Fantascienza
Sulla discussa origine della f. cinematografica pesa l'ambiguità terminologica con cui viene definito il genere. Per alcuni, infatti, la f. è solo uno dei filoni del fantastico (Bouyxou 1971; v. anche fantastico, cinema); per altri, invece, essa è il luogo narrativo dove si può perpetrare il passaggio tra ordinario e straordinario, tipico di tutto il soprannaturale (Cremonini 1981). Tale precisazione è tanto più importante quando si voglia seguire lo sviluppo della f. nel cinema secondo un ordine cronologico. Seguendo la prima ipotesi, si ha f. ogni volta che il fantastico sfiora l'ambito scientifico o parascientifico. In tal senso, sarebbe giusto offrire il primato cinematografico a Le voyage dans la Lune (1902; Il viaggio nella Luna) di Georges Méliès, e considerare, a pieno titolo, fantascientifici Frankenstein (1931) o The invisible man (1933; L'uomo invisibile) entrambi di James Whale, grazie alla presenza di scienziati e laboratori, mentre di solito tali film vengono classificati nel novero dell'horror o del fantastico gotico. Più interessante si rivela pensare alla f. come a un 'immaginario tecnologico', che cinema e letteratura hanno forgiato nel 20° sec., influenzandosi reciprocamente, in seguito a un'accelerazione tecnica iniziata a partire dalla rivoluzionaria scoperta della riproduzione fotografica della realtà e, quindi, anche della nascita del cinema. "Giocare con i motivi della fantascienza era molto naturale per i primi cineasti, che stavano ancora giocando con le possibilità del cinema" (Scholes, Rabkin 1977; trad. it. 1988, p. 148). Secondo tale schema, la f. nasce insieme al cinematografo, che immediatamente illustra l'aspetto 'meraviglioso' del racconto per immagini, conquistando però lo statuto di genere solo una volta confrontatasi con una società contraddistinta dall'utilizzo massiccio di tecnologie. Il che avvenne solo dopo la Seconda guerra mondiale, anche se esistevano i prodromi di questa consapevolezza già nel primo dopoguerra. Si può dire che "nella fantascienza insomma la scienza genera i propri anticorpi e li oppone alla fonte della sua celebrazione e del suo esercizio, interrompendo ‒ a volte in modo drammatico, a volte occasionalmente ‒ l'evoluzione, lo sviluppo e in ultima analisi la concezione ottimistica e storicistica che la vuole protesa verso una meta tanto alta e nobile quanto indistinta" (La Polla 2000, p. 1520). Bisogna, inoltre, ricordare che analogo percorso ha seguito la letteratura di genere, specie quella statunitense, passata dalla produzione per lo più dozzinale e avventurosa, debitrice di J. Verne e H.G. Wells, degli anni Venti e Trenta, alla cosiddetta 'età dell'oro' della seconda parte degli anni Quaranta e di tutti gli anni Cinquanta, segnata da un tipo di approccio più problematico con il mondo della scienza come anche da strutture più articolate e di maggiore spessore.Impostata la questione in tal modo, si possono riconoscere alcuni grandi film prototipi del genere, da cui spesso i cineasti successivi hanno tratto ispirazione: in primo luogo Metropolis (1927) di Fritz Lang, tra le prime analisi dello sfruttamento capitalistico dell'uomo sull'uomo, attraverso l'evoluzione tecnologica, sviluppata con suggestive soluzioni visive; Things to come (1936; La vita futura) di William Cameron Menzies, sceneggiato da H.G. Wells, pieno di funeste profezie di guerra (il bombardamento di Londra) e futuristiche ipotesi datate 2040; King Kong (1933), diretto dai documentaristi Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, chiara metafora in forma spettacolare di quella irrazionale 'animalità' che la società occidentale tende a isolare e a espellere nel periodo del progresso; e il successivo Dr. Cyclops (1940), opera del solo Schoedsack, primo grande sviluppo della tecnica degli effetti speciali, ottenuto con sapienti combinazioni di modellini, trucchi ottici, sovrimpressioni e trasparenti.È giusto, d'altra parte, considerare la f. come un genere riconoscibile, e consapevole di essere tale, solo dagli anni Cinquanta e in particolare nell'ambito del cinema statunitense. In tale periodo, infatti, tanto gli studios hollywoodiani quanto i produttori indipendenti iniziarono a realizzare decine di film fantascientifici, alcuni inquietanti e raffinati, più spesso girati in poco tempo e al solo scopo di attirare e soddisfare il grande pubblico. Le ragioni che portarono a questa produzione così intensa sono di solito individuate nella realtà sociale e politica degli Stati Uniti, la cui ricchezza interna (insieme alla pace domestica) conquistata con la Seconda guerra mondiale, venne messa in crisi dalla guerra fredda e dal terrore atomico (Biskind 1983). Gran parte dei film dell'epoca contiene metafore di queste fobie, sia pure a livello latente. Alcune opere come Invasion of the body snatchers (1956; L'invasione degli ultracorpi) di Don Siegel, o Forbidden planet (1956; Il pianeta proibito) di Fred McLeod Wilcox, per es., possono essere annoverate tra i capolavori del dopoguerra per come sanno illustrare l'uno l'angoscia e il senso di