Farmacogenomica
Il termine 'farmacogenomica' è stato coniato di recente: non descrive una disciplina scientifica consolidata, ma presuppone piuttosto la fondata speranza che le conoscenze ottenute dal completamento della caratterizzazione del genoma umano e del genoma di un numero crescente di organismi patogeni possano condurre a una nuova scienza farmacologica. Questa dovrebbe permettere di sviluppare farmaci mirati e di progettare razionalmente strategie terapeutiche personalizzate e più sicure. Come spesso accade per le discipline di nuova costituzione, anche per la farmacogenomica non esiste una definizione condivisa dell'oggetto di cui essa si occupa. Per questo la farmacogenomica verrà qui intesa nel suo senso più ampio, ossia come l'insieme degli approcci che, avvalendosi delle informazioni acquisite sul genoma e sui suoi prodotti, mirano a individuare nuovi bersagli terapeutici: scoprire e realizzare farmaci (farmacologia razionale) e studiare la risposta da essi prodotta in funzione della variabilità genetica degli individui (farmacogenetica).
Secondo questa definizione, la farmacogenetica ‒ ossia lo studio delle caratteristiche genetiche che sono alla base della variabile suscettibilità dei pazienti alle malattie e della loro diversa risposta al trattamento con un particolare farmaco ‒ può essere considerata una branca della farmacogenomica. È probabile, però, che la farmacogenetica del XXI sec. subisca una rivoluzione metodologica in seguito alla caratterizzazione di tutti i geni umani e allo sviluppo di tecnologie di tipizzazione genetica su larga scala. Le nuove tecnologie genomiche, infatti, offrono strumenti che permettono di caratterizzare, in tempi compatibili con la pratica clinica, il patrimonio genetico dei diversi individui e di correlarlo alla loro risposta a un dato farmaco, consentendo così di individuare il miglior trattamento terapeutico per ciascun profilo genetico. È inoltre probabile che la caratterizzazione genetica di gruppi di pazienti possa condurre all'identificazione di quei geni, o gruppi di geni, che determinano la suscettibilità di un individuo a una particolare patologia, favorendo così la messa a punto di test diagnostici predittivi e, in qualche caso, l'individuazione di bersagli proteici per lo sviluppo di nuovi farmaci.
L'aspettativa è che le informazioni ottenute dalle ricerche sul genoma permettano nel medio/lungo termine di effettuare un salto qualitativo nella prevenzione, diagnosi e terapia di patologie che fino a ora sono risultate difficili da controllare. È necessario però considerare i rischi che potrebbero nascere da un'analisi farmacogenetica su larga scala. Anche se di norma non si tratta di un rischio 'fisico' per il paziente, si teme che la divulgazione indesiderata di informazioni riguardanti il patrimonio genetico dei singoli individui possa avere dannosi effetti sociali fino a condizionare le scelte individuali nella sfera professionale e familiare.
Lo scopo della farmacologia è quello di realizzare molecole in grado di interferire con la fisiologia di un particolare tipo cellulare o di un intero organismo in modo tale da curare o alleviare gli effetti di alcune patologie. La farmacologia classica si è basata, spesso con notevole successo, su una strategia che richiede i seguenti passaggi: (a) l'identificazione di uno o più bersagli che siano appropriati per un intervento farmacologico, al fine di prevenire, stabilizzare o curare una malattia; (b) un'ulteriore analisi di questa informazione mediante tecniche volte a stabilire se l'ipotetico bersaglio farmacologico costituisca un nodo sensibile di una catena di reazioni rilevanti dal punto di vista fisiologico e patologico; (c) l'individuazione, attraverso lo sviluppo di metodi di screening che possano essere automatizzati, di una classe di molecole guida (lead) in grado di modificare il comportamento della molecola bersaglio; (d) l'evoluzione della molecola guida attraverso la progettazione e la sintesi di modificazioni che le conferiscano la potenza e le caratteristiche di un farmaco; (e) test clinici.
