MONTANARI, Fausto
– Nacque a Viterbo, l’11 maggio 1907, da Giovanni Carlo e da Emma Sestini.
Compiuti gli studi liceali a Pavia, dove si era trasferito con la famiglia da Mantova nel 1918, si iscrisse nel 1924 alla facoltà di giurisprudenza di Milano, ma l'anno seguente, in concomitanza con la morte del padre, passò alla facoltà di lettere, animato dalla speranza di potersi dedicare al giornalismo. Nel 1926, sempre al seguito della famiglia, si trasferì a Pisa, dove poté proseguire gli studi universitari laureandosi, il 20 giugno 1930, sotto la guida di Attilio Momigliano, con una tesi sul pensiero estetico-critico di N. Tommaseo, pubblicata integralmente nel 1931 (L’estetica e la critica di Niccolò Tommaseo, in Giorn. storico della letteratura italiana, XCVIII [1931], pp. 1-72).
Nel 1931 ottenne una borsa di studio dell’Istituto Kirner di Firenze, che utilizzò presso la scuola di perfezionamento in filologia moderna dell’Università cattolica di Milano, sotto la guida di C. Calcaterra, studiando in particolare il romanticismo italiano e la figura di Silvio Pellico.
Nel 1932 vinse il concorso per l’insegnamento di lettere italiane e latine nei licei e fece domanda, senza successo, per essere assegnato al liceo scientifico di Trieste al fine di proseguire gli studi relativi a una bibliografia critica di F. Petrarca, che aveva intrapreso utilizzando la collezione petrarchesca della Biblioteca civica triestina. Incaricato in quell'anno come straordinario di italiano e latino al liceo scientifico di Cagliari, nel 1934 fu trasferito al classico di Mantova. Conseguito l’ordinariato, nel 1935 fu assegnato per sua richiesta al liceo classico G. Mazzini di Genova Sampierdarena, dove prestò servizio fino al 1941, anno del suo passaggio al liceo classico A. D’Oria di Genova.
Cattolico per educazione materna, da studente universitario aveva aderito alla Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), divenendone, negli anni, assiduo militante e maturando in quell’ambiente rapporti di amicizia con i sacerdoti genovesi E. Guano e F. Costa, con G. Dossetti, A. Fanfani, G. La Pira, G. Bo e con G.B. Montini, il futuro papa Paolo VI. Nel 1932, insieme con il fraterno amico I. Righetti, contribuì alla nascita del Movimento laureati di Azione cattolica, dal 1980 Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC), del quale fu a lungo animatore negli anni gravosi del regime fascista.
Politicamente vicino alle posizioni del Partito popolare, maturò un profondo sentimento antifascista, rifiutando sempre l’iscrizione al Partito nazionale fascista (PNF), più volte caldamente suggeritagli, a costo di vedersi escluso da qualsiasi concorso universitario e dalla libera docenza in letteratura italiana, che conseguì solo dopo la caduta del regime, nel 1948. Membro del Comitato di liberazione nazionale (CLN) di Genova con delega alla scuola, durante l’occupazione tedesca sfuggì per miracolo alla cattura da parte dei nazifascisti e poté fare ritorno a casa solo dopo la Liberazione (25 apr. 1945).
In quel periodo, l’11 febbr. 1942, si era unito in matrimonio con Luisa Bazuro, da cui ebbe i figli Andrea, Flaminia, Marta, Michele, Eugenia, Carlo, Benedetto e Pio.
Poco prima della Liberazione, dal 1° febbr. 1945, su proposta di F. Mannucci ottenne la nomina ad assistente volontario alla cattedra di letteratura italiana dell’Università di Genova. Dal 1946 al 1948 fu chiamato a supplire A. Pellizzari come assistente incaricato alla cattedra di lingua e letteratura italiana del neonato istituto universitario di magistero di Genova. Conseguita la libera docenza, dall’ottobre 1948 al 1959, presso lo stesso magistero, fu insegnante incaricato per i corsi di pedagogia e vigilanza nelle scuole elementari, maturando la qualifica di professore straordinario di ruolo dal 1° nov. 1959. Nel marzo 1963 divenne ordinario nella cattedra di lingua e letteratura italiana, qualifica che avrebbe esercitato a decorrere dal 1° nov. 1962 sempre presso il magistero genovese, fino al 31 ott. 1982, quando fu collocato a riposo (essendo già fuori ruolo dal 1° nov. 1977).
