Fanny och Alexander
(Svezia/Francia/RFT 1981, 1982, Fanny e Alexander, versione televisiva 312m, versione cinematografica 197m); regia: Ingmar Bergman; produzione: Jörn Donner per Cinematograph AB/Svenska Filmindustri/Sverige Television AB TV1/Gaumont/Personafilm/Tobis; sceneggiatura: Ingmar Bergman; fotografia: Sven Nykvist; montaggio: Sylvia Ingemarsson; scenografia: Anna Asp; costumi: Marik Vos; musica: Daniel Bell.
Uppsala, Natale 1907. In casa dell'anziana Helena Ekdahl, un tempo attrice teatrale, i nipotini Alexander e Fanny osservano eccitati i preparativi per la cena che ogni anno riunisce la numerosissima famiglia: oltre ai genitori (Oscar, direttore del teatro cittadino, e la giovane moglie Emilie, attrice), una vasta e chiassosa compagine di zii, cugini e affiliati, tra cui spicca l'antiquario ebreo Isak Jacobi, paziente corteggiatore della nonna. La fertile immaginazione di Alexander, che nel prologo vede una statua muoversi, lo rende spettatore incantato della vita degli adulti. Poco tempo dopo, durante le prove per una rappresentazione dell'Amleto, dove interpreta il fantasma del re Claudio, Oscar muore in seguito a un malore improvviso; ma, in luogo di scomparire, diviene il silenzioso testimone degli eventi della casa. Intanto la giovane vedova, preoccupata per il carico di responsabilità nei confronti dei figli, sposa il vescovo luterano della città, Edvard Vergérus, uomo austero e morigerato fino alla paranoia ossessiva. Il vescovo intende educare i due bambini a una durissima disciplina, aiutato da una sorella arcigna e da una spaventosa madre obesa; in breve, la vita dei bambini diventa un incubo. Alexander disobbedisce e incorre in continue punizioni, che alla lunga persuadono la madre a chiedere il divorzio, ma invano. Disperata, Emilie cerca aiuto dalla ex suocera Helena: la donna, con l'aiuto di Isak, riuscirà con un arcano stratagemma a far uscire i bambini dalla casa e a nasconderli nella bottega dell'antiquario. In questo piccolo regno fantastico di cose perdute, dove molti eventi inspiegabili hanno luogo, la fantasia di Alexander e di Fanny si scatena alla scoperta di mille meandri segreti, suggestionata dai discorsi dell'ermafrodito sensitivo Ismael, un giovane orfano che vive nella bottega di Isak. Solo alla notizia che il furibondo vescovo è deceduto a causa dell'incendio della sua casa, i due bambini potranno ricongiungersi alla famiglia Ekdahl. Emilie dà alla luce una bambina, figlia di Vergérus, e progetta un ritorno sulle scene convincendo Helena a recitare insieme a lei in un dramma di Strindberg. Dopo due anni di naufragio, la vita della famiglia Ekdahl riprende serenamente il suo corso.
Opera di straordinario spessore testuale e maturità espressiva, Fanny och Alexander segnò il ritorno di Ingmar Bergman al cinema, dopo cinque anni di esilio volontario dalla Svezia per motivi fiscali, e fu annunciato dal regista come il suo ultimo film (i fatti però lo smentirono), assumendo per questo un ulteriore valore di testamento artistico. Prodotto originariamente in quattro puntate televisive, venne poi ridotto per la versione cinematografica. Suddiviso in un prologo, un epilogo e cinque capitoli (Il Natale, Il fantasma, Il commiato, I fatti dell'estate, I demoni), il film è la summa dei temi, dei personaggi e delle tecniche narrative sperimentate da Begman in quarant'anni di regie, ma anche un inedito dramma domestico dal taglio dickensiano, che contrappunta i toni della commedia a quelli dell'orrore, del dramma e della tragedia, intriso di un senso del soprannaturale tipico della letteratura nordica. Le sue proporzioni epiche, da affresco storico, lasciano anche affiorare suggestioni autobiografiche: nella vicenda della vocazione allo spettacolo dell'ipersensibile Alexander, che fa da filtro prospettico alla saga familiare degli Ekdahl, si ritrovano, oltre a un esplicito riferimento al dramma di Amleto in lotta contro l'usurpatore del ruolo paterno, molti motivi dell'infanzia del regista (il padre pastore repressivo, la passione per il teatro, ecc.), che fanno da spunto per la creazione di un mondo dove l'immaginazione non è meno vera e piena di conseguenze della realtà, con la quale interagisce in continuazione. I frequenti misteri che contraddicono le leggi del reale (e per estensione quelle del cinema), primo fra tutti l'ubiquità che consente ai due bambini di fuggire dalla casa-prigione senza muoversi apparentemente dalla propria stanza, hanno la funzione cristallina di creare un'utopia concreta, attraverso la messa in immagine della libertà del pensiero infantile dalle regole del pensiero logico. La verità nel film è sempre una sensazione, e in quanto tale fragile, fluttuante e indipendente dal controllo della ragione: quando Alexander desidera di essere libero dalla prigionia, lo diviene, e quando desidera il male del patrigno lontano, questi muore.
