FARA
. Nel linguaggio longobardo e anche nella più antica parlata franca è così detto l'insieme dei parenti che derivano da un progenitore comune. Nella maggior parte delle parlate germaniche si afferma invece il termine equivalente Sippe (nel gotico sibja). Queste gentes hanno una grande importanza nella primitiva costituzione così del popolo longobardo, come degli altri popoli germanici. Sommamente istruttivo è, a questo proposito, il capitolo 177 dell'editto di Rotari, ove si prevede il caso del longobardo, che abbia ottenuto licenza dal re, di migrare cum fara sua e si stabilisce che possa andare dove vuole, ma che, in tal caso, tutto ciò che gli sia stato donato dal duca o da un libero qualsiasi e che egli, migrando, abbandoni, debba ritornare al donatore.
Si vede dunque che alla metà del sec. VII, dopo quasi un secolo di residenza in Italia, i vincoli fra gli appartenenti a una stessa gente o fara erano così forti, che gli spostamenti avvenivano in comune. Non v'ha dubbio che l'occupazione delle terre italiane sia stata fatta per fare; ciò risulta dal fatto che ancor oggi ci sono abitati che portano il nome di Fara o Farra e taluno ricorda anche il nome dell'originario capostipite, che contraddistinse quella Fara dalle altre, come Fara Autarena nell'Italia settentrionale e Fara filiorum Petri riell'Italia meridionale. Perciò le terre dei gentili sono contigue ed essi hanno pascoli e selve in comune. I vicini che sono ricordati nell'Editto, nella maggior parte dei casi, erano membri d'una stessa fara, e il vincolo d'assistenza comune, che il sangue fondeva fra essi, è il modello su cui si poggia il giuramento che stringe gli abitanti del villaggio, anche se non sono parenti: la fabula qae est inter vicinos. Essa determina le regole per compensare i danni recati dal bestiame (v. Rotari, 346) ma dà anche il diritto di sostituire a chi abbia prestato garanzia sacramentale per il delitto, un proximus legitimus, cioè un gentile, o un figlio, oppure se questi manchino, un vicino, ossia un gamahalos confabulatus.
Questo legame così stretto fa sì che la fara sia originariamente la cellula dell'esercito germanico primitivo. Per questo, secondo il racconto di Paolo Diacono, quando re Alboino costituì nel Friuli il primo ducato longobardo, e volle affidare al nipote Gisulfo il pericoloso compito di esserne duca e di guardare, così, dagli assalti degli Avari e dei Bizantini, le spalle dell'esercito che avanzava, Gisulfo gli chiese di poter scegliere quelle fare hoc est generationes del lineas che avesse voluto, e, nel contempo, le più generose cavalle.
Delle fare longobarde non rimangono tracce dopo la caduta del regno, se non nei nomi di luogo; è probabile del resto che già prima della fine della loro dominazione indipendente, i re longobardi avessero tolto la funzione delle fare nell'esercito. L'ordinamento degli ultimi re ebbe una base semplicemente numerica e agli aggruppamenti gentilizî non fu più concessa l'importanza che essi avevano avuto nei primi tempi.
Bibl.: K. Amira, Grundriss des germ. Rechts, Strasburgo 1901, p. 105 seg.; W. Bruckner, Die Sprache der Longobarden, Strasburgo 1895, p. 87 seg.; A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., III, Torino 1894, p. 274 seg.