Nello stesso istituto ricoprì i ruoli di vicedirettore, durante il biennio 1959-61 e dal 1962 al 1964, e di sovrintendente della biblioteca, dal 1962 al 1964.
Parallelamente alla carriera accademica il M. proseguì anche nel dopoguerra il proprio impegno civile e coltivò l’interesse per la politica attiva: nel 1961 fu eletto consigliere comunale a Genova nelle liste della Democrazia cristiana (DC), alla quale aveva aderito sin dalla sua fondazione, ma verso cui mantenne sempre un'autonomia intellettuale che, non di rado, lo indusse a disapprovare la linea politica maggioritaria nel partito e la condotta morale di taluni suoi esponenti. Un’altra espressione dell’impegno civile del M. fu rappresentata dalla sua attività giornalistica.
Legata in particolare al quotidiano cattolico genovese Il Cittadino, del quale assunse la direzione, sia pure non ufficialmente, nel giugno 1945, per rinunciarvi poco dopo, alle soglie della carriera accademica, la passione del M. per il giornalismo non si estinse, tuttavia, in quella breve esperienza, ma ebbe seguito con numerosi contributi presso testate autorevoli come L’Osservatore romano, Avvenire, L’Eco di Bergamo.
L’attività scientifica del M. fu rivolta inizialmente allo studio di tematiche ottocentesche, a partire dal lavoro di tesi di laurea su Tommaseo critico, per arrivare ai primi volumi monografici.
Il primo di essi fu dedicato alla poetica tragica risorgimentale di Pellico, affrontata in relazione tanto a Le mie prigioni quanto alle tragedie posteriori al 1820 (Silvio Pellico, Genova 1935). Il secondo si orientò su problematiche di critica letteraria, in ordine alla ricerca di originali impostazioni ermeneutiche (Introduzione alla critica letteraria, Roma 1936). Il terzo indagò l’opera di F. De Sanctis, con l’obiettivo precipuo di mettere in rilievo le opposte istanze da cui quest’ultima era stata generata, specialmente agitando il problema della storicità dell’arte (Francesco De Sanctis, Brescia 1939). Il quarto considerò l’umanesimo, non già per tracciare un esaustivo profilo storico-letterario di quell’età, ma per avanzare dubbi e riserve sul significato attribuito a essa dalla critica ottocentesca, specie per affermare la discontinuità culturale tra il preumanesimo di Dante, fondato sulla sistemica subordinazione della vita terrena a una trascendente idea di Dio, e l’umanesimo più maturo e «razionalista», che aveva sovvertito l’ordine di quella gerarchia e anteposto il valore dell’esperienza sensibile ai fondamenti della vita cristiana (Riserve su l’Umanesimo, Milano 1943).
Alla fine degli anni Quaranta maturò l’incontro con Dante, da cui sarebbero germinati gli esiti di maggiore rilievo scientifico nell’ambito dell’intera attività critica del M.: tra il 1949 e il 1951 vide la luce un commento alla Commedia (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Brescia 1949-51), che ambiva a guidare la lettura di chi per la prima volta si accostava al poema dantesco e che, proprio per il suo carattere essenziale e per la chiarezza di esposizione, ebbe larghissimo impiego nelle scuole, vantando nel tempo numerose ristampe (l’ultima, dell’Inferno, risale al 2006) a riprova di un successo duraturo attraverso diverse generazioni di studenti.
