FARMACIA (dal gr. ϕαρμακεία "il dare o l'usare una medicina: ϕάρμακον")
È l'arte di preparare i farmaci seguendo le prescrizioni mediche, basandosi su apposite conoscenze scientifiche e osservando speciali disposizioni della Farmacopea (v.). Nei tempi remoti farmacia e medicina erano esercitate dalla stessa persona, ma già nell'antico Egitto v'erano locali acconci a conservare le droghe e s'usavano per i farmaci vasi eleganti come quello rinvenuto da E. Schiaparelli nella tomba di Kha (fig. 1) e contenente un olio medicato con oppio e ferro. Gli Egizî dosavano, con speciali pesi e misure, i farmaci; conoscevano l'arte di polverizzare le droghe e setacciarle; e quella di preparare infusi, decotti, estratti. La Sacra Scrittura ricorda parecchi balsami; a Salomone s'attribuisce, fra la molta letteratura pseudepigrafa del genere, un libro sull'arte di preparare i medicamenti. Presso gli antichi Greci i rizotomi raccoglievano e conservavano le piante medicinali; i medici nel ἰατρεῖον preparavano i farmaci e li somministravano ai malati in forma di pozioni, pillole, inalazioni, pomate, supposte e clisteri. Ai tempi dell'antica Roma, Galeno intraprende lunghi viaggi per conoscere le droghe nel luogo d'origine: egli chiama Myropolai, Pharmakopolai, Aromatarii coloro che le vendevano; ed erano circulatores, se andavano offrendole di casa in casa, sellularii se le commerciavano in apposite botteghe situate ai piedi del colle Capitolino. Gli scavi di Pompei ci hanno rivelato varî oggetti che risalgono all'arte farmaceutica di quei tempi. Una divisione tra farmacia e medicina s'inizia nel secolo VIII per opera degli Arabi. Secondo A. Kopp la prima farmacia pubblica fu aperta in Baghdād al tempo del califfo al-Mansūr; la prima farmacia ospedaliera sarebbe quella dell'ospedale del Cairo, fondata nell'873. Nel Medioevo la farmacia viene spesso esercitata nei conventi dai monaci ancora medici e farmacisti al tempo stesso, ma, non molto dopo, viene insegnata nelle università come disciplina speciale finché a poco alla volta, e questo dapprima in Italia all'epoca della Scuola salernitana, l'arte del farmacista diviene completamente indipendente dalla professione medica. Nel 1241 Federico II limita il numero delle farmacie, pone il farmacista sotto la sorveglianza del protomedico, vieta l'esercizio a chi non sia autorizzato da un collegio medico (specie salernitano), proibisce ogni rapporto d'interessi fra medico e speziale e dà disposizioni per la conservazione dei farmaci. Poche suppellettili e pochi vasi costituivano le farmacie del '300, come quella rappresentata nel campanile di Giotto a Firenze (fig. 2); più tardi esse s'abbelliscono con banchi scolpiti, con ricchi scaffali contenenti i medicamenti in vasi eleganti che rispecchiano, con la loro grazia, il gusto artistico del Rinascimento (fig. 3). Verso la fine del sec. XVI si stabiliscono le prime visite d'ispezione alle farmacie, gli speziali si raccolgono in speciali ordini ed eleggono S. Cosma e S. Damiano a loro patroni.
Coi progressi della chimica, con le nuove conoscenze botaniche il numero dei rimedî va sempre crescendo; le ricette si misurano, come scrive F. Redi, con la canna ben lunga; le preparazioni farmaceutiche divengono complicatissime; talune, come la triaca, si confezionano con grandi cerimonie alla presenza di tutte le autorità. La farmacia intanto va assumendo sempre maggiore importanza scientifica. S'escogitano nuovi metodi tecnici, si studiano nuovi farmaci, si preparano nuovi rimedî.