Questo processo è però lungo e costoso, e pertanto le compagnie farmaceutiche sono alla continua ricerca di strategie che lo rendano più rapido e di conseguenza più economico. Le conoscenze ottenute dai progetti di studio sul la possibilità di razionalizzare e quindi di ottimizzare ciascuna di queste fasi. In linea di principio, se conoscessimo tutte le macromolecole sintetizzate da un particolare tipo cellulare e sapessimo in che modo queste molecole interagiscono tra loro nel governare la fisiologia di un organismo, potremmo progettare razionalmente le fasi precliniche dello sviluppo di un farmaco.
Negli ultimi anni è stato possibile determinare la sequenza completa, o quasi completa, dei genomi di più di cento organismi. Una parte di queste informazioni è di notevole interesse per la salute della specie umana. Si stima che il genoma umano comprenda approssimativamente 30.000 geni codificanti per proteine. Sebbene soltanto una minoranza di questi prodotti proteici sia classificabile come potenziale bersaglio di interesse farmacologico, l'industria del settore si trova di fronte a un aumento di almeno un fattore dieci del numero dei potenziali bersagli. Tra le classi di proteine analizzate con maggior attenzione vanno annoverati i recettori accoppiati alle proteine G, i recettori con attività tirosinchinasica, i recettori nucleari di ormoni, i canali ionici, le proteasi, le , le e le proteine con funzione di trasporto. In questa fase, uno dei principali strumenti nella ricerca di nuovi bersagli potenziali è rappresentato da programmi informatici che permettono di identificare nuovi membri di classi di proteine che, come quelli sopra elencati, sono già stati utilizzati con successo per la realizzazione di un farmaco. Questa metodologia produce in breve tempo centinaia di nuovi potenziali bersagli, un numero di gran lunga superiore a quello delle molecole che possono ragionevolmente passare attraverso le varie fasi di sviluppo di un farmaco. Uno dei principali colli di bottiglia è quindi rappresentato dal processo noto come 'convalida (o validazione) dei bersagli', che consiste nel selezionare le molecole che abbiano una più alta probabilità di essere un valido bersaglio farmacologico per una data malattia.
Sotto questo nome vengono spesso raggruppate una serie di procedure che permettono di ottenere informazioni funzionali sui geni o prodotti genici che sono stati identificati come possibili bersagli farmacologici, al fine di selezionare quelli la cui inibizione o attivazione possa portare a circoscrivere o curare una particolare patologia. La soluzione ideale sarebbe quella di disporre di un modello informatico della cellula sufficientemente sofisticato da riuscire a simulare al computer l'effetto dell'inattivazione o del potenziamento di ogni specifico prodotto genico sulla fisiologia della cellula stessa. Tuttavia, nonostante siano stati avviati numerosi programmi in tutto il mondo per la progettazione di una 'cellula virtuale', attualmente siamo ancora lontani da questo obiettivo.
La strategia corrente per la convalida dei bersagli utilizza una serie di metodi basati su tecniche genomiche di recente sviluppo. Uno dei primi passi consiste nella caratterizzazione dell'espressione del gene identificato come bersaglio nei tessuti di un organismo sano e in quelli di un organismo malato. Questo tipo di studi ha subito negli ultimi anni una considerevole accelerazione grazie allo sviluppo di tecnologie (note come gene chip, per analogia con i chip informatici) che permettono di determinare, in breve tempo e contemporaneamente, l'espressione di tutti i geni di un organismo complesso come quello umano a partire da una piccola porzione di tessuto. In questa fase è particolarmente importante identificare i geni che sono espressi in maniera differenziale nei tessuti sani e in quelli patologici. Se uno di questi geni codifica per un prodotto che appartiene a una classe farmacologicamente interessante, allora se ne approfondisce l'esame sottoponendolo a un'ulteriore serie di test, di solito raggruppati sotto l'etichetta di 'genomica funzionale'. Questa comprende strategie come la costruzione di modelli transgenici e l'applicazione di tecnologie (RNA antisenso, interferenza da RNA, ribozimi) che permettono di inattivare il gene studiato e di effettuarne un'ulteriore caratterizzazione funzionale. Infine, l'analisi delle mutazioni nel gene bersaglio in organismi modello o in linee cellulari e l'analisi genetica nella specie umana consentono di aggiungere ulteriori informazioni sul ruolo di un particolare gene in una malattia. Con l'ausilio di tali procedure genomiche è possibile identificare quei pochi prodotti genici, tra centinaia di candidati, che hanno una maggiore probabilità di rappresentare un bersaglio farmacologico.