Il commento del M. si affacciava nel variegato e denso panorama dell’esegesi dantesca con un taglio critico funzionale alla tipologia di destinatario cui si rivolgeva: fu pensato come un ausilio immediato alla comprensione del testo, scandito da glosse stringate, prevalentemente rivolte alla parafrasi del dettato e a fornire le coordinate minime per la contestualizzazione storico-critica dei principali nodi testuali, lasciando comunque trasparire una raffinata sensibilità ermeneutica, specialmente esercitata alla decifrazione linguistica, al riconoscimento delle fonti classiche e scritturali e all’analisi degli elementi allegorico-morali del poema. Le introduzioni ai canti furono pensate come compendiosi riepiloghi della materia narrativa del viaggio dantesco, risultando così utili strumenti alla fruizione del testo in chiave didattica e demandando all’apparato di note analisi e riferimenti più puntuali. In tal senso il commento del M., con finalità analoghe a quelle che negli anni Trenta avevano ispirato l’opera esegetica di C. Grabher, intendeva differenziarsi dai maggiori commenti alla Commedia in voga negli stessi anni, da quello denso ed erudito di G.A. Scartazzini e G. Vandelli, al più scarno, ma non meno ricco di sottili intuizioni, del maestro Momigliano, che aveva visto la luce solo pochi anni prima, nel 1946, e ambiva così soprattutto a chiarire la dinamica delle espressioni concrete dantesche e a rendere pienamente accessibili i motivi generatori del poema.
Il contributo più significativo del M. alla critica dantesca è però rappresentato dal volume su L’esperienza poetica di Dante (Firenze 1959).
In esso il M. ripercorre l’itinerario della poesia dantesca dalle immagini cavallerescamente estetiche ed evasive, ma già in qualche modo apostoliche, della Vita nova, attraverso l’esperienza delle rime allegorico-dottrinali del Convivio come esito di un nuovo apprendistato filosofico, fino alla sempre più matura volontà di tradurre le isolate figure liriche giovanili in coerenti costruzioni di una poesia che raggiunge il suo apogeo stilistico nell’espressività trascendente del Paradiso. Il M. interpretava la dinamica propria dell’esperienza lirica dantesca come l’attuazione di continue sintesi delle sperimentazioni retoriche del passato, nel cui progredire l’esperienza poetica precedente è sempre oltrepassata, ma non smentita, da un rinnovato sforzo stilistico e da una più alta ambizione espressiva. La storia della poesia dantesca veniva così riletta come una sorta di viaggio ascensionale attraverso i simboli che descrivono le tappe di questa biografia estetica: dalla Donna gentile, personaggio poetico ancorato a una concezione stilnovistica dell’amore, ma anche allegoria del primo tentativo di superamento dell’esperienza lirica giovanile per mezzo della filosofia; a Virgilio, ipostasi di una poesia umanamente suprema; fino a Beatrice, personaggio poetico depositario di connotazioni semantiche in continuo divenire, che infine incarna il concetto della teologia e si pone come scorta necessaria all’apoteosi mistica di una paradisiaca poesia dell’ineffabile.
La caratura dell’interesse per Dante è testimoniata da altre due monografie, nelle quali il M. continuò a esercitare il gusto per una divulgazione raffinata dell’opera dantesca: i volumi La Divina Commedia (Roma 1966) e Il mondo di Dante (ibid. 1966) intesero approfondire l’indagine sulla natura propria della poesia dantesca e offrire al lettore le linee guida indispensabili all’intelligenza della cultura e del mistero retorico e spirituale del poeta fiorentino. Dagli anni Sessanta il M. produsse anche una nutrita serie di lecturae Dantis: i numerosi contributi danteschi sparsi per lecturae e riviste sono stati riuniti, in occasione del centenario della nascita del M., nel volume Letture dantesche, per cura di G. Farris (Savona 2007).
Accanto all’interesse per Dante, il M. condusse studi non effimeri su almeno altri due autori: Petrarca e N. Machiavelli.
Al primo dedicò una monografia (Studi sul Canzoniere del Petrarca, Roma 1958) che, sostenendo l’unità «esemplare» dei Rerum vulgarium fragmenta, si proponeva di accertare gli strumenti con cui il Petrarca, pur attingendo alla tradizione della poesia d’amore cortese, dagli stilemi magici e favolosi di quest’ultima si distacca per sviluppare una nuova poesia di intimità raccolta e meditativa, improntata al primato dell’eloquenza morale, legata a una discorsività quotidiana e lontana da una trasfigurazione metafisica dell’amore di matrice dantesca. Del secondo trattò in una monografia dal taglio critico originale (La poesia del Machiavelli, ibid. 1953), che, individuando le due componenti dell’opera di Machiavelli nel calcolo logico e nel gusto fantastico espressivo, sosteneva il primato di quest’ultima componente, affermando il valore anzitutto estetico della scrittura machiavelliana.