insicurezza derivanti dal timore di un'invasione comunista, l'altro il favoloso immaginario interplanetario dell'epoca. Analogamente a quanto avveniva nella produzione letteraria, anche nella f. cinematografica si vennero delineando alcuni specifici sottofiloni legati allo sviluppo di determinate tematiche: gli extraterrestri (v. alieno); il viaggio interplanetario; la riproduzione dell'uomo come robot o androide; la rappresentazione di civiltà future. Tra gli altri importanti film degli anni Cinquanta: Red planet Mars (1952) di Harry Horner, curioso esempio di messaggio religioso e anticomunista, e The incred-ible shrinking man (1957; Radiazione BX distruzione uomo) di Jack Arnold ‒ regista che aveva già realizzato spettacolari racconti di catastrofi e mutazioni mostruose in Creature from the black lagoon (1954; Il mostro della laguna nera) e in Tarantula (1955; Tarantola) ‒ incentrato sulla drammatica lotta per la sopravvivenza di un essere umano ridotto alle dimensioni di uno spillo.Il mutamento del panorama politico internazionale portò anche la f. a interrogarsi su questioni più quotidiane e incalzanti. Tra le ragioni che portarono all'affermazione del filone fantapolitico ‒ ulteriore sottocategoria del genere ‒ risulta fondamentale il clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni che si diffuse dopo alcuni avvenimenti traumatici. Il più importante fra questi fu certamente l'assassinio del presidente statunitense J.F. Kennedy (1963), ma anche il proseguimento della guerra fredda con momenti di crisi quali l'episodio della Baia dei Porci (1961) e i missili a Cuba (1962), e il conflitto in Vietnam (1965-1975). Film come The Manchurian candidate (1962; Va' e uccidi) di John Frank-enheimer (dove si prefigura persino l'assassinio del presidente degli Stati Uniti), o Fail safe (1964; A prova di errore) di Sidney Lumet, mostrano scenari verosimili dell'immediato futuro evidenziando anche i gravi pericoli insiti nel presente. L'urgenza degli avvenimenti quotidiani sembrò, quindi, sottrarre fascino alla f. classica e alle figure neomitologiche dell'extraterrestre o del robot, e dare spazio, piuttosto, all'allarme sociale (v. catastrofico, film): esemplare, in questo senso, un film sul pericolo atomico come On the beach (1959; L'ultima spiaggia) di Stanley Kramer.A Stanley Kubrick si deve una vera e propria rivoluzione copernicana nel genere fantascientifico: 2001: a space odyssey (1968; 2001: Odissea nello spazio) ebbe il merito di recuperare l'iconografia della f. spaziale e al contempo di mantenere un filosofico approfondimento in linea con i tempi. Abbinando ricerca sperimentale e un rigoroso approccio figurativo, il film si è rivelato presto un modello con cui misurarsi sia visivamente (l'estrema cura degli effetti speciali di nuova generazione) sia tematicamente (la fortissima propensione di Kubrick per la speculazione filosofica). Diviso in due parti tra il passato primitivo dell'uomo e il futuro dell'indagine spaziale, non mette in scena figure tipiche del genere, quali l'extraterrestre o l'androide, ma risolve le costanti del filone con scelte non convenzionali: il mistero sulla presenza di altre forme di vita nell'universo e l'idea di trascendenza simboleggiati da un misterioso monolite, o l'umanizzazione della macchina nel computer di bordo Hal 9000, privo di caratteristiche antropomorfe eppure straziante quando muore lentamente ammettendo di provare paura.Negli anni Sessanta, ancora prima di Kubrick, anche alcuni autori europei avevano realizzato esperimenti narrativi basati su tematiche fantascientifiche, senza sentirle come appartenenti a un genere di secondo ordine. Per es., Jean-Luc Godard con Alphaville (1965; Agente Lemmy Caution ‒ Missione Alphaville); François Truffaut con Fahrenheit 451 (1966); Alain Resnais con Je t'aime, je t'aime (1968; Je t'aime, je t'aime ‒ Anatomia di un suicidio); Marco Ferreri con Il seme dell'uomo (1969). Nel frattempo in Italia, in un periodo in cui si erano affermati generi popolari e non autoctoni (come l'horror e il western), anche quello fantascientifico aveva avuto un suo sviluppo grazie a registi come Mario Bava e Antonio Margheriti (che spesso si firmava come Anthony M. Dawson). Inoltre la tendenza alla 'falsificazione' dei set, dei nomi del cast, dell'origine del prodotto aveva permesso alla f. italiana di essere conosciuta e ammirata all'estero. In realtà, pur se tradizionalmente La morte viene dallo spazio (1958) di Paolo Heusch viene considerato il capostipite del genere in Italia, riscoperte di film come L'uomo meccanico (1921) di André Deed hanno indotto a riconsiderare queste precedenti ipotesi di periodizzazione. A Margheriti va comunque il merito di aver saputo coniugare artigianato e spettacolo con opere quali Space men (1960), I criminali della galassia oppure I diafanoidi vengono da Marte (entrambi del 1966); mentre il più imitato fu Bava, autore di Terrore nello spazio (1965), commistione di fantascienza e horror, che avrebbe apertamente influenzato il successivo e ben più fortunato Alien (1979) diretto da Ridley Scott.