Più recentemente, lo sviluppo di tecniche di proteomica ha contribuito ad aumentare gli strumenti utili per la caratterizzazione funzionale di un particolare gene, permettendo di confrontare la concentrazione del suo prodotto proteico nei tessuti normali e in quelli patologici. Sebbene l'industria farmacologica dimostri un grande interesse per queste tecnologie come strumenti per la convalida dei bersagli, la varietà delle proprietà fisico-chimiche delle proteine rispetto alla relativa uniformità degli acidi nucleici ne ha rallentato l'applicazione a progetti su larga scala. Tuttavia, il recente sviluppo di sofisticate metodologie, quali la , ha consentito di realizzare considerevoli progressi, in particolare nell'identificazione di proteine presenti in piccolissima quantità.
Una volta identificato il gene bersaglio, diventa cruciale avere un metodo di screening che permetta di analizzare velocemente centinaia di migliaia di molecole, alla ricerca di quelle poche che hanno un'attività inibente o stimolante sul prodotto genico selezionato come bersaglio farmacologico.
Il successivo processo di ottimizzazione delle proprietà farmacologiche delle classi di molecole attive può anch'esso avvalersi della . Innanzitutto, la conoscenza di tutte le proteine codificate dal genoma umano consente di accertare se la molecola selezionata come eventuale farmaco agisca selettivamente sul bersaglio scelto o se vi sia la possibilità di effetti collaterali dovuti alla reazione crociata (cross reactivity) con altre molecole simili. Anche in questo caso, la bioinformatica permette di analizzare tutto il genoma alla ricerca di geni in grado di codificare per molecole simili alla molecola bersaglio e le cui attività possano quindi essere influenzate dalla classe di molecole identificate nello screening. La reazione crociata delle molecole omologhe, identificate dall'analisi informatica, viene poi verificata sperimentalmente mediante test funzionali.
Il processo di miglioramento della specificità e della potenza della molecola guida è destinato a ricevere nei prossimi anni grande impulso da una serie di nuovi programmi di natura genomica, raggruppati di solito sotto l'etichetta di 'genomica strutturale'. Questi programmi si avvalgono della conoscenza di tutti i prodotti proteici di un organismo e dello sviluppo di tecnologie per determinare in maniera sistematica le strutture tridimensionali di un gran numero di proteine e complessi proteici attraverso la diffrazione a raggi X dei cristalli. Si prevede che la varietà di informazioni strutturali così ottenute renderà possibile la progettazione razionale di nuove molecole con le proprietà desiderate. Anche in questa fase la bioinformatica può giocare un ruolo rilevante, permettendo di predire in silico l'attività di un gran numero di composti, in modo da focalizzare l'analisi sperimentale su un numero più limitato di molecole. Il ruolo della genomica nell'ultima fase del processo di sviluppo di un farmaco, quella dei test clinici, dipenderà in gran parte da una serie di fattori che esamineremo più in dettaglio nel seguito, ovvero dalla riconosciuta importanza della risposta individuale e dalla possibilità di caratterizzare geneticamente i gruppi di pazienti che mostrano risposte analoghe al trattamento farmacologico. Nella fase preclinica e clinica, una maggiore consapevolezza dell'importanza della variabilità etnica e individuale porterà a una più corretta selezione dei partecipanti ai test clinici, consentendo così di ridurre i costi e di introdurre sul mercato farmaci più sicuri.
La farmacologia classica ha mirato a sconfiggere le malattie utilizzando molecole organiche relativamente piccole (o, più recentemente, proteine) in grado di stimolare o di inibire alcune attività cellulari; negli ultimi anni si è invece affermata una nuova strategia terapeutica, la terapia genica, che mira a sostituire il gene difettivo responsabile della malattia attraverso l'introduzione in cellule somatiche di una copia sana del gene mutato. Sebbene recentemente questa strategia abbia riportato qualche successo, è chiaro che la sua eventuale applicazione su larga scala dipenderà dallo sviluppo di metodi efficaci e sicuri per l'introduzione controllata di tali geni. Attualmente l'informazione genetica può essere trasferita nelle cellule utilizzando una varietà di protocolli diversi che prevedono l'uso di liposomi o di vettori virali. Nonostante il considerevole impegno degli ultimi anni, la realizzazione di un vettore efficiente per l'introduzione di informazione genetica in maniera stabile e sicura nei tessuti di un organismo costituisce ancora un ostacolo rilevante. I numerosi test clinici in corso forniranno presto risposte attendibili sulle prospettive di questa nuova, potente strategia.