Alla fine del sec. XVIII e al principio del XIX la farmacia vede la sua epoca d'oro. Nel retrobottega della farmacia di Köping C. Scheele prepara l'acido malico, citrico e gallico, isola l'acido urico, scopre il molibdeno, il wolframio e il cloro e ottiene l'ossigeno indipendentemente da J. Priestley; nella piccola spezieria di Einbeck nel Hannover F. Sertürner isolò il primo alcaloide, la morfina, e furono farmacisti A. S. Marggraff, che preparò lo zucchero dalle barbabietole, M. Klaproth che scoprì il cerio, lo zirconio e il titanio, per tacere di altri quali J.-B. Dumas, P. Pelletier, G. C. Poggendorff, J. Liebig, F. Mohr, J. G. Dragendorff F. Selmi, R. Piria. Oggi la preparazione in grande dei farmaci e l'uso assai esteso delle specialità hanno diminuito in parte la missione scientifica della professione farmaceutica.
Per quanto riguarda le discipline farmaceutiche, i confini della farmacia con le altre scienze, i metodi proprî e le parti di cui si compone v. farmaceutiche, scienze.
V. tavv. CXXIX e CXXX.
Norme giuridiche sulla professione di farmacista. - Le norme giuridiche più notevoli in vigore in Italia nel 1930 erano le seguenti: 1. art. 52 e seguenti del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con r. decr. 1° agosto 1907, n. 636; 2. legge 22 maggio 1913, n. 468, sull'esercizio delle farmacie, e relativo regolamento approvato con r. decreto 13 luglio 1914, n. 829. Detta legge è stata modificata: all'art. 7 (trasferimenti di sede di farmacia) dall'art. 54 del r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2889; all'art. 17 (tariffe di vendita medicinali) dal decr. legge 7 ottobre 1923, n. 2388; e infine in varî articoli, per quanto concerne i ricorsi gerarchici, dall'art. 57 del medesimo decr. 30 dic. 1923. Il regolamento, a sua volta, è stato modificato, negli articoli 46 e 48, da altro r. decr. del 7 ottobre 1923, n. 2520; 3. r. decr. 26 maggio 1922, n. 941, che approva le norme per l'esercizio della farmacia in Tripolitania e Cirenaica; 4. legge 18 febbraio 1923, n. 396, e regolam. 9 novembre 1923, n. 2534, circa gli stupefacenti; 5. r. decr.-legge 7 agosto 1925, n. 1732, e regol. 3 marzo 1927, n. 478, circa la produzione e il commercio delle specialità medicinali; 6. legge 9 dic. 1928, n. 2733, e regol. 26 luglio 1929, n. 1537, circa le farmacie ospedaliere; 7. testo unico sugli Ordini dei medici, veterinarî e farmacisti (r. decr. 26 aprile 1928, n. 1313).
Persone abilitate all'esercizio della farmacia. - Condizioni per l'esercizio della farmacia sono un'adeguata cultura, il godimento dei diritti civili e politici, e una buona condotta morale e politica. Occorre perciò avere conseguito la laurea in chimica e farmacia, o almeno il diploma di farmacia in un'università del regno (ordinamento sull'istruzione superiore, r. decr. 30 settembre 1923, n. 2102; regolam. generale universitario, 6 aprile 1924, n. 674) e aver superato, dopo ciò, l'esame di stato (r. decreti 16 settembre 1926, n. 1768, e 23 agosto 1929, n. 1723); inoltre, occorre essere iscritto nell'albo dei farmacisti, di cui al richiamato r. decr. 26 aprile 1928, n. 1313. Possono essere iscritte nell'albo anche le donne che abbiano i requisiti prescritti, e, nel caso di accordo di reciprocità di trattamento fra stato e stato, anche gli stranieri che abbiano conseguito il diploma professionale all'estero. In via transitoria, con l'art. 31 della legge del 1913 sulle farmacie, si ammisero a un nuovo esame pratico gli assistenti non diplomati, ma già muniti, in base a precedenti disposizioni, di "patentino". Detti assistenti, se approvati a tale esame, potevano e possono, in ogni caso, solo sostituire il titolare della farmacia in occasione di una breve assenza ed esserne i collaboratori; ma non possono essere titolari di farmacia. Il farmacista è commerciante, e deve ottemperare alle norme del codice di commercio; e l'art. 11 lett. C della legge del 1913 commina la decadenza dell'autorizzazione a gestire la farmacia in caso di fallimento.
