosi stabilmente in una congregazione con un collegio, una stamperia, un sinodo annuale.
La sua opposizione ai non adoranti transilvani ne favorì l’accoglienza in Polonia, dove visse fino alla morte per quasi venticinque anni. Anche se non accettò mai di sottoporsi a nuovo battesimo, come richiesto per l’ingresso formale nella Ecclesia minor, Sozzini ne divenne alla fine la guida riconosciuta, tanto che nel secolo XVII essa fu universalmente nota come sociniana. Il nunzio apostolico Alberto Bolognetti lo descrisse con toni vividi in una lettera del 23 aprile 1583, sottolineando quella sua «certa bontà dispregiatrice delle cose del mondo; al qual concetto, oltre che corrisponde quella sua natural palidezza del volto, pare anco ch’egli cerchi di conformarsi et con l’habito (vestendo molto sprezzantemente benché forse per bisogno), et con le parole, le quali quanto al suono sono tutte humili et tutte dolci, onde viene chiamato angelo mandato da Dio. Et per questo può nuocere più d’ogni altro senza comparatione, che se bene egli dice di starsene ritirato, nondimeno credono molti che vada chetamente a questa casa et a quell’altra per discorrere delle cose della religione et persuadere la sua dottrina» (Tedeschi, 1965, p. 309). Fu grazie alla sua capacità di persuasione e all’imponente attività di esegesi e di controversia che la Chiesa unitariana polacca superò le divisioni interne e poté replicare agli attacchi dei calvinisti e dei gesuiti, munendosi di un corpus teologico sufficientemente strutturato.
Il primo impegno di Sozzini in Polonia fu rivolto contro il riformato Andrzej Wolan che lo criticava per la negazione della divinità di Cristo. Sozzini rispose con due scritti composti rispettivamente nel 1579 e nel 1583, poi pubblicati assieme nel 1588 con il titolo De Jesu Christi Filii Dei natura sive essentia, dove ribadì il principio della natura solo umana di Cristo, negandone la preesistenza e attribuendo alla potenza divina la sua assunzione a figlio di Dio, resa manifesta attraverso la Resurrezione. Sempre sul tema della divinità di Cristo si difese dagli attacchi dei gesuiti di Poznań e in particolare da quelli di Jakób Wujek con una serie di scritti, l’ultimo dei quali in ordine di tempo fu la Responsio ad libellum Jacobi Wuieki Jesuitae, Polonice editum, de divinitate Filii Dei et Spiritus Sancti, composto nel 1592, edito in polacco l’anno successivo e in latino nel 1594.
Ma le principali polemiche si svilupparono all’interno del movimento. Mentre Sozzini nel 1584 soggiornava a Pawlikovice, vicino a Cracovia, presso la residenza del nobile Krzysztof Morsztyn, affrontò i dibattiti con Christian Francken, che negava l’opportunità di adorare Cristo in quanto puro uomo (Disputatio inter Faustum Socinum et Christianum Francken de honore Christi) e poi con Erasmus Johannis, di tendenze arianizzanti, ancora sulla natura di Cristo (De unigeniti filii Dei existentia). Sotto il comune denominatore dell’antitrinitarismo, convivevano in Polonia tendenze diverse, ciascuna delle quali aveva una propria guida carismatica ed era radicata in una particolare zona del Paese. Così, mentre Sozzini consolidava il proprio prestigio a Cracovia, si aprì il conflitto con la Chiesa di Lublino, guidata da Marcin Czechowicz e Jan Niemojewski, che erano più vicini ai principi della tradizione anabattista e ritenevano fondamentale il battesimo per immersione degli adulti (che Fausto aveva scelto di non praticare) come segno della consapevole separazione dal mondo e dell’ingresso nella comunità dei puri cristiani. Nel De baptismo aquae disputatio, composto a Cracovia nel 1580, Sozzini aveva riunito una serie di testi nei quali affrontava le tesi di Czechowicz e sosteneva il valore puramente simbolico dei sacramenti, ritenendoli ininfluenti per la salvezza.
Durante il sinodo di Chmielnik del gennaio del 1581 aveva preso corpo lo scontro con Niemojewski, che spinse Sozzini a pubblicare all’inizio del 1583 la De loco Pauli apostoli in epistola ad Romanos capite septimo Fausti Socini cum nobilissimo viro Johanne Niemojevio disputatio, nella quale egli difese l’idea che l’uomo partecipasse con le proprie forze al processo di salvezza, sviluppando il principio esposto nel De Iesu Christo servatore di una religione fondata innanzi tutto sulla pratica dell’imitazione di Cristo.