È noto da decenni a medici ed epidemiologi che la suscettibilità a una malattia differisce in maniera significativa da individuo a individuo. Per esempio, alcuni sottogruppi di una popolazione sono più soggetti di altri al rischio di ammalarsi a seguito dell'esposizione a determinati fattori ambientali. L'analisi genetica e la diagnosi prenatale di malattie monogeniche, come la , sono prassi comune nei consultori genetici. La possibilità offerta dalle tecnologie genomiche di caratterizzare l'intero patrimonio genetico di un individuo apre una serie di opportunità le cui implicazioni, di tipo medico, etico e sociale, devono ancora essere pienamente chiarite.
Dal punto di vista farmacologico, è stato osservato che il livello di concentrazione di un farmaco (per es., un ) nel sangue di pazienti che ne hanno assunto la stessa dose può variare fino a un fattore cinque, probabilmente a causa di differenze nel metabolismo. Di conseguenza, alcuni pazienti rischiano di essere esposti ai possibili effetti collaterali negativi determinati da una troppo alta concentrazione di farmaco nel sangue pur assumendo la dose consigliata; viceversa, nel sangue di altri pazienti il livello effettivo potrebbe risultare troppo basso, vanificando l'efficacia del trattamento farmacologico. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il profilo di sicurezza/efficacia di un farmaco è talmente ampio che soltanto pochi pazienti risulteranno insensibili al trattamento terapeutico o sperimenteranno effetti secondari indesiderati. Infine, anche i tumori e gli agenti infettivi hanno caratteristiche genetiche specifiche che li rendono diversamente suscettibili alle terapie, e la possibilità di variare queste ultime a seconda delle caratteristiche genetiche tanto del paziente quanto del tumore o dell'agente infettante garantirebbe una cura più sicura ed efficace.
Attualmente la medicina mira a mettere a punto terapie in grado di curare il maggior numero possibile di pazienti all'interno di una popolazione basandosi sull'analisi statistica della risposta di tale popolazione a una data terapia per predirne l'esito nei singoli pazienti. La farmacogenetica può aiutare a individuare le differenze genetiche che sono alla base della variabilità delle risposte e quindi a concepire una terapia individualizzata più efficace su gruppi di pazienti caratterizzati da profili genetici diversi. Non è ancora chiaro però se questo approccio individuale alla medicina potrà essere sostenibile economicamente e se darà come risultato un miglior trattamento terapeutico della popolazione nel suo insieme. Inoltre, devono essere considerate le implicazioni etiche di una caratterizzazione genetica su vasta scala. Tra le possibili cause dell'eterogeneità delle risposte individuali a una particolare terapia vi sono lo stadio raggiunto dalla malattia nel momento in cui si interviene, l'interazione con altri farmaci, l'età, il livello di nutrizione o, più in generale, lo stato di salute e l'eventuale coesistenza di altre patologie. Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che l'efficacia o la tossicità di una terapia dipendono in larga misura dai fattori ereditari che influenzano il metabolismo di un farmaco e dai polimorfismi nei geni che sono il bersaglio del farmaco stesso. È sulla base di queste osservazioni che si è sviluppata la farmacogenetica.
