Famiglia
(XIV, p. 764; App. II, i, p. 900; IV, i, p. 757; V, ii, p. 183)
I cambiamenti della famiglia: cause e modalità
Alla fine del 20° sec., la f. appare come una realtà sociale in pieno mutamento, essendo divenuta uno dei luoghi di maggiore innovazione (modernizzazione e postmodernizzazione) socio-culturale. Tale mutamento ha investito la f. sia come soggetto attivo sia come soggetto passivo, o relais, di innovazioni prodotte altrove. Si assiste a una forte pluralizzazione delle forme familiari. Parallelamente cresce la difficoltà di rappresentare e definire la f. dal punto di vista dell'ordinamento sociale e giuridico, in particolar modo quando si debba intervenire su di essa per regolarla o sostenerla nelle sue vicende.
Tuttavia, ciò non significa che la f. attraversi una 'crisi' sempre più radicale o che non sia più possibile definirla secondo contorni precisi. Al contrario, proprio attraverso le vicissitudini cui va incontro, la f. entra in una fase storica di ulteriori e - per certi aspetti - più profonde riflessioni su ciò che essa è, nel senso che, mentre cambia, vengono anche nuovamente precisati i criteri che la definiscono come realtà sui generis, basata su distinzioni e connotazioni singolari, che si esplicitano nel corso della storia umana.
Le cause del mutamento sono, ovviamente, assai complesse, e hanno a che fare sia con l'ambiente esterno sia con l'ambiente interno della f. stessa. Fattori esterni e interni si condizionano a vicenda. In grande sintesi, si ha che: i cambiamenti del sistema economico relegano ai margini della società dapprima le f. agricole o rurali e poi anche le f. legate al sistema industriale, mentre fanno emergere le f. legate ai settori dei servizi, delle nuove tecnologie e delle comunicazioni; si generalizza uno stile di vita metropolitano e da ultimo 'globalizzato'; si diffonde la scolarità di massa e prolungata, che porta fuori della f. molti compiti educativi; esplode il mercato dei mass media, che introduce nelle f. modelli di vita che si sottraggono alle tradizioni e alle culture locali; si impone la necessità di rivedere in senso paritario la divisione familiare del lavoro e i processi decisionali fra i coniugi, necessità derivante anche dall'esigenza sempre più diffusa che la donna lavori fuori casa; perde di valore la trasmissione intergenerazionale a lungo termine di beni materiali e immateriali (dinastie familiari); cresce il costo sociale complessivo dei figli e, quindi, aumentano le difficoltà di avere una prole numerosa, e così via.
Generalizzando, possiamo dire che la f. cambia per due grandi ordini di motivi epocali, o comunque di lungo periodo: a) per l'affermarsi di un processo culturale di 'individualizzazione degli individui', ossia di crescente importanza attribuita alla soggettività delle persone, nel quadro di un generale accrescimento di importanza dei diritti di cittadinanza (civili, politici, sociali, umani) individuali (questo processo tende a ridurre i diritti della f. in quanto entità sovrapersonale, dotata di una propria oggettività esterna ai singoli individui); b) per il prevalere, sempre come portato proprio della modernità, di un processo sistemico che si sviluppa allentando e riorganizzando continuamente i legami sociali; questo processo comporta una continua decostruzione e ricostruzione dei legami familiari in funzione di obiettivi specifici.
Nel complesso, ciò significa che l'ordine sociale non fa più riferimento al microcosmo della f. come alla cellula base, in qualche modo 'data per scontata', della società, come accadeva in precedenza: lo prova il fatto che, nelle società occidentali modernizzate, lo Stato e l'ordinamento giuridico rendono per certi aspetti più debole la tutela dell'unità dell'istituzione familiare come interesse precipuo della comunità politica. Ma sarebbe errato dedurne che, in seguito a tutto ciò, la f. non sia più un organismo fondamentale della vita sociale, o che lo Stato e l'ordinamento giuridico la abbandonino a se stessa. È vero esattamente il contrario. Proprio i mutamenti che si verificano nella f. mostrano che la qualità della vita familiare diventa ancor più decisiva di un tempo agli effetti del benessere e della felicità sia degli individui sia delle collettività. E lo Stato, piuttosto che lasciare la f. a se stessa, interviene sempre più potentemente a regolarne gli aspetti anche più minuti, distinguendo fra i comportamenti strettamente privati (e come tali dotati di crescenti gradi di libertà) e quelli aventi rilevanti conseguenze pubbliche (e come tali fatti oggetto di crescenti responsabilità). Anziché parlare di crisi irreversibile, o addirittura di scomparsa della f., si deve viceversa parlare di un processo di estrema differenziazione sociale cui essa va incontro. Tale processo comporta una frammentazione delle strutture familiari, una soggettivizzazione delle aspettative e dei comportamenti familiari e al tempo stesso una ridefinizione, estremamente articolata, dei ruoli familiari, vale a dire del complesso dei diritti-doveri, privati e pubblici, che sono legati allo status delle persone in quanto 'familiari' di altre persone.
