FANINI, Fanino (Fannio Camillo)
Nacque a Faenza (od. provincia di Ravenna) intorno al 1520 da Melchiorre e Chiara Brini. Un suo biografo, Giulio da Milano, lo dice "giovine" nel 1550.
La famiglia era popolana, ma agiata: fornai da alcune generazioni, i Fanini possedevano una casa nella parrocchia di S. Stefano, una vigna e qualche altro appezzamento di terreno; la Brini aveva portato in dote la somma piuttosto cospicua di 100 scudi d'oro, che le fu restituita alla morte del marito, avvenuta dopo il 7 ott. 1546. Per volontà testamentaria del padre, i beni familiari passarono al F., mentre il fratello Giuseppe, divenuto prete, e la sorella Bianca, sposatasi con Virgilio Raccagni, furono esclusi dall'eredità.
Intrapreso il mestiere di fornaio, il F. sposò nel 1542 Barbara Baroncini, che gli portò la discreta dote di 266 lire bolognesi. Dall'inventario dei beni del F., redatto il 19 sett. 1552, risulta che egli possedeva sette appezzamenti di terreno e una casa fornita di comoda suppellettile (Sez. d. Archivio di Stato di Faenza, Notarile, vol. 1494, cc. 127-132). Dalla Baroncini ebbe due figli: Giovanni Battista, nato nel 1544 circa e già morto il 3 ott. 1562, e Giulia, che nel 1566 risulta sposata a Giulio Milzetti e forse morì prima del 27 genn. 1578.
Non risulta da alcun documento il periodo esatto nel quale il F. cominciò a orientarsi verso le nuove idee religiose. I biografi fanno, di solito, riferimento all'influenza esercitata su di lui dal Beneficio di Cristo del benedettino Benedetto da Mantova (1543) e dalla Tragedia del libero arbitrio dell'eretico bassanese Francesco Negri (1546). Si tratta, considerata l'ampiezza della diffusione delle due opere, di riferimenti visibilmente generici. Tutto ciò che si può asserire al riguardo è che la diffusione di idee protestanti a Faenza fu anteriore al 1543. Non sappiamo quale impressione abbia lasciato sul F. la predicazione di B. Ochino a Faenza nel 1538. La tradizione agiografica protestante gli attribuisce un'eccezionale conoscenza delle Scritture, tale da consentirgli di citarle diffusamente a memoria. Testimoni d'accusa gli attribuirono il possesso e la conoscenza di "molti libri contagiosi" (Casadei, p. 33). Giulio da Milano, che dichiara d'aver narrato la biografia del F. sulla base d'un documento stilato da un conoscente di quest'ultimo, ci informa che, subito dopo l'"illuminazione" che lo convertì al protestantesimo, il F. si diede a un'intensa propaganda segreta. Questa attività propagandistica del F. rientra, con molta probabilità, nella situazione descritta dal gesuita Pascasio Broët a Francesco Saverio in una lettera da Faenza del 1° marzo 1545: "Molti huomini et donne sonno in questa città, quali sono machiati di questa dottrina lutherana, qual hanno seminato alcuni predicatori passati, maxime frate Bernardino Ochino da Siena" (Tacchi Venturi, I, 2, p. 142).
Arrestato nel 1547, il F. fu processato una prima volta dall'inquisitore Alessandro da Lugo e, "liberato per pietà", fu tuttavia "bandito da Faenza et dalle terre dj santa Chiesa romana per conto d'haeresia, con speranza si dovesse emendare", secondo quanto scriverà il 7 febbr. 1549 a Ercole II d'Este il frate conventuale Giovanni Pietro Celso Giusti per informarlo della pericolosa attività del F. a Lugo (Casadei, p. 33). Giulio da Milano, interessato a presentare al mondo protestante un modello di martirio, scrive che il F. aveva abiurato "per le preghiere dei congiunti" e che, pentitosi, "per fare ammenda del suo errore voleva tanto più magnificamente confessare Dio. E così se ne andò per la Romagna predicando apertamente in ogni città" (Giulio da Milano, p. 96). L'ampiezza della predicazione del F. in Romagna è attestata da una lettera da Ravenna dell'inquisitore della Romagna, il conventuale Giovanni Antonio Delfini, del 27 febbr. 1549, al cardinale Marcello Cervini. In essa, nel comunicare l'arresto del F., il Delfini esprimeva anche la speranza che, essendo il F. "capo di setta", avrebbe rivelato il nome di altri complici (Casadei, p. 6). Il Delfini scriveva sulla base d'un suo interrogatorio di alcune monache del Convento di S. Chiara di Bagnacavallo, avvenuto probabilmente tra il 18 maggio e il 23 ott. 1548 (ibid., pp. 30 ss.), che si è conservato e che costituisce il documento più importante anche sui contenuti della predicazione del F. in Romagna.