Archibald Garrod fu il primo a ipotizzare, all'inizio del Novecento, che le reazioni avverse da parte di alcuni pazienti al trattamento farmacologico potessero essere causate da differenze ereditarie. Basandosi sui suoi studi sull', Garrod avanzò l'idea che alcuni enzimi fossero responsabili della detossificazione di sostanze estranee all'organismo e che difetti genetici nella sintesi o nell'attività di tali enzimi fossero all'origine dell'incapacità di metabolizzare il farmaco e quindi di detossificare l'organismo. A partire da questi studi, la relazione tra difetti ereditari in geni codificanti per enzimi detossificanti e l'incapacità di metabolizzare particolari sostanze è stata confermata da numerose osservazioni. Queste ricerche rappresentano l'inizio della farmacogenetica, la quale si occupa non soltanto dei polimorfismi genetici negli enzimi che metabolizzano i farmaci, ma, più in generale, della relazione tra la risposta di un individuo a un dato trattamento farmacologico e una costellazione di geni variabili del suo , cioè un insieme più o meno complesso di geni che interagiscono tra loro sul piano funzionale.
Le prime osservazioni cliniche condotte su un consistente numero di pazienti, che risalgono agli anni Cinquanta, contribuirono a rafforzare l'ipotesi di questa relazione, dimostrando, per esempio, l'associazione tra un prolungato rilassamento muscolare dopo un trattamento con sussametonio e un difetto ereditario nella colinesterasi plasmatica, oppure tra l'emolisi dopo un trattamento antimalaria e il livello di attività della glucosio-6-fosfatodeidrogenasi. La caratterizzazione delle basi molecolari di questi fenomeni ha portato all'identificazione di singoli geni la cui mutazione è responsabile dell'incapacità di metabolizzare enzimaticamente una sostanza chimica. Più recentemente, però, è stato dimostrato che la variabilità della risposta a una terapia è determinata tipicamente da caratteri non monogenici, e dipende piuttosto dall'interazione tra molti geni che codificano per proteine coinvolte nella stessa catena metabolica o funzionale. Questi caratteri poligenici sono più difficili da definire attraverso studi clinici, soprattutto quando il meccanismo di azione del farmaco e il suo destino metabolico non sono ancora noti.
Fino a pochi anni fa i polimorfismi di rilevanza clinica venivano caratterizzati a partire dall'osservazione delle differenze fenotipiche presenti negli individui di una popolazione. Il recente completamento della sequenza del genoma umano, però, ha consentito non soltanto di decifrare l'informazione genetica di un singolo individuo, ma anche di caratterizzare la variabilità del genoma all'interno della specie. Attualmente, grazie al Progetto genoma umano, conosciamo più di un milione di variazioni polimorfiche di singoli nucleotidi (SNP, Single nucleotide polymorphism), ossia di nucleotidi che risultano cambiati rispetto alla sequenza di riferimento, e sono note anche le posizioni di questi marcatori genetici lungo i ventitré cromosomi. Gli SNP caratterizzati sono presenti in media con una frequenza di uno ogni 1910 paia di basi: ciò significa che praticamente ogni gene del nostro genoma è identificato da uno di questi polimorfismi. Dal momento che la mappa degli SNP copre tutto il genoma, il confronto tra le frequenze riscontrate in determinati gruppi di pazienti e in gruppi di controllo permette di associare uno o più SNP alla malattia o alla capacità di quel gruppo di pazienti di rispondere a una certa terapia. I primi studi che hanno utilizzato queste metodiche hanno confermato che la diversa suscettibilità alle malattie o ai trattamenti terapeutici è legata a variazioni nella sequenza del nostro genoma. Per esempio, è stato chiarito che gli SNP nel gene dell'ApoE (apolipoproteina E) sono associati all'Alzheimer e che una semplice delezione nel gene per il CCR5 ha come conseguenza la resistenza dell'individuo all'infezione da HIV e quindi all'AIDS. È inoltre possibile, in linea di principio, caratterizzare geneticamente malattie che hanno una base complessa, ossia poligenica. La tecnologia per analizzare migliaia di SNP in migliaia di pazienti al momento non è facilmente accessibile, ma, considerati gli interessi economici coinvolti, è probabile che gli ostacoli attuali vengano presto superati.