Anche nell'Est europeo i film di f. prodotti, tra cui Krakatit (1948) di Otakar Vávra, Vynález zkázy (1958; La diabolica invenzione) di Karel Zeman, Soljaris (1972; Solaris) e Stalker (1980), entrambi di Andrej A. Tarkovskij, fecero ricorso alle suggestioni del fantastico o a una personale rilettura dell'immaginario tecnologico (propiziata dal grande progresso scientifico sovietico).
Sul finire degli anni Sessanta e nella prima metà degli anni Settanta, sia la presenza di film di f. di altre cinematografie sia l'affiorare di nuovi delicati temi politici e sociali portarono Hollywood a trasformare il filone fantapolitico in una fantasociologia con una forte componente simbolica. Opere come Planet of the apes (1968; Il pianeta delle scimmie) di Franklin J. Schaffner, Soylent green (1973; 2022: I sopravvissuti) di Richard Fleischer, Zardoz (1973) di John Boorman o Rollerball (1975) di Norman Jewison raccontano in termini metaforici, o con toni ironicamente fiabeschi, utopie sociali di un ipotetico futuro, tutte destinate a trasformarsi in sistemi totalitari. Con il primo Planet of the apes, che ebbe numerosi sequels, si inaugurò il celebre 'ciclo delle scimmie' che rappresenta esemplarmente le inquietudini del decennio. La storia degli astronauti catapultati su un pianeta dominato da una razza di uomini-scimmia violenti e privi di scrupoli denuncia il proprio intento metaforico grazie a un colpo di scena cinematografico memorabile, pur se momento topico della letteratura di f.: si scopre, infatti, che il pianeta lontano non è altro che la Terra del futuro, ormai perduta dalla civiltà umana a causa della propria irresponsabilità e destinata al dominio di esseri degradati e bestiali.La rinascita della f. avventurosa è avvenuta in coincidenza con la riorganizzazione dell'industria cinematografica statunitense che, sul finire degli anni Settanta, ha assunto nuovamente il primato di 'fabbrica dei sogni' nell'immaginario occidentale. È usuale far iniziare la f. 'contemporanea' con il film Star wars (1977; Guerre stellari) di George Lucas, che insieme a Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) di Steven Spielberg ha propiziato una più vasta affermazione del sistema hollywoodiano. Dal 1977 in poi, infatti, il cinema fantascientifico ha riscosso di nuovo interesse e successo grazie al fatto di aver conquistato ogni traguardo tecnologico pensabile, passando dagli effetti speciali tradizionali a quelli generati al computer. La possibilità di dare corpo alle fantasie più ardite ha permesso a decine di cineasti di configurare un'idea di fantastico sempre più visionaria. Inoltre, in un'epoca che gli esperti hanno definito postmoderna, la f. ha costituito il genere in cui più evidenti si mostrano le tracce della contemporaneità, a cominciare dal gusto dell'accumulo e del pastiche. Il film più celebre del periodo, Blade runner (1982) di R. Scott, basato sul romanzo Do androids dream of electric sheep? di Ph.K. Dick, per es., si nutre di memorie lontane (il genere noir, il romanzo esistenzialista) per offrire una perfetta ipotesi di futuro prossimo venturo. La figura del replicante, simulacro umano dotato di soli quattro anni di vita, segnala i pericoli di un mondo completamente dominato dal capitale, in cui la stessa vita umana diventa oggetto di commercio.