Dalle dichiarazioni delle monache risulta che il F. si era unito, nella sua attività, a tali Barbone Morisi e Giovan Matteo Bulgarelli, considerati i capi ("ma questi doi sono i capi") d'un gruppo di propagatori delle nuove idee religiose. I contenuti dottrinali di questa predicazione sono compendiati negli interrogatori di sette suore, le quali, anche se riferiscono le dottrine apprese dal F. alle consuetudini e agli obblighi della loro vita claustrale, tuttavia insistono su alcuni punti omogenei: il F. e i suoi complici avevano insegnato loro che l'eucaristia non ha fondamento nelle Scritture e che la messa era un'invenzione a scopo di lucro; che l'ordine sacro non è un sacramento ("non fu mai altro sacerdote che Christo"); che le intercessioni dei santi non sono utili e quindi non e valido il loro culto. Da altre dichiarazioni delle stesse monache risulta quanto la predicazione del F. fosse stata persuasiva: molte di esse si dichiarano esplicitamente "lutherane"; tutte contestavano gli aspetti quotidiani della regola, negando la validità della recita dell'ufficio e del rosario, la pratica del digiuno, i fondamenti della stessa vita claustrale, anche con una punta di gusto dissacrante ("dicono che San Francesco non hebbe le stigmate da Christo, ma ch'egli se le fece con un cortellino, per ingannare il mondo"). Tale opera di persuasione era avvenuta mediante la proposta di molti libri eterodossi da parte del Fanini.
Dopo una breve detenzione nella rocca di Lugo, il F. fu trasferito a Ferrara, dove, il 25 sett. 1549, fu condannato a morte per impiccagione e rogo.
Nei diciotto mesi intercorsi tra l'arresto e l'esecuzione della condanna, il processo del F. suscitò attenzione e interventi, nei quali risultano coinvolti, oltre che direttamente gli uffici romani dell'Inquisizione, la stessa corte estense, ambasciatori, prelati e nobildonne in relazione con Renata di Francia.
In primo luogo, intervenne a favore del F. un personaggio di prestigio legato da tempo alla corte estense, il conte Camillo Orsini, che il 9 marzo del 1549 propose, da Parma, a Ercole II d'Este di consegnare a lui l'inquisito. L'Orsini intervenne ancora nel gennaio del 1550, ma il suo interessamento non ebbe esito. A favore del F. intervenne la duchessa Renata, che era già stata larga di elemosine verso di lui, come risulta da un suo appunto (Fontana, Renata di Francia, III, p. XLIII). Il 7 ott. 1549 Renata si rivolgeva direttamente a Ercole II, chiedendo la liberazione del "povero Fanin" (ibid., II, p. 273). Intervenne a favore del F. anche Lavinia Della Rovere. Presso quest'ultima aveva fatto pressioni da Kauffbeuren, dove si era stabilita come esule, Olimpia Morata, come risulta da una sua prima lettera a Lavinia, senza data, ma del 1550 (Morata, I, pp. 67 s.): in essa la Morata sollecitava Lavinia a intervenire sia a Roma sia presso Ercole d'Este, perché il F. venisse liberato. Le aspettative della Morata sugli esiti dell'interessamento di Lavinia andarono deluse: nell'ottobre del 1551, quando seppe che il F. era stato giustiziato, la Morata fu in grado di comunicare a Celio Secondo Curione l'accaduto con molti particolari, insistendo in particolare sulla fermezza del F. di fronte alle pressioni della moglie e dei figli. Nel 1552, comunicò a Lavinia la sua commozione e la sua soddisfazione per la costanza con cui il F. aveva affrontato la morte.
Pochi giorni dopo l'arresto del F. il cardinale Alessandro Farnese richiese da Roma a Ercole II la consegna del prigioniero, affinché "si possa anco per suo mezo rinvenire di molti complici" (Casadei, p. 34). Aveva inizio così una lunga trattativa che, oltre a sottolineare l'importanza che si attribuiva al preciso caso del F., mise in evidenza i tentativi di difesa giurisdizionale fatti da Ercole II nei confronti dell'Inquisizione.