Il Progetto genoma umano è stato avviato nel 1990, nella fondata speranza che i suoi risultati potessero innescare una serie di progressi delle scienze biologiche con conseguenti benefici per la salute umana. In attesa che queste promesse divengano realtà, è sorto un vivace dibattito tra la comunità scientifica, il mondo politico e la società civile sui nuovi scenari aperti dalla possibilità di caratterizzare in dettaglio il genoma della maggior parte dei cittadini. È probabile che nei prossimi dieci anni vengano messi a punto metodi affidabili e non troppo sofisticati o costosi che permettano di portare a termine la caratterizzazione del genoma di un numero molto vasto di pazienti sottoposti a test clinici su larga scala. Questi studi consentiranno di creare una collezione di profili genetici che potranno essere utilizzati per caratterizzare la base genetica della risposta a un farmaco e potranno avere un valore predittivo per quanto riguarda la salute degli individui. Tali innegabili benefici, però, sono controbilanciati dalla minaccia per la privacy rappresentata dalle banche di dati genetici, che contengono, per esempio, informazioni sulla probabilità che un individuo contragga una malattia, o che abbia un'aspettativa di vita inferiore a quella media della popolazione. Per evitare che queste paure, pur legittime, diventino irrazionali e limitino la disponibilità a partecipare a test clinici che comportino una caratterizzazione genetica, è necessario fare in modo che ciascun individuo mantenga il controllo su queste informazioni, in modo da ridurre il rischio di violazione della privacy. La pratica del consenso (o rifiuto) informato, che è il principale mezzo di difesa del paziente contro i possibili rischi derivanti da un intervento terapeutico, soprattutto se in fase sperimentale, deve essere estesa ai rischi che i nuovi strumenti genetici comportano.
Lo sviluppo di una scienza medica che pone al centro della sua strategia l'individualizzazione della terapia potrebbe far nascere un insieme di problemi che hanno importanti conseguenze economiche e sociali. La farmacogenomica genererà sia 'farmaci orfani', che hanno un mercato ristretto e il cui sviluppo non sarà quindi economicamente vantaggioso per l'industria farmaceutica, sia 'pazienti orfani', ovvero un gruppo probabilmente eterogeneo di individui che, essendo identificati come geneticamente 'non suscettibili al trattamento', avranno minori probabilità di ottenere cure farmacologiche appropriate. Anche in questo caso, data la limitatezza del mercato, potrebbero venire a mancare le motivazioni economiche per lo sviluppo di farmaci alternativi. È auspicabile che le industrie farmaceutiche vengano incentivate a realizzare e a mettere in commercio farmaci adatti a questi individui, in modo che anch'essi possano beneficiare delle conquiste della farmacogenetica.
È possibile inoltre prefigurare scenari in cui la rivelazione del patrimonio genetico di un individuo abbia una significativa influenza sulla probabilità che egli ottenga un lavoro o un'assicurazione sanitaria. I datori di lavoro hanno naturalmente un interesse legittimo a minimizzare i possibili rischi derivanti da eventuali rivendicazioni dei lavoratori per danni alla salute provocati dall'attività lavorativa; pertanto essi potrebbero decidere di sottoporre a un test genetico i candidati all'assunzione per stabilire la loro sensibilità alle sostanze potenzialmente nocive con cui dovrebbero entrare in contatto, o, più in generale, per valutare la loro attitudine alle mansioni da svolgere. Analogamente, le compagnie assicurative hanno la necessità di proteggersi dai tentativi di frode. Queste esigenze, in parte giuste, devono essere bilanciate da quelle, altrettanto legittime, di impedire discriminazioni, senza d'altro canto ostacolare il progresso della ricerca scientifica. È auspicabile che si giunga presto a varare leggi equilibrate che salvaguardino la legittima esigenza di privacy e proteggano contro eventuali tentativi di discriminazione, senza peraltro perdere di vista questi interessi contrastanti. È necessario inoltre dedicare maggiore attenzione alle reazioni che le informazioni relative ai rischi genetici complessi potrebbero suscitare negli individui, promuovendo una campagna educativa che possa aiutare il pubblico a valutare un'informazione di tipo probabilistico.
