FASOLATO
Sotto questo cognome figurano nei documenti settecenteschi della fraglia padovana dei tagliapietra (conservati presso l'Archivio di Stato di Padova) numerosi membri di una famiglia di tagliapietra e scultori, una vera e propria dinastia all'interno della quale non sempre appaiono chiari i rapporti di parentela.
In particolare sono registrati due scultori di nome Agostino, attivi pressoché contemporaneamente: Agostino di Silvestro, nato nel 1712 e morto il 6 sett. 1787, e Agostino di Vincenzo e di Orazia Piesti, nato il 27 giugno 1714 (Semenzato, 1957, e Mazza, 1977, p. 17 n. 9) e ancora vivente nel 1787 (Mazza, 1977). Stando a una notizia, riportata, pur in forma ipotetica, dal Pietrucci (1858), secondo cui Agostino - del quale egli fornisce uno smilzo catalogo di opere - sarebbe stato figlio di Vincenzo, e alla documentazione di una presenza di maggior rilievo di questo Agostino, a partire dal 1741, all'interno della fraglia, la critica ha ritenuto di indicare in costui la personalità emergente tra i F. con lo stesso nome. Tuttavia coincidendo, nel sesto e all'inizio del settimo decennio, l'iscrizione alla fraglia e quindi l'attività di Agostino di Silvestro e di Agostino di Vincenzo e dato il diverso carattere dei lavori che si ricordano eseguiti in tali anni, è plausibile che due siano le personalità; una, di tagliapietra, altarista e modesto "intagliatore", l'altra di artigiano portato all'esercizio virtuosistico del mestiere. È indubbio che, se si accoglie l'alternativa di un solo artista, questo appare comunque il duplice profilo della sua fisionomia. Come "intagliatore" e poi come nagliapietra" è ricordato nel 1752 un Agostino F., pagato il 18 novembre e il 2 dicembre di tale anno per i giorni di lavoro nei "marmi per il coro" della basilica del Santo (Sartori, 1976) che dovrebbero essere i "due pilastrini... ne' lati interni nell'ingresso del Coro vicini a' sedili, tutti a basso rilievo, con fanciulli ed altri ornamenti", che il Rossetti (1765, p. 73) riferisce eseguiti dall'artista su disegno di Giovanni Gloria.
Pressoché contemporaneamente dovette occuparsi di lavori (non meglio documentati) per l'altare del Santissimo Sacramento del duomo di Montagnana, consacrato nel 1755, ornato nel parapetto da tre bassorilievi di Antonio Bonazza e nel tabernacolo dai piccoli bronzi di Michelangelo Venier 0758: Giacomelli, 1936). Mancano elementi per stabilire se il suo intervento sia consistito soltanto nell'opera di tagliapietra o si sia esteso alle altre parti scultoree decoranti l'altare. Certo è più logico pensare a lavori marginali, da "intagliatore" più che da scultore, sul tipo di quelli costituiti da alcune parti ornamentali eseguite per l'altare del Rosario, smembrato in tempi moderni, della stessa chiesa di Montagnana, per il completamento del quale Agostino aveva fornito il disegno. In tutte le relative ricevute di pagamento, tra il 1760 e il 1761 (Mazza, 1977), egli si sottoscrive come "tagliapietra".
Un Agostino F. (ma non è accertabile che si tratti della stessa persona) ebbe l'incarico nel 1750 di "fornire i capitelli esterni e interni" della parrocchiale di Torreselle (in provincia di Padova: Massari, 1971). Per quel che riguarda, infine, l'Agostino F. più noto, o quanto meno più singolare, due sono le opere ascrittegli tra le quali è evidente il legame: i gruppi marmorei raffiguranti la Caduta degli angeli ribelli (Padova, sede centrale della Cassa di risparmio di Padova e Rovigo) e il Ratto delle Sabine (di ubicazione ora ignota; già a villa Emo di Battaglia Terme: fig. in Semenzato, 1957, p. 17).