In risposta alle richieste da Roma, il duca diede assicurazione (26 marzo 1549) che a Ferrara il F. sarebbe stato processato con rigore e che intanto era stato costituito un tribunale nel quale, con una procedura inconsueta, l'inquisitore di Ferrara Girolamo Papino veniva affiancato, per disposizione del duca, da un rappresentante dei domenicani, da un rappresentante dei frati minori, da un rappresentante della curia ferrarese e da tre consiglieri di giustizia della corte ducale. Risulta che il cardinale Cervini era favorevole a questa procedura. Ercole II prometteva che il F. sarebbe stato estradato a Roma, qualora "si justificasse talmente" da essere assolto (ibid., p. 13). La condanna non fu subito eseguita, avendo Ercole II interpellato il papa se non desiderasse mitigare la pena, in considerazione del fatto che si trattava di un caso del tutto nuovo, se non in Italia, certo nel suo Stato. Neppure il rifiuto del papa convinse il duca ad eseguire subito la condanna. Intanto, il voluto differimento dell'esecuzione da parte di Ercole Il trovò giustificazione nella morte di Paolo III. Di ritorno a Ferrara dopo la partecipazione all'incoronazione di Giulio III, Ercole II, evidentemente per premunirsi nei riguardi delle pressioni in favore del F. esercitate da "infiniti personagij de importantia", sollecitò il suo residente a Roma Bonifacio Ruggieri a chiedere "una lettera, alla ricevuta della quale non mancharemo di fare exequire quanto sarà necessario" (ibid., p. 20). Tale lettera, in forma di breve, porta la data del 31 maggio 1550. Agirono sull'operato di Ercole II anche le preoccupanti notizie che gli giungevano da Roma circa le tendenze calviniste di Renata (Archivio di Stato di Modena, Ambasciatori. Venezia, Feruffini, 18 luglio 1550).
La sentenza fu eseguita a Ferrara il 22 ag. 1550.
La biografia del F. diede luogo, nei paesi protestanti, a una letteratura di tipo agiografico, volta a farne un esempio di fermezza per quanti cedevano alla repressione dell'Inquisizione. Nel 1560 il F. trovò posto nel martirologio calvinista pubblicato a Ginevra dallo stampatore Jean Crespin (Actiones et monimenta martyrum) e nel 1580 nelle Icones di Théodore de Bèze. Entrambi i profili del F. abbozzati in queste due opere dipendono visibilmente da La vita et la morte di Fanino martire che l'esule Giulio da Milano significativamente inserì nell'edizione "riveduta et ampliata" della sua Esortatione al martirio. Subito dopo la morte del F. e prima di Giulio da Milano una breve biografia del faentino fu pubblicata dall'altro esule Francesco Negri, che si sofferma in particolare su dettagli riguardanti la fermezza del F., con l'intento di contrapporre l'atrocità del supplizio alle promesse di "libero concilio" fatte da Giulio III alla vigilia della seconda fase tridentina. Tuttavia, artefice del profilo agiografico del F. divenuto esemplare nel mondo protestante fu la più diffusa biografia di Giulio da Milano. Il vaglio critico della sua narrazione è estremamente difficoltoso. Comunque è certo che la pur frondosa narrazione di tipo emotivo contiene un nucleo di fatti realmente accaduti. Nella quaresima del 1550 Giulio da Milano fu clandestinamente a Ferrara, dove predicò e celebrò la cena alla corte di Renata. Non pochi particolari della narrazione di Giulio coincidono anche con la cronaca coeva del Biondi (Fontana, Renata di Francia, III, pp. 185 s.).
La notizia più rilevante data da Giulio da Milano riguarda i numerosi scritti che il F. avrebbe composto e che descrive come se li avesse visti: "Molte delle sue opere sono insieme confuse, senza alcuna distinzione; ma chi le volesse distinguere potrebbe cominciare dalle sue Epistole, e pigliare le spirituali e farne quattro copiosi libri. Di altri varii suoi scritti composti in prigione, si possono comodamente fare tre libri. Vi sono poi queste opere da lui medesimo ordinate, due trattati della proprietà di Dio, due trattati della confessione, due trattati del modo di conoscere Gesù, il fedele dall'empio, cento sermoni sopra gli articoli della fede, dichiarazioni sui Salmi, dichiarazioni su Paolo, dispute contro l'Inquisitore, consolazione ai suoi parenti sopra ai casi suoi, avvisi delle cose della sua vita. Vanno attorno alcuni sonetti spirituali a lui attribuiti, e un componimento di merito, che non si trovano ne' suoi scritti. Quanto a questo suo modo di comporre, piegava la carta, e da un lato scriveva, dall'altro notava i luoghi della Scrittura, e spesso sono più i luoghi notati nel margine che non sono le sue parole. E faceva ciò piuttosto miracolosamente che altrimenti, perocché mostrava di avere ogni cosa nella memoria e non giungere parola insieme che non fosse in due o tre luoghi o dell'uno o dell'altro Testamento. Ponea nel cominciamento di ciascheduna sua scrittura: non moriar sed vivam et narrabo opera domini" (Giulio da Milano, p. 105 s.).