Apertura di farmacie: limiti. - Per aprire una nuova farmacia, anche da parte di chi sia regolarmente abilitato all'esercizio professionale, occorre una speciale autorizzazione del prefetto; l'apertura di farmacia senza autorizzazione costituisce reato (art. 2 della legge del 1913). Tale autorizzazione è tanto più importante, in quanto il numero delle farmacie che si può aprire in ogni singolo comune è limitato, o, come si suol dire, chiuso. Questo principio era diffuso, del resto, anche negli ex-stati italiani; nei quali, in genere, le farmacie o erano autorizzate, in relazione alla popolazione di ogni singolo centro e ai bisogni farmaceutici di esso, e in relazione alla distanza tra farmacia e farmacia, ecc. (l'autorizzazione era perciò revocabile, in relazione all'utilità sociale); o erano piazzate, ossia si trasmettevano in eredità, o si alienavano dal farmacista titolare, con diritto, nel titolare, di opporsi all'apertura di nuove farmacie (e in questo caso l'autorizzazione non era revocabile). La legge sanitaria del 1888 (v. articoli 56 e 215 del testo unico sanitario del 1907) aveva adottato il sistema della libertà dell'esercizio farmaceutico, ripromettendosi, inoltre, la graduale abolizione dei vincoli e privilegi provenienti dagli ex-stati; ma, come si è detto, la legge del 1913 opportunamente ritornò all'antico, e stabilì che il numero delle farmacie dovesse essere limitato, e solo tenne fermo il secondo principio della legge del 1888, quello, cioè, relativo all'abolizione degli antichi privilegi.
Pianta organica delle farmacie. - Secondo l'art. 7 della legge del 1913, il numero delle farmacie deve essere limitato in relazione al bisogno reale della collettività, e cioè, nei comuni di 40.000 ab. e oltre, in relazione alla popolazione (una farmacia per ogni 5000 ab.), nei comuni fra i 5000 e i 40.000 ab., in relazione alla popolazione (una farmacia ogni 5000 ab.), ovvero in relazione alla distanza tra farmacia e farmacia (almeno 500 metri); e, infine, nei comuni più piccoli, in relazione alle condizioni topografiche e di viabilità. In altre parole, nei centri minori (non superiori a 5000 ab.) il numero delle farmacie è, a differenza degli altri comuni, più oscillante; è, cioè, indipendente sia dal criterio della popolazione, sia da quello della distanza; ed è fissato, pertanto, caso per caso, dal prefetto, nella cosiddetta pianta organica delle farmacie. Ciò perché nei piccoli comuni, a differenza dei grandi, non è da temere un eccessivo concorso di farmacisti; e perché i piccoli comuni, in genere rurali, sono di solito suddivisi in più frazioni, fra loro distanti, le quali abbisognano spesso, ciascuna, di un proprio farmacista.
In base alla stessa legge (articoli 28, 30) è pure stabilita, con una dilazione di 30 o 20 anni secondo i casi (o anche oltre, finché viva il farmacista titolare), la cessazione graduale dei privilegi delle farmacie di antico diritto; sicché fra trenta anni o poco più dovrà essere in pieno vigore il nuovo sistema, quello, cioè, dell'autorizzazione, di carattere personale, data in seguito a concorso. Il vincitore del concorso non può cedere o alienare la farmacia ad altri, né trasmetterla per eredità; il figlio e la vedova del farmacista sono soltanto preferiti, a parità di titoli, agli altri concorrenti, purché, beninteso, siano diplomati e iscritti nell'albo, e partecipino a nuovo concorso.
