SABEO, Fausto
SABEO, Fausto. – Nacque a Chiari, nei pressi di Brescia, in data imprecisata intorno all’anno 1475, da una famiglia di media condizione, se si considera quanto egli accennò in un verso dei suoi Epigrammatum [...] libri quinque (Romae, apud Alosium & Valerium Doricos, 1556, p. 490), dicendosi «mendicis non ego natus avis»; altrove era pure ricordato il fratello Pietro, della cui morte egli sarebbe stato testimone.
Fu educato nella località natale sotto il magistero di Angelo Claretto, erudito e poeta di qualche notorietà rievocato quale guida alle ‘fonti di Elicona’, proseguendo poi gli studi all’Università di Bologna. Lì fu notato dal lettore di diritto civile e canonico Alessandro Manzoli, grazie al quale forse sortì la chiamata a Roma da parte di papa Leone X, in una data non posteriore al 1516.
Senza ancora attendere all’ufficio come uno dei custodes istituiti dal pontefice per la cura della Biblioteca Apostolica, Sabeo dovette però subito assumere una posizione di fiducia per il papa, che lo incaricò, forse in compagnia di Francesco Calvo e del liegese Johann Heitmers, di una missione in Europa settentrionale «a cercare libri greci et latini quali mancava nella Libraria Vaticana» (così il nipote Ascanio Sabeo, nella supplica a papa Gregorio XIII da Chiari, 15 maggio 1584, di cui si ha copia nel Vat. lat. 6185, c. 596). Su tempi e destinazioni di questo, o più viaggi, non si hanno notizie certe, a parte i cenni vaghi sparsi negli epigrammi, dove ricorda di esser stato inviato a trovar libri «ad Reges Aquilonis et Tetrarchas» (Epigrammata, p. 840, cfr. anche p. 430), forse sul finire del 1517, anno attestato per il viaggio dell’Heitmers in Germania, Danimarca e Scandinavia. Resta tuttavia l’Index librorum quos Faustus ex diversis provinciis ad Pontificem misit (ms. Vat. lat. 7131, cc. 31v-32r): una lista, vergata dal custode Lorenzo Parmenio non più tardi del 1523, che regestava 32 codici di autori antichi e medioevali, per lo più ecclesiastici, in gran parte di mano tedesca, che erano stati il frutto della missione di Sabeo.
All’impegnativa stesura dell’inventario redatto negli anni successivi al sacco, chiuso e consegnato a Braccio Martelli il 31 agosto 1533 (ms. Vat. lat. 3951; il relativo indice, redatto da Ferdinando Ruano dopo il 1549, è nel ms. Vat. lat. 3946), Sabeo diede il suo diretto contributo quale custos insieme a Niccolò Maiorano, immesso nell’ufficio nel marzo 1532 e attivo nella ricognizione del fondo greco, mentre Sabeo si occupava perlopiù dei libri latini. Un incarico che egli aveva assunto, dopo le dimissioni del Parmenio, non oltre il 1522, dunque sotto papa Adriano VI. A tale ufficio giungeva dopo avere vestito l’abito clericale, se era detto clericus nel motuproprio emesso da papa Clemente VII nel dicembre del 1523, per pagare a Sabeo e a Romolo Mammacini emolumenti arretrati.
Le questioni remunerative sono un tema ricorrente nei versi di Sabeo, che a suo modo rivendicava la dedizione al proprio ufficio, peraltro mai compensata con avanzamenti ecclesiastici, nel lunghissimo arco di 44 anni al servizio di ben sette pontefici: dalle acquisizioni per Leone X alle calamitose perdite legate al sacco del 1527, per la cui revisione nelle raccolte vaticane egli stesso coadiuvò il cardinale Antonio del Monte, incaricato di relazionare sui danni subiti. E con un breve indirizzato a Mammacini e Sabeo il 25 luglio 1529 Clemente VII, pur criticato per la scarsa cura della Vaticana, investì i custodi di pieni poteri per il recupero dei libri e la sanzione dei trafugamenti, in un impegno che poi mise capo all’inventario del 1533.
L’apprezzamento per la strenua opera di catalogazione contribuì a estendere la rete delle relazioni intellettuali di Sabeo, segnatamente i rapporti con l’ambito dei dotti francesi sotto il pontificato di Paolo III, dal vescovo di Montpellier Guillaume Pellicier, ai cardinali François de Tournon, Jean de Lorrain, Georges d’Armagnac e in specie Jean du Bellay; i numerosi versi a lui diretti (Epigrammata, pp. 475, 509, 527, 531, 552) provano la consuetudine con Sabeo, che probabilmente per suo tramite entrò in rapporti con il re Francesco I, cui dedicò la sua prima raccolta poetica (Parigi, Bibliotèque nationale de France, Mss., Lat. 8401, datato Romae in bibliotheca Palatina (i.e. Vaticana), 1° agosto 1536). Un legame di ancor maggiore devozione lo strinse al successore Enrico II, dedicatario della citata edizione a stampa nel 1556 (se ne ha anche un esemplare manoscritto, Parigi, Bibliotèque nationale, Mss., Lat. 17908, che reca epigrammi ulteriori poi esclusi dalla silloge a stampa; altri testi assenti dall’edizione erano apparsi nella silloge delle Lacrimae in morte di Celso Mellini, Roma, G. Mazzocchi, 1519-1520, c. F ii rv).