Negli anni della piena maturità il M. ampliò ulteriormente l’orizzonte culturale delle proprie ricerche, come testimoniano gli argomenti delle ultime opere monografiche (Riflessioni sulla poesia del Tasso, Savona 1974; Letture gozzaniane, ibid. 1976; «Il miracolo» di G. Pascoli, Barga 1978). Il volume La poesia come esperimento di cultura (Roma 1980) nacque, invece, come raccolta di articoli, già apparsi in riviste e opere miscellanee, tesi a scandagliare un orizzonte vastissimo della letteratura italiana, da G. Guinizzelli a Petrarca, da G. Boccaccio a L. Ariosto, da G. Leopardi ad A. Manzoni, i quali erano stati riuniti dal M. in una prospettiva metodologica unitaria, data dalla pratica della critica come commento.
Sulla scorta dell’esegesi della Commedia dantesca, il M. curò diverse edizioni commentate di altri testi capitali della letteratura italiana, prevalentemente destinate alla didattica scolastica, ma apprezzabili anche da un pubblico di lettori avveduti, e alcune fortunate opere antologiche per i licei e gli istituti superiori.
Una così prolifica attività scaturiva dalla persuasione, più volte programmaticamente enunciata dal M., che compito precipuo del critico fosse l’arte del commentare i testi, come lettore sperimentato che addita agli altri il proprio modo di leggere le opere letterarie. Da tale concezione, dunque, nascevano i commenti a «Il Principe» e passi dei «Discorsi sopra la prima deca di T. Livio» di Machiavelli (Torino 1962), al Saul di V. Alfieri (ibid. 1971), alle Poesie di Pascoli (Milano 1973); l’antologia latina Romanitas (Brescia 1942); l’Antologia della letteratura italiana (I-III, Torino 1952-54) e la Storia della letteratura italiana (I-III, ibid. 1972), in collab. con M. Puppo, di cui, per entrambe, il M. curò i secoli dal XIII al XVI; i manuali Cittadini di domani (Firenze 1958), guida all’educazione civica in collab. con G. Nosengo e Lineamenti di storia della lingua italiana (ibid. 1975), in collab. con L. Peirone. Il M. diresse, inoltre, sempre con Puppo, le collane di classici italiani per gli editori Marzorati di Milano e Società editrice internazionale di Torino. Di rilievo sono anche i profili di Machiavelli e Guicciardini curati dal M. per La Letteratura italiana (Marzorati), I maggiori, I, Milano 1956, pp. 407-458.
Correlate al suo impegno nel cattolicesimo italiano, il M. pubblicò diverse opere di argomento spirituale e morale, tra le quali si segnalano: Il tempo eterno (Roma 1941); Fuga dalla solitudine (Brescia 1943); una scelta, con traduzione e commento, di Pensieri di Biagio Pascal (ibid. 1945), opera estremamente fortunata, come testimoniano le numerose edizioni e ristampe; In memoria del califfo Omar, saggi di morale letteraria (Padova 1946); Una strana dolcezza (Genova 1979), versione riveduta e accresciuta di Fatica di essere uomini (Brescia 1950).
Non trascurabile, infine, la produzione narrativa del M. che diede alla luce, tra le altre opere, i romanzi Un orologio suona solitario (Milano 1945 e 1983), narrazione intrisa di spiritualità, ambientata nella Cina del padre Matteo Ricci (1582-1610), e l’opera d’esordio, Amore di Orlando (Roma 1938, ultima ed. Milano 1974), rivisitazione della vicenda ariostesca di Orlando e di Gano di Magonza, elevata a paradigma di quella ricerca senza tempo che si consuma nella universale tensione dell’uomo al mistero dell’amore di Dio.
Il M. morì a Genova il 31 luglio 2000.
Fonti e Bibl.: S. Verdino, Addio a M. illustre italianista, in Il Secolo XIX, 1° ag. 2000; G. Cavallini, Ricordo di un maestro e di un amico: F. M., in Studium, XCVII (2001), 2, pp. 319-322; Id., F. M., in Atti della Accademia ligure di scienze e lettere, s. 6, IV (2001), pp. 49-53; G.B. Varnier, F. M.: esempio di impegno civile di un cristiano, ibid., X (2007), pp. 301-316; A. Giorgi, F. M, un antifascista in cattedra, in Avvenire, 11 maggio 2007.