La notizia di Giulio da Milano sugli scritti concorda in parte anche con la narrazione del Negri. In una delle varie edizioni della sua Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia T. Maccrie informa che scritti del F. furono stampati dopo la sua morte (Maccrie, p. 260). La notizia non ha fondamento.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Ravenna, Sez. di Faenza, Archivio notarile, Notaio Nicola Torelli, vol. 836, cc. 298, 405 (6, 19 ott. 1542: dote di Barbara Baroncini); vol. 847, c. 35 (7 sett. 1546: testamento di Melchiorre Fanini); vol. 864, cc. 392-395 (18 ag. 1552: inventario dei beni del F.); Ibid., Notaio Matteo Tomba, vol. 1494, cc. 127-132 (19 sett. 1552: tutela di Giovanni Battista Fanini e inventario dei beni familiari); Ibid., Notaio Giacomo Ubertini, vol. 1582, cc. 87-88 (16 ag. 1561: testamento di Diana Fanini); Faenza, Bibl. comun., ms. 62: G. M. Valgimigli, Memorie istoriche di Faenza. Origini. 1793, vol. XV, fasc. 58, pp. 1-11; Ibid., Giunte, pp. 375 ss., 479, 539, 725; Ibid., Schedario cronologico di G. Rossini, 29 genn. 1504, 29 dic. 1520 (notizie relative alla famiglia Fanini); B. Azzurrini, Chronica breviora, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXVIII, 3, 1, a cura di A. Messeri, p. 265; F. Negri, De Fanini faventini et Dominici bassanensis morte ... brevis historia, Tiguri 1550; Giulio da Milano, La vita et la morte F. martire, in Esortatione al martirio, [Poschiavo?] 1552, pp. 95-106, ristampata in La Rivista cristiana, VIII (1880) I, pp. 3-10; Actiones et monimenta martyrum, Genevae 1560, coll. 162-166; Opuscoli e lettere di riformatori italiani del '500, a cura di G. Paladino, Bari 1927, II, pp. 178-180, 182-186; O. Morata, Opere, I, Epistolae, a cura di L. Caretti, Ferrara 1954, pp. 67 s., 75-79; Théodore de Bèze, Icones, Genevae 1580, C. Hhij; G. L. Nolten, Dissertationem historicam de Olympiae moratae vita, scriptis, fatis et virtutibus, Francofurti 1731, pp. 37 ss.; D. Gerdes, Specimen Italiae reformatae, Lugduni Batavorum 1765, pp. 98 ss., 245 ss.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 2, Modena 1791, p. 383; T. Maccrie, Istoria del progresso e dell'estinzione della Riforma in Italia, Parigi 1835, pp. 258 ss.; Biografia di F., in L'Amico di casa, VII (1860), pp. 33-42; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, Torino 1866, II, pp. 99, 344 s.; III, pp. 34, 154; L. Settembrini, Lezioni di letteratura italiana, II, Napoli 1875, p. 212; B. Fontana, Documenti vati cani contro l'eresia luterana in Italia, in Archivio della Soc. rom. di storia patria, XV (1892), p. 418; Id., Renata di Francia duchessa Ferrara, II, Roma 1893, pp. 272-279, 520 s.; III, ibid. 1899, pp. XLIII, 185-187; B. Amante, Giulia Gonzaga contessa di Fondi e il movimento religiosonel secolo XVI, Bologna 1896, p. 260; E. P. Rodocanachi, Une protectrice de la Réforme en Italie et en France, Renée de France duchesse de Ferrare, Paris 1896, pp. 275 s.; A. Messeri-A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, pp. 249 s.; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI. Jahrhunderts, Paderborn 1910, pp. 180, 220, 309; G. Zonta, Francesco Negri l'eretico e la sua tragedia "Il libero arbitrio", in Giorn. stor. della lett. ital., LXVII (1916), pp. 314-318; A. Cavalli, F. F. e gli eretici faentini del sec. XVI, in La Piê, II (1921), 3-4, pp. 39 s., 54 ss.; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1922, p. 152; F. Lanzoni, La Controriforma nella città e diocesi di Faenza, Faenza 1925, pp. 89-101 (rielaborazione di notizie e articoli pubblicati nel Bollettino diocesano nel 1916-1921); P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, I, 2, Roma 1931, pp. 142 ss.; II, 2, ibid. 1951, p. 240; A. Casadei, F. F. da Faenza, in Nuova Riv. stor., XVIII (1934), 2-3, pp. 3-34 (con importanti documenti d'archivio); F. C. Church, I riformatori italiani, Firenze 1935, pp. 283 s.; D. Cantimori, Prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, Bari 1960, pp. 41, 52.