Negli oltre tremila epigrammi ordinati nelle cinque sezioni de Diis, de Heroibus, de Amicis, de Amoribus, de Miscellaneis, la musa di Sabeo attingeva a piene mani alla poesia di Catullo e Marziale, contrappuntando la raccolta di componimenti E Graeco ispirati a epigrammi dell’Anthologia Graeca, e nell’insieme delineando una vasta rete di illustri destinatari, che andavano (oltre ai numerosi prelati, e ai francesi citati) da Pietro Bembo a Reginald Pole, da Giano Lascaris a Benedetto Lampridio, e ancora a Celio Calcagnini, Giovan Francesco Pico, Panfilo Sasso, Gerolamo Vida, Blosio Palladio, Angelo Colocci, Pietro Corsi, Vittoria Colonna, fino a Michelangelo, cui dedicò due componimenti (Par. Lat. 17908, c. 187; Epigrammata, p. 472), e a Giorgio Vasari (in due epigrammi Ad pictorem amicum, ibid., pp. 731, 733), che nelle Vite... ricordava l’apprezzamento di Sabeo per la Natività di Camaldoli. Di particolare interesse si rivelano poi i molti altri componimenti di pertinenza figurativa, rivolti a decantare le sculture in hortis Vaticanis o le ville di Blosio Palladio a Monte Mario e del cardinal Cervini sul monte Amiata, sino all’edificazione della villa Giulia a Roma.
Del peculiare gusto per l’epigramma ecfrastico, oltretutto, è testimonianza postuma l’antologia compilata da Nikolaus Reusner sotto il titolo Picta poesis ovidiana (Francoforti ad Mœnum, per Iohannem Spies, impensis Sigismundi Feyerabendi, 1580), che solo a Sabeo dava lustro tra una ventina di altri autori moderni, annunciando nel frontespizio il Thesaurus propemodum omnium fabularum poeticarum Fausti Sabaei Brixiani, aliorumque clarorum virorum [...] Epigrammatis expositarum; con larga scelta di componimenti che accordava al corpus epigrammatico di Sabeo il ruolo esemplare di modello moderno rispetto alle fonti antiche, ovidiana e properziana in specie, della versificazione ecfrastica.
Accanto alla vena epigrammatica, Sabeo poeta coltivò anche la poesia narrativa di argomento sacro, come attestano i poemi inediti De Mysteriis Christi, in sei libri (ms. Vat. Regin. lat. 351, autografo) e la Fuga Virginis Mariae, che in circa duemila esametri in tre libri ripercorre le storie della fuga in Egitto (nel ms. di Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc. 162, cc. 99r-154v; seguono, cc. 158r-173r, una versione letterale in prosa delle prime sei olimpiche di Pindaro, quindi, alle cc. 174r-184r, la dissertazione agiografica Agon Juliae Virginis).
Dell’attività testuale più strettamente legata all’impegno bibliotecario è invece prova l’edizione, da un codice vaticano sottoposto a un lavoro di emendamento e collazione svolto con Mammacini, della miscellanea di testi alchemici imperniata sulla Summa perfectionis magisterii attribuita all’alchimista arabo Jabir ibn Hayyan dell’VIII secolo: Geberis philosophi perspicacissimi summa perfectionis magisterii, rara stampa non datata per i tipi romani di Marcello Silber (databile agli anni 1531-1534, stando all’autorizzazione di Clemente VII, cc. [194]v-[195]v; la prefazione, cc. [2]r-[3]r, era sottoscritta da entrambi i custodes, mentre di Sabeo erano i versi ad lectorem, c. [193]r). Ma più notevole, per la responsabilità avuta forse anche nel ritrovamento del codice, la princeps dell’Adversus nationes di Arnobio, il cui ottavo libro conteneva quello riconosciuto in età seriore come l’Octavius minuciano (Arnobii disputationum adversus gentes libri octo. Nunc primum in lucem editi, Romae, apud Franciscum Priscianensem, 1542; la dedicatoria a Francesco I, c. a ii rv, era datata 1° settembre 1543), da un codice del IX secolo forse reperito a Fulda (il manoscritto ora a Parigi, Bibliotèque nationale, Mss., Lat. 1661, non dovette essere quindi un’acquisizione della Vaticana); stampa di cui Sabeo – come già per la Geberis summa – si accollò le spese, beneficiando del lavoro filologico svolto dal Priscianese con Girolamo Ferrari.
L’impegno del custode si manteneva sempre indefesso negli anni di papa Paolo III che, nell’ottobre del 1548, elesse a cardinale bibliotecario Marcello Cervini, con cui Sabeo ebbe ottimi rapporti, come si evince dai versi dedicatigli e da lettere di Guglielmo Sirleto. Sotto Giulio III, poi, secondo quanto documenta il motuproprio datato maggio 1550, accluso a una lettera del cardinale camerario Guido Ascanio Sforza (in Archivio segreto Vaticano, Arm. XXVIIII, Divers. Camer., 144, c. 287r), il suo stipendio veniva accresciuto di oltre il doppio. Quando la stampa degli Epigrammata vide la luce, nel 1556, egli ormai ottuagenario andava accusando sempre più i travagli dell’età, sicché il 30 giugno 1557 Paolo IV emise il breve per la coadiutoria di Federico Ranaldi «cum futura successione», subordinandola al consenso del custode anziano Sabeo che il 13 luglio 1558, ormai pressoché cieco, rassegnò l’incarico. La morte sarebbe giunta il 15 ottobre 1559 (data citata dal nipote ed erede Ascanio nella lettera da Chiari del 6 maggio 1584 al cardinale Sirleto, nel ms. Vat. lat. 6185, c. 595r).
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