FATA (dal lat. *fata, da fatum; v. fato; fr. fée; sp. hada; ted. Fee; ingl. fairy)
Essere favoloso che, in virtù dei suoi poteri magici, compie opere sovrumane e che, pur avendo forma di donna, può recare gli attributi dell'altro sesso. Bellissima e dotata di voce deliziosa, la fata può assumere mutevoli sembianze e farle assumere ad altri. Frequenta le caverne, le grotte, le rocce, i boschi, le sorgenti; a chi vi si avvicini, specie verso il mezzogiorno, si consiglia di pronunziare un saluto, e chiedere il permesso di bere o di riposare. Le fate, pronte ad intervenire nei casi umani in favore degl'innocenti o dei perseguitati, riparano torti, vendicano offese, consegnano oggetti fatati (anelli, bastoni, pietruzze, ecc.), che rendono i possessori invulnerabili o invisibili, capaci di abbattere monti, di traversare fiumi o mari, di costruire palazzi sontuosi, ecc. Si vuole che esse compariscano a segnare il destino nelle epoche solenni come la nascita, le nozze, il capodanno, l'inaugurazione di una casa. In alcuni racconti le fate che visitano le culle sono tre: due benefiche, l'altra malefica; quella che prevale segna il destino. In qualche luogo le famiglie che cambiano di abitazione preparano la tavola o il banchetto delle fate, a fine propiziatorio. Le fate hanno larga parte nelle tradizioni e nella letteratura di moltissimi popoli. Questa credenza è generalmente considerata come una delle più tenaci sopravvivenze dell'animismo (v.), ma nei paesi celtici si ricollega quasi certamente al culto delle Matres.
Bibl.: H. Schreiber, Die Feen in Europa, Friburgo 1842; Goyau, La vie et la mort des fées, Parigi 1910; E. S. Hartland, Science of fairy tales, Londra 1891; Macleod Yearsley, The folklore of fairy tale, Londra 1924; J. A. Mac Culloch, Fairy, in Hastings, Encyclopaedia of Relig. a. Etichs, Edimburgo 1902; Kummer, Fee, in Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, Berlino 1929; A. Lefèvre, Fées, in Dictionn. des sciences anthropologiques.