PIGNATELLI, Faustina
PIGNATELLI, Faustina. – Nacque a Napoli il 9 dicembre 1705 da Michele e Faustina Caracciolo dei marchesi di Capriglia e Villamaina.
Nel 1723 sposò il principe di Colubrano, Francesco Carafa, figlio di Domenico e di Caterina Carafa dei duchi di Maddaloni, e in quello stesso anno, probabilmente in occasione delle nozze, ottenne il Ducato di Tolve, in Basilicata, per refuta dello zio paterno Girolamo, principe di Strongoli.
Si sa poco degli anni giovanili e dell’educazione di Faustina, dama di varia e solida cultura, particolarmente versata nelle scienze matematiche e filosofiche, ma parimenti competente in quelle umane. Si formò a Napoli che, incline fin dal secolo precedente ad accogliere le suggestioni della scienza nuova, agli inizi del Settecento beneficiava dell’infaticabile azione modernizzatrice di Celestino Galiani. In tale contesto, culturalmente vivacissimo e precocemente frequentato da alcune donne, Faustina fu allieva del matematico Nicola Di Martino che contribuì a diffondere le teorie newtoniane nella capitale partenopea e che, tra le altre sue opere, ne scrisse alcune ideate «ad usum Faustinae Pignatelli».
Alacremente impegnata in iniziative di discussione e divulgazione filosofica e scientifica, Faustina fu animatrice del salotto scientifico tenuto a palazzo Carafa di Colubrano che, caratterizzato da un approccio teorico e matematico alla filosofia naturale di Newton, suscitò l’ammirazione del magistrato francese Charles de Brosses e dell’abate Jean-Antoine Nollet dell’Académie des sciences di Parigi, allorché soggiornarono a Napoli.
Senza limitarsi al ruolo di accorta padrona di casa e di abile organizzatrice di eventi, la principessa contribuì con competenza, determinazione e scrupolosità alla discussione scientifica; si espresse, in particolare, sulla controversa questione della ‘forza viva’ che divideva i novatores newtoniani dai cartesiani e si inserì nel dibattito con acute e originali riflessioni di carattere epistemologico.
Apprezzata da Voltaire e da Joseph-Jérôme de Lalande, intrattenne rapporti epistolari con numerosi intellettuali di prestigio, come il segretario dell’Académie des sciences, Jean-Jacques Dortous de Mairan, ed Émilie du Châtelet, traduttrice dei Principia di Newton. Avviò un fitto carteggio con Francesco Maria Zanotti, voce autorevole dell’ambiente accademico di Bologna e segretario dell’Accademia delle scienze della città, istituzione emerita di cui la principessa fu socia onoraria dal 1732. Quando Zanotti sintetizzò in uno scritto in forma dialogica il dibattito sul tema Della forza dei corpi che chiamano viva, inserì tra gli interlocutori la sua dotta corrispondente napoletana, insieme con altri frequentatori del suo cenacolo, tutti convinti oppositori del primato della metafisica sulla scienza. Da questa opera Pignatelli ottenne un importante riconoscimento pubblico della sua autorità di scienziata, che risulta oggi particolarmente significativo dal momento che il valore scientifico della nobildonna si può stimare solo in base alle testimonianze dei contemporanei, essendo andata dispersa tutta la sua produzione.
Studiosa versatile, si dilettò pure di poesia e nel 1728 fondò insieme al marito l’Accademia del Monte Capraio nel feudo di Formicola, presso Capua.
Nel 1731 abbandonò il tetto coniugale e si rifugiò nel monastero di Regina Coeli, ove già si trovava la figlia Caterina, lasciando con il marito i figli nati dalla loro unione: Giuseppe, cavaliere gerosolimitano, Michele, poi succeduto al padre nei titoli e nei beni, e Diomede Casimiro, futuro ecclesiastico di vasta cultura. Ricorse al viceré Aloys d’Harrach, per indurre il consorte a educare convenientemente la prole e a pagarle alimenti adeguati allo status, avviando un lungo contenzioso trascinatosi ben oltre la fine del viceregno austriaco e l’avvento della dinastia borbonica sul trono napoletano. Gravemente malata, Faustina nel 1739 lasciò il monastero per curarsi, forte degli appoggi di cui godeva a corte, ove la suocera era l’influente cameriera maggiore della regina. Nello stesso anno, mentre erano espletati da parenti e amici tentativi di riconciliazione tra i coniugi, fu nominata dama di corte e riprese a ricevere nel suo salotto a palazzo Colubrano. Nel volgere di qualche mese, tuttavia, si riaccese il conflitto coniugale e per dirimerlo si chiese l’intervento diretto di Carlo di Borbone. Ascoltate sia le ragioni della principessa, che accusava il marito di reiterati atti di violenza e di assidue frequentazioni con donne di malaffare, da cui aveva contratto il ‘mal francese’ che le aveva trasmesso, sia quelle, molto diverse, del principe, che negava ogni addebito e contestava i comportamenti della moglie, dama altera e autonoma oltre misura, fu concluso che mancavano i presupposti per una riconciliazione. Riconosciuto il diritto della donna a un congruo assegno di mantenimento, fu disposto che dovesse essere accolta nel ritiro di Mondragone che, non essendo luogo di clausura, le avrebbe consentito di frequentare la corte. A detta di Bernardo Tanucci, alla crisi coniugale dei Carafa avrebbe concorso pure José Joacquin Guzmán de Montealegre, che sembrerebbe non essere rimasto insensibile al fascino della colta Faustina, suscitando anche per questo motivo la riprovazione della principessa vedova di Colubrano, figura di spicco del ‘partito’ ostile al ministro sivigliano e fautore della sua caduta.
Gli eventi degli anni successivi contribuirono alla definitiva risoluzione della vertenza familiare dei Carafa, in quanto Francesco, già sostenitore del governo cesareo prima di schierarsi disinvoltamente con quello borbonico, dovette lasciare Napoli per prendere parte alla spedizione antiaustriaca e, accusato di cospirare a favore dell’Impero e imprigionato in Sant’Elmo dopo la battaglia di Velletri, morì nel 1746.
La vedova gli sopravvisse a lungo, libera di dedicarsi ai suoi studi e al suo circolo culturale e di sostenere giovani talenti in cerca di fortuna. La principessa si mostrò scarsamente perspicace e aperta al confronto quando dovette affrontare questioni che non afferivano alla sfera scientifica e visse le contraddizioni in cui si dibattevano molti intellettuali meridionali, in larga misura incapaci di compiere un salto di qualità nel processo di modernizzazione. Come signora di vassalli, spese tutta la sua autorità per impedire che Tolve si sottraesse al dominio feudale e intraprese un lungo contenzioso per ostacolarne il riscatto in demanio.
Morì a Napoli il 30 dicembre 1769.
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