II primo riunisce eccezionalmente sessanta figure nude: una sorta di grande grappolo rovesciato formato da un viluppo di ignudi colti nei movimenti forzati di una rovinosa caduta o nella tensione di una concitata fuga, dai volti caricati nello spasimo espressionisticamente "siglato" dalle bocche aperte. Il gruppo è ricordato, a partire dal Rossetti (1765), come opera di Agostino F., nella collezione di palazzo Trento, poi Papafava (Padova), da cui passò nel 1972 nell'ubicazione attuale. Il Cicognara (1824) lo identificava con un'opera commissionata all'artista da un membro della famiglia Trento, bali di Malta. Il cenno e quindi la segnalazione del Planiscig (1928-29, 1950) e il legame ravvisato dallo studioso con alcune sculture di Francesco Bertos hanno avuto riscontro nel Semenzato (1957, 1966, s.d.), che successivamente si è occupato dell'opera. L'attività di bronzista del Bertos - che, almeno in un'occasione, nel 1733, risulta presente a Padova (W. Arslan, Un documento sul Bertos nell'Archivio del Santo, in Il Santo, IV [1931], 2, pp. 68 s.) - autore di gruppi, eseguiti anche in marmo, dalla tipologia a sua volta di ascendenza nordica (Planiscig, 1928-29; Id., Dieci opere di F. Bertos conservate nel palazzo reale di Torino, in Dedalo, IX [1928-29], pp. 561-575) - dovette essere nota ad Agostino. E l'unica ipotesi plausibile per spiegare un genere di opera che non trova termini di confronto, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, nei lavori di alcun altro artista. Da parte sua Agostino aggiunge nella realizzazione una propria componente di virtuosismo bizzarro che lo porta ad esasperare, per così dire, le invenzioni del Bertos, moltiplicando il numero delle figure pazientemente variate nel repertorio di torsioni e contrapposti evocanti lontane suggestioni manieristiche, ma legate dalla luminosità avvolgente che si sprigiona dalle lucide e levigate superfici dei corpi.
Il Ratto delle Sabine, un tempo conservato nella collezione padovana di palazzo Maldura, dove il Moschini (1817) lo ricorda, si presenta più sobrio nel numero delle figure e nei ritmi meno convulsi di movimento, con accenti di maggior eleganza che richiamano i modi del Bertos. La vicinanza stilistica con le opere del Bertos si fa ancora più stretta nel gruppo (di quattro figure) della Centauressa in lotta con i Lapiti (Padova, Museo civico, depositi, n. 114) sì da legittimare le perplessità espresse dal Semenzato (1957) sulla vecchia attribuzione al F. del Moschetti (1938). Pur con tutte le riserve nate dalla difficoltà di giudizio che il carattere di un artigianato ad alto livello qualitativo di opere siffatte comporta, il confronto con alcuni gruppi marmorei del Bertos, pubblicati dal Planiscig (si vedano in particolare, Dieci opere…, cit., 1928, pp. 566, 569, le allegorie dell'Estate e dell'Inverno), fa propendere in questo caso per l'assegnazione, che appare più convincente, al Bertos stesso.
Non è d'altro canto accettabile la più recente attribuzione del Goi (1984) ad Agostino del S. Sebastiano della parrocchiale di Andreis (Pordenone), figurina impacciata che non regge il confronto con i personaggi di questo e del Bertos.
Nati presumibilmente intorno o poco dopo la metà del secolo, i due gruppi marmorei ascrivibili con maggior credibilità ad Agostino costituiscono un episodio isolato, ma di un certo interesse, che si direbbe sintomatico si sia manifestato in ambiente padovano, quasi fosse riaffiorato, sotto altra veste, quel gusto per l'esercizio virtuosistico della tecnica e per le invenzioni sofisticate della fantasia che avevano caratterizzato la tradizione locale cinquecentesca del piccolo bronzo.