Contemporaneamente sostenne polemiche contro Giacomo (Iacopo) Paleologo, vicino ai non adoranti transilvani, e Szymon Budny, che riscuoteva consensi in Lituania. Entrambi si discostavano dalle tendenze anabattistiche della Chiesa di Lublino, ridimensionando la centralità assegnata al ruolo di Cristo e al sermone della Montagna, per insistere invece sugli elementi di continuità tra Antico e Nuovo Testamento in una prospettiva irenica. In questo caso, però, oggetto di discussione fu soprattutto la dottrina sociale, in particolare il rapporto tra il cristiano e lo Stato. Sozzini inclinò verso il pacifismo e la diffidenza nei confronti del potere civile che erano sostenuti da Czechowicz, pur mitigandone gli aspetti più estremi, in conflitto con la posizione di Paleologo che accettava invece il potere del magistrato e della legge, nonché la possibilità per il cristiano di esercitare funzioni pubbliche. Nella Ad Jacobi Palaeologi librum pro Racoviensis responsio, pubblicata anonima nel 1581, Sozzini aveva sottolineato, infatti, la difformità tra legge mosaica e morale evangelica, che impediva al cristiano di assumere incarichi i quali implicassero l’uso delle armi, ma aveva ritenuto possibile il pagamento delle imposte per fini bellici e negato la liceità di ribellarsi all’autorità civile.
Risale all’inizio degli anni Ottanta una delle opere teologiche più importanti di Sozzini, il De sacrae Scripturae auctoritate, composta in seguito alle discussioni con l’umanista e diplomatico imperiale, ex vescovo cattolico, Andrea Dudith di Breslavia, il quale esprimeva forti dubbi sulla verità del cristianesimo. Sozzini riconosceva per fede al testo sacro la piena autorevolezza e lo poneva come unica fonte della rivelazione divina, escludendo la possibilità di una religione naturale accessibile alla ragione. In linea con la tradizione della filologia umanistica, egli concepiva invece la ragione come il solo strumento per mezzo del quale era possibile giungere a un’interpretazione univoca ed esatta delle scritture, quindi alla comprensione della parola di Dio. In questo modo fondava un razionalismo esegetico che implicava il principio della responsabilità individuale del fedele. Più tardi, nelle Praelectiones theologicae, composte probabilmente all’inizio degli anni Novanta ma pubblicate postume a Raków nel 1609, egli ribadì che nell’uomo non c’è nessuna idea naturale di Dio, come dimostrava la recente scoperta nelle terre del Nuovo Mondo di interi popoli «qui nullum penitus sensum aut suspicionem divinitatis alicuius habent» (Opera omnia in duos tomos distincta, I, 2004, p. 538).
Nell’estate del 1586 Fausto sposò Elisabeth, figlia di Krzysztof Morsztyn, il nobile che da anni lo aveva accolto sotto la sua protezione. Elisabeth morì nel settembre dell’anno successivo, poco dopo avere dato alla luce la figlia Agnese. La scomparsa del granduca Francesco I de’ Medici nell’ottobre del 1587 portò come conseguenza la fine della protezione dei Medici e l’Inquisizione di Siena aprì un procedimento nei suoi confronti che si chiuse nel 1591 con la condanna a morte in contumacia e la confisca di tutti i beni. Da allora in poi Sozzini poté contare solo sull’aiuto dell’amico Niccolò Buccella, medico di corte, e sulla generosità dei sostenitori in Polonia. Ma la sua leadership nella Chiesa unitariana continuò a crescere. Nell’agosto del 1588 nel sinodo di Brześć ottenne i più ampi consensi e si riconciliò con il gruppo di Szymon Budny, mentre una nuova generazione di giovani teologi si formava al suo insegnamento (Andrzej e Krzysztof Lubieniecki, Valentin Schmalz, Piotr Statorius/Stoiński, Johannes Vőlkel, Andrzej Wojdowski). La vittoria delle sue posizioni venne sancita nel sinodo di Lublino del 1593 e seguita, l’anno successivo, dalla pubblicazione del De Jesu Christo servatore, l’opera più rivoluzionaria e controversa sul piano teologico, che era rimasta manoscritta per sedici anni. Infine, nel 1598 la morte di Niemojewski e la rimozione dall’incarico di Czechowicz, l’ultimo a contrastare la sua egemonia, lasciarono in mano a Sozzini il ruolo di guida indiscussa della Chiesa unitariana polacca.
Ma il panorama religioso del Paese stava cambiando. Durante il lungo regno di Sigismondo III Vasa (1587-1632) ebbe inizio e si consolidò la restaurazione del cattolicesimo, grazie soprattutto all’attività dei gesuiti (il primo collegio gesuitico era stato fondato a Poznań dal cardinale Stanislao Osio già nel 1564) e, sebbene l’Ecclesia minor riuscisse a mantenere per oltre un trentennio il rispetto e la libertà, anch’essa alla fine venne travolta. Nell’aprile del 1598 gli studenti cattolici a Cracovia prelevarono Sozzini dalla sua casa e, dopo avere distrutto i libri e le carte, lo condussero sulle rive della Vistola per affogarlo. Lo salvarono alcuni colleghi dell’università.
Per motivi di sicurezza e anche a causa delle precarie condizioni di salute, Sozzini si ritirò a Lusławice, un villaggio a sud-est di Cracovia, dove trascorse l’ultimo periodo della vita. Proseguì l’attività esegetica, partecipò ai sinodi e guidò la Chiesa unitariana fino alla morte, che sopraggiunse il 3 marzo 1604.
