FATO (lat. fatum, da fari "dire")
Il termine latino indicò in origine il detto, la parola, pronunziata dalla divinità: essa rappresenta per gli uomini il volere degli dei (vox Iovis, Serv., Ad Aen., X, 628, pari al gr. Διὸς αἷσα) e quindi il destino irrevocabile degli uomini o degli stati, fissato fin dal principio (cfr. il gr. μοῖρα e ἀνάγκη); al plurale, indicò i detti di qualche veggente o indovino riguardanti appunto l'avvenire destinato ai singoli uomini; in seguito Fata o tria Fata indicarono personificazioni del destino umano (Parca, Nona, Decima), simili alle Moire dei Greci (v. parche). Il concetto di fato come destino, elaborato dalla speculazione astrologica babilonese, si diffuse dall'Oriente (donde le personificazioni diverse di Gad, Τύχη) in Roma, dove esso - e con esso il termine - entrò nel linguaggio poetico e filosofico.
L'idea era però antichissima e assai diffusa. Accanto cioè alla divinità, oggetto propriamente della fede religiosa, e alle leggi ineluttabili della natura, oggetto dell'esperienza quotidiana, l'uomo, per quei casi che non sapeva spiegare né per mezzo di quella né per mezzo di queste, in ogni tempo si è sentito spinto ad ammettere l'esistenza nell'universo di una forza cieca e misteriosa alla quale niente può resistere. Il fato dunque è un'idea intermedia tra quella di natura e di divinità: comune con la prima ha l'ineluttabilità, con la seconda la libertà dei voleri; ma si differenzia dall'una e dall'altra per il suo agire senza ragione e senza scopo. Quindi, mentre gli effetti della natura si possono prevedere con l'osservazione e la volontà di Dio si può rendere favorevole con la preghiera, i decreti del fato non si possono né prevedere né mutare. Nonostante questa essenziale inconciliabilità, nella storia si è cercato di riavvicinare sempre più il fato tanto alla natura quanto alla divinità. E il primo avvicinamento è avvenuto soprattutto nell'astrologia, di cui è canone fondamentale che niente avviene sulla terra che non sia la riproduzione o l'effetto di ciò che avviene nel cielo. Quindi tutti gli avvenimenti terrestri, anche umani, sarebbero esattamente determinati da una necessità (gr. εἱμαρμένη) la quale partecipa insieme del fato e della natura (fata regunt orbem, certa stant omnia lege, Manil., IV, 14); giacché in parte consiste nelle leggi naturali che regolano il movimento delle stelle fisse e in parte nei mutamenti apparentemente volontarî del corso e delle fasi dei sette pianeti; sicché è possibile prevedere il corso della vita di un uomo (v. astrologia).
Quanto poi alla divinità, essa invero fu da principio considerata come inferiore al fato: così presso gli antichi Arî la legge suprema dell'universo (vedico Rta, avestico Aša) era una forza irresistibile agli stessi dei, e presso Omero la Moira era temuta e rispettata anche dai numi, compreso Zeus. Ma poi si cominciò a considerare la divinità come cooperatrice del fato e, dove si attribuiva speciale importanza alle tavole e al libro del destino, si credeva che lo scrittore ne fosse stato un dio: in Egitto, Thout il dio della sapienza, e, a Babilonia, il dio corrispondente Nabū. Anzi qui si finì col farne addirittura non più una composizione del fato ma degli dei, i quali al principio del nuovo anno si radunavano nelle sale del destino nel tempio Esagila, sotto la presidenza di Mardūk, per stabilire le azioni e gli avvenimenti dell'anno futuro. In simil guisa, nelle religioni monoteistiche in generale, ma in specie nel cristianesimo, ogni idea di fato viene esclusa e in sua vece si pone la fede nella provvidenza e predestinazione divina, per la quale niente avviene nel mondo che non sia voluto ed esattamente determinato da Dio. Le religioni soteriche, che promettono ai loro fedeli la salvezza, soprattutto intendono la salvezza dalla schiavitù del destino; in tal senso si ritenevano divinità salvatrici Iside nei misteri egiziani, e Mitra nei persiani. Il cristianesimo poi, com'è noto, nega l'esistenza del fato o destino. Parimenti nel cristianesimo primitivo Cristo era creduto il salvatore non dal destino, che non esiste, ma dalla tirannia degli spiriti che, ribellatisi a Dio, ora dagli astri dominano il mondo, detti perciò principi (ἄρχοντες) di questo secolo (I Corinzî, II, 8) e tiranni (κοσμοκράτορες) di questo mondo tenebroso (Efesini, VI, 12).
Nei paesi celtici, dov'era diffuso il culto delle Matres o Matronae spesso in numero ternario, ci sono rivelate dalle iscrizioni le Fatae (v. fata); e come alla vita delle donne presiede la fata, così - sempre nella credenza popolare - quella degli uomini è retta dal Fatus; e poiché la più irrevocabile manifestazione del destino è la morte, fatum o fata ha finito per significare la morte e ciò che da essa si origina, cioè l'ombra o il cadavere (Prop., I, 17,11).
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