Un Giovanni proveniente dalla stessa famiglia padovana di scultori e tagliapietra e ricordato dal Bartoli (1793) attivo a Rovigo nelle chiese di S. Antonio Abate e di S. Francesco, con l'indicazione "fioriva nel 1690", e dal Pietrucci (1858) che ne segnala l'iscrizione alla fraglia padovana dei tagliapietra, 8 ott. 1692, e la data di morte, 6 maggio 1729. Dovrebbe trattarsi di quello stesso Giovanni F., figurante come "tagliapietra" o come "lapicida" nei documenti che negli anni 1707, 1709 (Bresciani Alvarez, 1975), 1714-15, 1717, 1719, 1721, 1727-28, ne registrano un'attività padovana, nato nel 1668 (secondo dati anagrafici dell'8 febbr. 1720 che lo indicano di cinquantadue anni: Sartori, 1976, p. 476). Dovrebbe pure essere il medesimo tagliapietra attivo di nuovo a Rovigo nel 1707 (Romagnolo, 1979) e a Praglia nel 1710 (Faccini, 1985). Pur mancando le prove di tale identità, le notizie fornite dai documenti appaiono coincidenti nell'indicare Giovanni come esecutore di parapetti di altare (si vedano quelli a marmi polieromi degli altari dei ss. Carlo Borromeo e Benedetto e dei beato Bernardo Tolomei della chiesa di S. Bartolomeo di Rovigo) e di altri lavori tipici della routine di un tagliapietra che non si connota in questo caso per caratteri particolarmente originali.
Fonti e Bibl.: G. B. Rossetti, Descriz. delle pitture, sculture, ed architetture di Padova, Padova 1765, pp. 73, 345; F. Bartoli, Le pitture sculture ed architetture della città di Rovigo, Venezia 1793, pp. 22, 66, 277 (per Giovanni); G. A. Moschini, Guida per la città di Padova, Padova 1817, pp. 183, 189; L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, VI, Venezia 1824, pp. 238-240; N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 113 s.; L. Planiscig, Francesco Bertos, in Dedalo, IX (1928-29), pp. 220 s.; B. Brunelli-A. Callegari, Ville del Brenta e degli Euganei, Milano 1931, p. 299; A. Giacomelli, Acta Ecclesiae Montaneanensis, Padova 1936, p. 88; A. Moschetti, Il Museo civico di Padova, Padova 1938, p. 284; L. Planiscig, Una scultura di Agostino F., in Boll. d'arte, XXXV (1950), pp. 311-313; C. Semenzato, La scultura padovana del 700, VII, Giovanni Gloria-Jacopo Gabano-Agostino F., in Padova, III (1957), 10, pp. 1418; Id., La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 58, 129; Id., Guida di Rovigo, Vicenza 1966, pp. 131, 166 (per Giovanni); A. Massari, G. Massari architetto veneziano del Settecento, Vicenza 1971, p. 94; M. Praz, Sculture bizzarre del manierismo, in Ilgiardino dei sensi, Vicenza 1975, pp. 68 s.; G. Bresciani Alvarez, La cattedrale, in Padova. Basiliche e chiese, I, Vicenza 1975, p. 94 (per Giovanni); A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, a cura di C. Filiarini, Padova 1976, pp. 236, 475 s.; B. Mazza, Agostino F. (Un centenario da spostare e un'opera da aggiungere), in Padova, n. s., XXIII (1977), 1, pp. 14-19; T. Romagnolo, Il monastero di S. Bartolomeo di Rovigo, Rovigo 1979, p. 124, n. 39 (per Giovanni); C. Semenzato, La caduta degli angeli di Agostino F., ed. dalla Cassa di risparmio di Padova e Rovigo, Genova 1981, pp. 3 ss.; P. Goi, Scultura in Friuli fra Sei e Settecento: appunti, in N. Grassi e il Rococò europeo…, Udine 1984, p. 214; A. M. Spiazzi, Il refettorio grande, in L'abbazia di S. Maria di Praglia, a cura di C. Carpanese-F. Trolese, Milano 1985, pp. 160, 163 n. 6 (per Giovanni); S. Faccini, La scultura, ibidem, p. 119 (per Giovanni); V. Sgarbi, Catalogo dei beni artistici e storici di Rovigo. Le chiese, Venezia 1988, pp. 89, 128, 151 s., 155, 163 s., 168 (per Giovanni); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 282.