Lasciò incompiuta la Christianae religionis brevissima institutio, un catechismo antitrinitario che venne poi completato dai suoi discepoli e, noto come catechismo di Raków, rappresentò a lungo il testo di riferimento della teologia sociniana. Nel frattempo la riconquista cattolica della Polonia si faceva sempre più profonda. Nel 1638 venne chiuso il centro unitariano di Raków e nel 1658 sotto il re Giovanni II Casimiro Vasa fu emanato l’editto di espulsione dal Regno di tutti i sociniani, uno dei grandi atti di intolleranza religiosa della prima età moderna. Essi furono costretti a migrare in altri Paesi d’Europa o a praticare il nicodemismo. Molti trovarono rifugio nei Paesi Bassi, accolti tra gli arminiani. Ad Amsterdam, tra il 1665 e il 1668, per opera di Andrzej Wiszowaty, nipote di Sozzini, venne realizzato il poderoso progetto tipografico della pubblicazione del corpus degli scritti fondamentali della tradizione sociniana con il titolo di Bibliotheca fratrum Polonorum che si apriva proprio con i due volumi dell’Opera omnia di Sozzini (in realtà gli ultimi in ordine di pubblicazione). Si trattava di un energico tentativo di resistenza alla dispersione, in difesa della propria identità religiosa. In seguito il socinianesimo penetrò in Inghilterra e negli Stati Uniti, mentre nel dibattito culturale della prima età moderna in Europa finì per essere identificato, a torto o a ragione, con il pensiero sulla tolleranza e con il razionalismo religioso.
Edizioni recenti sono disponibili in: L. Sozzini, Opere, a cura di A. Rotondò, Firenze 1986; Opera omnia in duos tomos distincta (rist. anast.), introduzione e sommari di E. Scribano, Siena 2004; Rime, a cura di E. Scribano, Roma 2004; F. Sozzini - F. Pucci, De statu primi hominis ante lapsum disputatio, a cura di M. Biagioni, Roma 2010.
Fonti e Bibl.: S. Przypkowski, Vita Fausti Socini senensis descripta ab equite polono, s.l. 1636; E.M. Wilbur, A history of unitarianism. Socinianism and its antecedents, Cambridge (Mass.) 1947; G. Pioli, Fausto Socino. Vita, opere, fortuna, Modena 1952; L. Chmaj, Faust Socyn (1539-1604), Warszawa 1963; J. Tedeschi, Notes toward a genealogy of the Sozzini family, in Italian reformation studies in honor of Laelius Socinus, a cura di J. Tedeschi, Firenze 1965, pp. 275-311; Z. Ogonowski, Socynianizm a Oświecenie (Socinianesimo e Illuminismo), Warszawa 1966; L. Szczucki, La prima edizione dell’Explicatio di F. S., in Rinascimento, XVIII (1967), pp. 319-327; D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania(1558-1611), Firenze-Chicago 1970, passim; F. De Michelis Pintacuda, Socinianesimo e tolleranza nell’età del razionalismo, Firenze 1975; V. Marchetti, Le «Explicationes» giovannee dei Sozzini e l’antitrinitarismo transilvano del Cinquecento, in Rapporti veneto-ungheresi all’epoca del Rinascimento, Budapest 1975, pp. 347-359; Id., Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze 1975, passim; Aggiunte all’epistolario di F. S. 1561-1568, a cura di V. Marchetti - G. Zucchini, Warszawa-Lodz 1982; E. Scribano, Da Descartes a Spinoza. Percorsi nella teologia razionale del Seicento, Milano 1988, pp. 151-243; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino 1992, pp. 348-359, 400-413 e passim; L. Firpo, Scritti sulla Riforma in Italia, Napoli 1996, pp. 67-96 e passim; V. Marchetti, I simulacri delle parole e il lavoro dell’eresia. Ricerca sulle origini del socinianesimo, Bologna 1999; L. Szczucki, Il processo di F. S. a Siena (1588-1591), in La formazione storica della alterità. Studi di storia della tolleranza offerti a Antonio Rotondò, I, Firenze 2001, pp. 375-394; Faustus Socinus and his heritage, a cura di L. Szczucki, Kraków 2005; F. S. e la filosofia in Europa, a cura di M. Priarolo - E. Scribano, Siena 2005; A. Rotondò, Studi di storia ereticale del Cinquecento, Firenze 2008, passim; L. Szczucki, S. F., in Dizionario storico dell’Inquisizione, III, Pisa 2010, p. 1466; E. Scribano, F. S., in Fratelli d’Italia. Riformatori italiani nel Cinquecento, a cura di M. Biagioni - M. Duni - L. Felici, Torino 2011, pp. 127-136; M. Biagioni, Fausto Socini e i sociniani, in La filosofia italiana, a cura di M. Ciliberto, Roma 2012, pp. 221-229; M. Biagioni - L. Felici, La Riforma radicale nell’Europa del Cinquecento, Roma-Bari 2012, pp. 124-142; C. Francken, Opere a stampa, a cura di M. Biagioni, Roma 2014, pp. 80-88 e passim.