Anche tutti gli altri filoni della f. sono stati rilanciati in considerazione del rinnovato interesse per il fanta-stico. Film più spettacolari, da The terminator (1984; Terminator) di James Cameron a Robocop (1987) di Paul Verhoeven, declinano la figura dell'androide in termini sempre più conflittuali, fino a immaginare una repellente commistione tra carne umana e metallo, come accade nell'inquietante Tetsuo (1989) di Tsukamoto Shin'ya. Il viaggio nel tempo è al centro della trilogia, piena di paradossi, di Back to the future diretta da Robert Zemeckis, mentre la saga di Alien, a partire dal primo film di R. Scott, terrorizza gli spettatori grazie a un nemico extraterrestre particolarmente infido e aggressivo. Negli stessi anni è emersa una forte tendenza al remake, essenzialmente legata alla volontà di aggiornare film e temi, conferendo loro una nuova dimensione spettacolare resa possibile in particolare dallo sviluppo delle tecnologie avanzate, ma anche da una prospettiva rinnovata. Così opere come The thing (1982; La cosa) di John Carpenter, The fly (1986; La mosca) di David Cronenberg o Planet of the apes (2001; Planet of the apes ‒ Il pianeta delle scimmie) di Tim Burton hanno recuperato e reso quasi irriconoscibili i film degli anni Cinquanta o Sessanta presi a modello, riattualizzando il serbatoio di storie e idee costituito da quelle opere. Cronenberg, in particolare, piuttosto che limitarsi a ripercorrere una vicenda paradossale come quella di un uomo che si trasforma in una mosca gigante, ha pensato di aprire il film del passato a suggestioni che questo non possedeva minimamente: l'allusione alla metamorfosi kafkiana, l'utilizzo di termini biologici e medici assai precisi, la ricerca di uno sguardo freddo e chirurgico quasi si trattasse di un documentario hanno trasformato The fly in un vero e proprio cult movie.
Dal momento che la f. ha sempre sublimato e interpretato gli stimoli provenienti dalla società, negli anni Ottanta e Novanta ha corso il rischio di essere superata dalla realtà stessa (si pensi ai progressi tecnologici applicati alla vita quotidiana e alla forte accelerazione del sapere scientifico). Si è rivelato sempre più difficile trasformare in finzione ciò che già era stupefacente, e questo spiega lo scarso interesse suscitato dai film sui videogiochi, come l'archetipico Tron (1982) di Steven Lisberger, o da quelli dedicati al mondo della realtà virtuale, quale The lawnmower man (1992; Il tagliaerbe) di Brett Leonard, anche se, alla fine del 20° sec., un film come The matrix (1999; Matrix) di Andy e Larry Wachowski ha soddisfatto i giovani amanti della f. con una rappresentazione particolarmente riuscita di temi cyberpunk e grazie all'inserimento del kung fu e del linguaggio pubblicitario.
Più in generale, si può dire che due tendenze contrapposte hanno reso la f. protagonista del cinema contemporaneo. Da una parte, essa costituisce, una volta di più, il luogo in cui la realtà viene commentata in termini fortemente simbolici: basti pensare ad analisi estreme sul sistema dei mass media come The Truman Show (1998) di Peter Weir. Dall'altra, la f. appare sempre più come un grande contenitore di esperimenti visivi, tesi a saggiare le possibilità della nuova grafica computerizzata. Film come Jurassic Park (1993) di Spielberg, Independence day (1996) di Roland Emmerich o Star wars: episode I ‒ The phantom menace (1999; Star wars: episodio I ‒ La minaccia fantasma) di Lucas sembrano abbattere ogni barriera tra film dal vivo e film d'animazione, e fondare la propria forza più sullo stupore che sono in grado di ottenere da parte dello spettatore che su storie ben congegnate. E si può anche affermare che, grazie all'uso degli effetti speciali, un po' di f. alberghi in film di impianto storico quali Titanic (1997) di Cameron o Gladiator (2000; Il gladiatore) di R. Scott.
J. Baxter, Science fiction in the cinema, New York 1970.
J.-P. Bouyxou, La science-fiction au cinéma, Paris 1971.
R.E. Scholes, E.S. Rabkin, Science fiction. History, science, vision, New York 1977 (trad. it. Fantascienza. Storia scienza visione, Parma 1988).
G. Cremonini, La cosa dell'altro mondo, in "Cinema & cinema", 1981, 29.
P. Biskind, Seeing is believing. How Hollywood taught us to stop worry-ing and love the fifties, New York 1983.
B. London, The aesthethics of ambivalence, Westport (CT) 1992, pp. 119-43.
S. Bukatman, Terminal identity. The virtual subject in post-modern science fiction, Durham 1993.
D.E. Nye, American technological sublime, Cambridge (Mass.) 1994.
J.P. Telotte, Replications. A robotic history of the science fiction film, Urbana (IL) 1995.
V.C. Sobchack, Screening space. The American science fiction film, New Brunswick (NJ) 1997².
F. La Polla, La fantascienza, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 2° vol. Gli Stati Uniti, t. 2, Torino 2000, pp. 1519-34.
R. Menarini, A. Meneghelli, Fantascienza in cento film, Genova 2000.