ANZIO, Fanciulla di
Celebre statua ellenistica. È una delle statue più singolari dell'antichità; rinvenuta nel 1878 ad A., presso l'Arco Muto, fra le rovine della Villa di Nerone, e conservata attualmente al Museo Naz. Romano, era posta su un piedistallo e situata in una nicchia. (Una nicchia simmetrica accoglieva un'altra statua, di cui però non è rimasta traccia). Formata di due blocchi di marmo - uno più fine per la testa, la parte nuda della spalla destra, il petto e la parte superiore del braccio destro - la statua (alta m 1,70) riproduce una giovinetta volta sulla sinistra che avanza vestita di chitone ed ampio himàtion; con la mano sinistra regge un piatto rituale, sul quale sono una benda di lana arrotolata, un ramo di alloro piegato ed una piccola zampa anteriore di leone, che probabilmente doveva appartenere alla base di un tripode. Si tratta di tutti elementi votivi, onde la comune identificazione della fanciulla con una sacerdotessa o, comunque, con un personaggio connesso con qualche cerimonia di culto. La singolarità dell'atteggiamento, la libertà inventiva, la raffinatezza stessa dell'esecuzione hanno reso difficile e discordante l'interpretazione della figura. Così alcuni vi hanno visto un originale greco, altri una copia romana di altissima qualità (Curtius), qualcuno ancora è stato indotto dalle forme ancora acerbe della fanciulla a vedervi un giovane uomo in vesti femminili, come avveniva in alcune cerimonie religiose primitive. Il Curtius, riferendosi ad una pittura pompeiana, pensa che la statua facesse parte in origine di un gruppo con Ifigenia. Stilisticamente la Fanciulla di A., per il vivido colorismo ed i ritmi incrociati della struttura, viene collocata dai più nella seconda metà del III sec. a. C., opera probabilmente della cerchia dei figli di Prassitele, che fusero le esperienze paterne con i portati delle nuove conquiste lisippee. Fra le numerose attribuzioni proposte, oltre quelle prive di consistenza a Leochares e a Prassitele, vi è quella a Phanis (v.) allievo di Lisippo, autore, secondo Plinio (Nat. hist., xxxiv, 80) di una "donna che sacrifica" (ἐπιϑυούσα) che però è ricordata come in bronzo. Esiste una replica, in piccolissimo formato, rinvenuta a Roma, in cui la figura ha gli attributi di Igea; se ne conserva solo il torso.
Bibl: Helbig, II2, n. 1352; W. Amelung, in Brunn-Bruckmann, Denkmäler, nn. 583-584; L. Curtius, Interpretationen von sechs griech. Bildwerken, Berna 1947, pp. 106-121; M. Bieber, The Sculpt. of Hellenist. Age, New York 1955, p. 40 (ivi bibl. precedente).