La farmacogenetica promette di rivoluzionare il sistema di prescrizione dei farmaci, ma allo stesso tempo i suoi metodi rischiano di entrare in conflitto con un altro obiettivo della società moderna, ovvero quello di proteggere la privacy. Infatti, con lo sviluppo delle nuove, potenti tecnologie che permettono di decifrare l'intero genoma di un individuo, il rischio di violazione della privacy assume una dimensione senza precedenti. Come abbiamo già accennato, inoltre, la conoscenza in termini probabilistici della nostra aspettativa di salute/malattia e di vita potrebbe influenzare a livello psicologico la percezione di noi stessi e il modo in cui ci relazioniamo con la comunità. Sulla base di queste considerazioni, si può affermare che il successo della farmacogenetica dipenderà non soltanto dalla soluzione di problemi tecnici e scientifici, ma anche e soprattutto da un'accurata valutazione del bilancio tra rischi e benefici e da come essa verrà accolta dalla società. Come la maggior parte delle discipline scientifiche, anche la farmacogenomica è neutra dal punto di vista morale e la sua adozione nella pratica clinica in una forma eticamente accettabile dipenderà in larga misura da un proficuo confronto tra scienziati, industria farmaceutica, rappresentanti della comunità e legislatori. L'obiettivo di proteggere la privacy dell'individuo senza soffocare la ricerca scientifica e l'imprenditorialità può essere raggiunto soltanto attraverso un'informazione capillare e un vasto coinvolgimento della comunità al fine di evitare incomprensioni e paure.
Considerati i progressi della ricerca genomica negli ultimi dieci anni, ci sono buone ragioni per sperare che il primo decennio del XXI secolo sarà testimone di una rivoluzione nella scienza farmacologica. La sfida consiste nel far sì che questa rivoluzione sia finalizzata a un reale miglioramento dello stato di salute della maggior parte della popolazione del pianeta. La farmacogenomica è nata da una serie di innovazioni tecnologiche derivate dai progressi della biologia molecolare ed è sostenuta da notevoli finanziamenti pubblici e privati. Tali tecnologie daranno nuovo stimolo all'industria farmaceutica, con un conseguente allargamento del ventaglio delle possibilità terapeutiche nei confronti di patologie che fino a pochi anni fa erano considerate incurabili. È innegabile, però, che la loro applicazione nel campo della salute pubblica comporterà un aumento dei costi che renderà difficile, anche per un Paese sviluppato, assicurare il miglior trattamento a tutti i cittadini che ne potrebbero trarre giovamento. Dal momento che i benefici promessi dalla ricerca genomica saranno, soprattutto all'inizio, relativamente costosi, si corre il rischio che si crei un'ulteriore disparità nel trattamento medico tra mondo industrializzato e Terzo Mondo e tra le diverse classi sociali nei Paesi ricchi. In altre parole, sorge un conflitto tra due importanti valori: la continua spinta verso lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici in grado di realizzare il desiderio di migliorare la nostra salute e allungare la vita da un lato, e lo sforzo dei governi per trovare il modo di garantire a tutti i cittadini un livello di assistenza sanitaria adeguato dall'altro.
Sebbene questo conflitto non sia ancora venuto completamente alla luce, alcune tendenze fanno prevedere la necessità di porre un limite al continuo aumento della spesa sanitaria, che rischia di raggiungere livelli insostenibili. Innanzitutto le nuove, potenti tecnologie diagnostiche e terapeutiche sono in generale sempre più costose e la loro applicazione su vasta scala potrebbe essere improponibile. In secondo luogo, l'invecchiamento della popolazione, dovuto anche ai successi della scienza biomedica, pone l'esigenza sociale ed economica di affrontare le malattie croniche e degenerative che caratterizzano quest'età. Si tratta di patologie difficili da curare, che richiedono approcci terapeutici particolarmente sofisticati e costosi. Infine, le crescenti aspettative relative a quello che deve essere considerato lo standard minimo di buona salute determinano un aumento della richiesta di assistenza sanitaria. I progressi nella conoscenza della fisiologia e della patologia del nostro organismo, stimolati dalla ricerca genomica, ci mettono di fronte a importanti scelte che non devono essere lasciate soltanto ai ricercatori e/o al libero mercato. È necessario elaborare una nuova strategia di finanziamento della ricerca biomedica applicata (farmacologica) e identificare una scala di priorità per evitare che ricerche sostenute dal denaro pubblico portino allo sviluppo di strategie terapeutiche inaccessibili ai più.
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