Da ciò discende chiaramente che il farmacista non ha, in base alla nuova legge, alcun privilegio, né alcun diritto reale pieno sull'azienda farmaceutica; può conservarla solo in quanto vi attenda personalmente (salvo breve sostituzione in caso di assenza o impedimento); ed è anche sottinteso che tale nuovo sistema, peraltro, comincerà a funzionare allorché si renderanno vacanti per morte, abbandono, ecc., le farmacie di antico diritto, autorizzate o piazzate, e quelle legittimamente esistenti prima della legge del 1913. D'altra parte, le farmacie esistenti alla data del 1913 erano esuberanti in confronto ai bisogni e ai criterî di massima adottati (una farmacia ogni 5000 ab., ecc.), e perciò non vi saranno concorsi se non quando, estinti i privilegi, si saranno anche riassorbite e siano venute meno le farmacie dichiarate in eccedenza alle singole piante organiche.
Per essere ammesso al concorso, occorre provare di possedere i mezzi sufficienti per l'impianto della farmacia, l'acquisto delle medicine e simili: occorre poi pagare una tassa di concessione, che va dalle L. 100 per i comuni piccoli alle L. 8000 per i comuni di oltre 100.000 ab. Possono essere ammesse al concorso anche società cooperative e opere pie: inoltre, senza concorso, comuni e ospedali possono aprire farmacie anche in eccedenza della pianta organica. Detta pianta è, come si è detto, approvata dal prefetto, sentiti i comuni interessati, la giunta provinciale amministrativa e il consiglio provinciale di sanità (art. 32 della legge). Ove un comune o frazione rimanga privo di farmacia, può essere istituita una condotta farmaceutica; invece gli armadî farmaceutici, tenuti dai medici condotti e contenenti i soli medicinali urgenti, sono stati aboliti.
Norme sull'esercizio della farmacia. - Sono assai numerose e sempre più vincolatrici. È anzitutto vietato il cumulo di due farmacie nella stessa persona; chi è medico non può essere farmacista (anche se abbia due lauree), né può essere cointeressato a una farmacia, sotto pena di ammenda. Il farmacista ha l'obbligo di essere sempre provvisto dei medicinali e apparecchi previsti dalla Farmacopea ufficiale, il tutto in ottimo stato di conservazione (art. 43 regolam.). Non è libero il prezzo di vendita dei medicinali; anzi, deve essere rispettato il prezzo della tariffa; prezzo che va scritto, insieme con la data di spedizione, con l'onorario, e col nome dei medicinali, in ogni spedizione. La farmacia non può essere trasferita da una sede all'altra, se non previa autorizzazione; l'esercizio di essa dev'essere ininterrotto, con osservanza dell'orario stabilito (art. 28 regolam. del 1914) sotto pena, nei casi gravi, anche di decadenza dal diritto (articoli 22 e 11, lettere e ed f della legge). Inoltre il titolare che intenda chiudere la farmacia deve informare il prefetto almeno un mese prima, sotto pena di ammenda (art. 14 della legge).
Per garantire l'osservanza di tutte le norme vigenti in materia, la legge dispone che il medico provinciale ispezioni, almeno ogni due anni, tutte le farmacie (articoli 37 segg. del regolam. del 1914 e, per rendere possibile la vigilanza stessa, i farmacisti sono obbligati a pagare una tassa annua d'ispezione che è stata elevata nel suo ammontare con l'art. 9 del r. decr. 21 ottobre 1923, n. 2367).
Bibl.: F. Cammeo e C. Vitta, Sanità pubblica, in Trattato di dir. amministrativo di V. E. Orlando, Milano 1900 segg., IV, ii; S. Lessona, Trattato di dir. sanitario, Torino 1914, I, p. 340 segg.; D. Vitali, S. Giustiniani e A. Ingaramo, Codice farmaceutico, Torino 1899; G. Franceschini, voce Farmacia, in Digesto italiano, Torino 1892; P. Gaviraghi, voce Farmacia, in Enciclopedia giur. italiana, Milano 1903; C. Melograni, Codice sanitario, Napoli 1921, p. 133 segg.; A. Carapelle, Commento alla legge 22 maggio 1913, n. 468, Roma 1914; M. Rosselli, La nuova legge sull'esercizio delle farm., Torino 1913.