FARFA (A. T., 24-25-26)
Piccolo villaggio della provincia di Rieti (156 ab. nel 1921), frazione del comune di Fara in Sabina, sorto presso la storica abbazia (v. sotto) a 192 m. d'altezza, in vista della valle del fiume Farfa (lunghezza 37 km.; bacino 257 kmq.) affluente di sinistra del Tevere (v.).
L'abbazia di Farfa. - Monumenti. - Alla chiesa attuale, ricostruita nel 1494 dal commendatario cardinale Orsini, si giunge per una porta composta di bei frammenti scolpiti (secoli IX-XII) già appartenenti all'antica basilica, e attraverso una corte quadrata. Notevole, nella facciata della chiesa, il portale ogivale in cui è affrescata la Vergine col Bambino e Santi (arte umbra del sec. XV). L'interno è a tre navate, divise da otto colonne di granito e cipollino provenienti dall'antica basilica. Nella navata di mezzo: soffitto ligneo a cassettoni e lungo le pareti affreschi della scuola degli Zuccari. Sempre nella navata maggiore è un altro affresco rappresentante il Giudizio Universale, opera della metà del Cinquecento. Nel convento si conservano interessanti sculture classiche e medievali, e sono stati rimessi in luce importanti resti di affreschi di varia epoca del Medioevo.
Storia. - Secondo la tradizione, un Lorenzo originario dalla Siria aveva costituito in questo luogo, forse verso la fine del secolo IV, un primo centro monastico, che fu disperso o dall'incursione vandalica di Genserico (455), o, più probabilmente, dall'invasione longobarda. La storica badia venne fondata, verso il 680, dal franco Tommaso di Moriana, il quale ebbe la protezione di Faroaldo II duca di Spoleto e il favore di papa Giovanni VII. L'abbazia, in cui entrarono in gran numero Franchi e Longobardi che spesso appartenevano alle classi più elevate, prese un rapido sviluppo sotto abati che per lo più provenivano da cospicue famiglie franche.
La particolare importanza della posizione, non lontana dalla via Salaria, sui confini del territorio dove proprio allora si veniva costituendo il dominio temporale della Chiesa di Roma, e dove si urtavano in vario senso gl'interessi dei re longobardi e franchi, dei duchi di Spoleto, dei papi e delle forze laiche della regione romana, nel sec. VIII; e, nei secoli successivi, degl'imperatori, dei papi, del comune di Roma e dei feudatarî del Lazio e della Sabina, conferiva a Farfa un singolare valore politico. Per assicurarsene la devozione, principi longobardi e franchi largheggiarono in favori con la badia. Farfa si pose sotto la tutela prima dei re longobardi, poi di Carlomagno, che ne proclamò la diretta dipendenza dal suo palatium. Divenuta così badia imperiale, Farfa salì a grande floridezza e potenza. Importantissimo centro di studî e di vita religiosa, concorse in tempi difficili con le altre insigni badie italiane ad assolvere una nobile missione di civiltà. Nell'898 fu invasa dai Saraceni; poi fu distrutta da un incendio. Risorse tra il 930 e il 936, ma sofferse in quel secolo un periodo di grave decadenza, superata però nel secolo successivo, sotto l'influenza del rinnovamento monastico mosso da Cluny, per l'opera illuminata dell'abate Ugo I (997-1039).
Introdotta l'osservanza della riforma cluniacense, riordinata l'amministrazione patrimoniale, rinvigorita la vita spirituale della comunità, Farfa si risollevò a nuovo splendore. Fu sede di un famoso scriptorium, donde uscirono codici redatti in una particolare minuscola romana, che fu appunto detta farfense; ebbe una ricchissima biblioteca. In uno dei suoi monaci più illustri, Gregorio di Catino (nato circa il 1060, morto dopo il 1132) Farfa trovò uno storico appassionato, e un instancabile trascrittore dei documenti custoditi nel grande archivio della badia. Gli originali andarono purtroppo perduti nella quasi totalità per le ingiurie dei tempi e degli uomini, i quali nei secoli successivi anche i tesori della biblioteca dovevano in parte distruggere, in parte disperdere qua e là per l'Italia e per l'Europa.
Nel campo economico e politico Farfa lottò animosamente contro le cupidigie dei feudatarî locali e romani, specie dei Crescenzî, e fu coinvolta nelle drammatiche vicende di fazioni che dilaniavano Roma. Considerata dagl'imperatori tedeschi come un buon punto d'appoggio per la loro politica nell'Italia centrale, Farfa stette con Enrico IV e con Enrico V nella lotta per le investiture, a ciò indotta soprattutto dai proprî interessi materiali. Le sue dipendenze territoriali dalla Sabina si estendevano agli Abruzzi e alle Marche. Un'intensa attività economica, sociale e politica dava al complesso dei suoi possedimenti territoriali il carattere di un vero stato feudale, che nella protezione degl'imperatori cercava la tutela della propria autonomia di fronte alla politica papale.
Questo atteggiamento mutò quando, dopo il concordato di Worms (1122), perduta la qualità di badia imperiale, Farfa passò sotto la tutela papale. Transitorio fu il ritorno all'Impero, allorché sotto Federico I Barbarossa vi fu consacrato l'antipapa Vittore IV (1159): la badia non tardò a rientrare nell'obbedienza verso Alessandro III. Farfa, aveva però perduto, insieme con la qualità di badia imperiale, anche l'antica importanza politica. I papi, mentre ne venivano assorbendo entro lo stato ecclesiastico le dipendenze feudali, intesero a sfruttarne le risorse economiche per gli assillanti bisogni delle loro finanze, e ad esautorarne il governo abbaziale, controllandolo mediante amministratori e provveditori apostolici, e abati vicarî pontifici. Nel 1400, per opera di Bonifacio IX, cominciò la serie degli abati commendatarî. Nei secoli XV e XVI essi furono per lo più degli Orsini, nel secolo XVII dei Barberini, e, quasi di regola, nipoti di papi. Dal 1567, per decreto di Pio V, Farfa fu posta alle dipendenze della Congregazione cassinese. Ma la gloriosa badia era soltanto l'ombra del passato. Gli ultimi resti dello stato farfense furono incorporati in quello della Chiesa nel 1589, da Sisto V. Alla fine del sec. XVIII la bufera rivoluzionaria promossa dai Francesi travolse anche la badia, che risorse bensì nel 1818 per volontà di Pio VII, ma condusse vita stentata. Gregorio XVI nel 1841 soppresse la commenda abbaziale. La comunità monastica stessa, ridotta a pochissimi membri, scomparve quando lo Stato della Chiesa fu unito al regno d'Italia. La badia, incamerata nel 1872 e posta all'asta, divenne proprietà privata. Ma Farfa è oggi ritornata alla vita religiosa; nel 1919 la Congregazione cassinese ne unì l'abbazia con quella di S. Paolo fuori le mura di Roma, donde nel 1921 un gruppo di monaci mosse a rinnovarne la comunità.
Per le fonti, v. Gregorio di Catino e Ugo I abate di Farfa. Per la storia, oltre le introduzioni e gli studî degli editori delle fonti, v. I. Schuster, L'imperiale badia di Farfa, Roma 1921.