Altro termine di liberazione dalle leggi dell'ovvio, tipico della logica confusiva dell'infanzia, è la percezione della sessualità: l'esuberante e continua tensione erotica, che coinvolge come fatto di natura e senza peccato i membri della famiglia Ekdahl, è dispersa dal vescovo (il cui rigore-squallore riporta al senso opprimente della religiosità in Dreyer), così come si perde la connotazione sessuale maschio-femmina al cospetto della diade ambigua formata dai due sensitivi: Ismael, ragazzo interpretato da una donna, e la sorella del vescovo, dalle fattezze evidentemente maschili. Nel caleidoscopio di impressioni, presenze fantasmatiche e intermezzi comico-grotteschi con cui Bergman amplifica la percezione del reale sprofondandolo in una dimensione mentale scorporata, resta come cardine drammatico il conflitto tra la morale protestante, intesa come super-controllo razionale delle emozioni più viscerali, e la magia come forza infantile di trasfigurazione (che si incontra con il tenore divinatorio, cabalistico e magico della cultura ebraica): un conflitto incarnato dallo scontro tra il vescovo e Alexander, che si riverbera in un ulteriore motivo ricorrente nel film (e in generale in Bergman), quello della rappresentazione teatrale, forma e contenuto dei primi due capitoli.
Unanimemente, la critica mondiale acclamò come capolavoro Fanny och Alexander. Tra la messe di premi che gli furono riconosciuti, anche quattro Oscar, record tuttora imbattuto per un film di lingua non inglese: miglior film straniero, scenografie, costumi e fotografia, quest'ultimo attribuito allo straordinario lavoro di Sven Nykvist (al secondo Oscar con Bergman, dopo quello per Viskningar och rop ‒ Sussurri e grida, 1972): la tavolozza dell'illuminazione, congiunta al lavoro scenografico nel connotare cromaticamente gli ambienti (i rossi e gli arancioni della cena di Natale, i blu freddi e i grigi della casa del vescovo, i giochi di luci e ombre nella bottega dell'antiquario, i gialli caldi e di nuovo i rossi nel ritorno a casa), aggiunge una grande suggestione visiva alla perfezione stilistica del film e alla bravura del nutrito ed eterogeneo gruppo di interpreti.
Interpreti e personaggi: Pernilla Allwin (Fanny Ekdahl), Bertil Guve (Alexander Ekdahl), Börje Ahlstedt (Carl Ekdahl), Harriet Andersson (Justina), Pernilla Wallgren (Maj Kling), Mats Bergman (Aron Retzinsky), Gunnar Björnstrand (Filip Landahl), Allan Edwall (Oscar Ekdahl), Stina Ekblad (Ismael Retzinsky), Ewa Fröling (Emilie Ekdahl), Erland Josephson (Isak Jacobi), Jarl Kulle (Gustav Adolf Ekdahl), Käbi Laretei (zia Anna), Mona Malm (Alma Ekdahl), Jan Malmsjö (vescovo Edvard Vergérus), Kerstin Tidelius (Henrietta Vergérus), Christina Schollin (Lydia Ekdahl), Gunn Wållgren (Helena Ekdahl), Anna Bergman (Hanna Schwartz), Lena Olin (Rosa), Stina Ekbald (Ismael).
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