Nonostante i grandi rivolgimenti delle forme familiari, i criteri di definizione della f. rimangono peculiari rispetto a quelli utilizzati per identificare altre forme sociali primarie. Essi hanno a che fare con il fatto che, in continuità con il passato, ma diversamente dal passato la f. permane come il luogo in cui vige il divieto di invertire i ruoli sessuali (maschile e femminile) e generazionali (fra generanti e generati), incluso il divieto di incesto, anche se sessi e generazioni non sono più segregati, bensì fortemente interattivi fra loro; f. è e diventa quella specifica relazione sociale cui sempre più è affidato il compito - non surrogabile da altre relazioni sociali - di personalizzare la persona, attraverso specifici processi di socializzazione che sono essenziali per la maturazione del bambino, ma anche dell'adulto, se e nella misura in cui 'fare famiglia' significa orientare la comunicazione alla totalità della persona secondo una norma di reciprocità solidale. La caratteristica distintiva della f. contemporanea diventa quella di essere 'relazionale' in un duplice senso. Innanzitutto, perché viene a consistere sempre meno di 'cose' (beni patrimoniali) e sempre più di relazioni umane (É. Durkheim). In un senso ancor più radicale, la f. diventa relazionale perché il processo di evoluzione sociale porta la società postmoderna a esaltare il senso autonomo, intrinseco, delle relazioni familiari come relazioni distinte da tutti gli altri tipi di relazioni sociali, benché nello stesso tempo sempre più intrecciate a esse.
Non si può dire, però, che questi cambiamenti, come talora (seguendo Durkheim) si è affermato, corrispondano a una crescente 'nuclearizzazione' della famiglia. Infatti, da un lato la f. nucleare (composta solo di genitori e relativi figli) si frammenta, e dall'altro si osserva l'emergere di forme postnucleari che configurano la f. come una complessa trama di relazioni di parentela-affinità. La f., come poi si dirà, assume una forte connotazione 'reticolare'. È possibile sintetizzare tutto questo affermando che la f. contemporanea subisce un processo di profonda morfogenesi sociale, che avviene attraverso la ridefinizione dei suoi due assi portanti, e cioè la relazione di gender (come ricerca di maggiore simmetria fra il genere maschile e quello femminile, v. genere, in questa Appendice) e la relazione di generazionalità (come costruzione di nuovi rapporti di parentela, biologica e/o legale). Non si dovrebbe, comunque, mai dimenticare che, poiché la morfogenesi è complementare alla morfostasi (che consiste nella semplice riproduzione delle forme familiari precedenti), empiricamente si riscontra un mixage fra i due processi.
Strutture e relazioni familiari in una società complessa: chiarimenti terminologici e tipologie
Il processo di differenziazione delle forme familiari porta con sé l'esigenza di una nuova terminologia adatta a cogliere il fenomeno. Ciò che prima era indicato con un solo termine (in ragione della prevalenza culturale, anche se non statistica, di un certo modello) deve essere ora indicato con termini diversificati. In linea di massima, comunque, va osservato che resta più conveniente partire dal concetto generale di 'famiglia', per poi distinguere i vari tipi di 'famiglie', anziché fare il contrario. Infatti, se si parte dalla mera constatazione di una pluralità di 'situazioni domestiche' (cioè dei modi più disparati di convivere), diventa poi impossibile giungere a un concetto sociologicamente adeguato di famiglia. Non bisogna mai confondere la mera coabitazione con quella specifica relazione che viene chiamata, in senso proprio e non analogico o indifferenziato, famiglia, la quale esiste se e soltanto se vi è una coppia stabile legata da un consenso, con o senza figli.
Le f. possono essere classificate in vari modi, non sempre coincidenti fra loro. La scelta di un modo piuttosto che un altro ha conseguenze assai rilevanti, che non sempre sono rese esplicite, sia sulle misurazioni statistiche sia sulle possibili interpretazioni del fenomeno. Le varie modalità di costruire nomenclature (e connesse classificazioni) dipendono innanzitutto dall'approccio disciplinare prescelto, che può essere storico, demografico, giuridico, psicologico, economico, sociologico e così via. All'interno di questi approcci esistono poi vari metodi, di cui sono qui indicati i più rilevanti.
a) Nell'analisi storica, punto di riferimento essenziale è diventato il lavoro svolto dal Cambridge Group for the History of Population and Social Structure, guidato da P. Laslett (Family forms in historic Europe, 1983). Va chiarito che questa classificazione si riferisce all'aggregato domestico (in ingl. household, in franc. ménage, in ted. Haushalt), che include la f. (in ingl. family, in franc. famille, in ted. Familie) ma che non coincide con essa, in quanto si riferisce a coloro che dormono abitualmente sotto lo stesso tetto (criterio residenziale); condividono un certo numero di attività (criterio funzionale); hanno un legame di parentela, basato sulla consanguineità o sull'affinità derivante dal vincolo legale del matrimonio (criterio parentale). La nomenclatura classificatoria è la seguente. Gli aggregati domestici vengono distinti in cinque tipi: nucleare o semplice, senza struttura, solitario, esteso e multiplo. Quelli nucleari (o semplici) corrispondono alle f. formate da una sola unità coniugale, sia questa completa (marito, moglie, con o senza figli) oppure incompleta (madre vedova con figli oppure padre vedovo con figli). Senza struttura è definito l'aggregato domestico privo di una unità coniugale, cioè formato da persone con altri rapporti di parentela (per es., sorelle non sposate che abitano insieme) o semplicemente amici e conoscenti. Solitari sono detti gli aggregati costituiti da un'unica persona (con o senza servitori o domestici). Estese vengono chiamate le f. con una sola unità coniugale e uno o più parenti conviventi. A seconda del rapporto di questo o di questi ultimi con il capofamiglia, si parla di estensione verticale (per es., padre del capofamiglia) od orizzontale (per es., il fratello). Multiple sono le f. con due o più unità coniugali. Anche qui, a seconda del legame esistente fra queste unità, si parla di f. multiple verticali (per es., marito, moglie, figlio e moglie di quest'ultimo) od orizzontali (per es., due o più fratelli che vivono con le rispettive mogli e gli eventuali figli). Si parla infine, per brevità, di f. complesse quando si considerano insieme le f. estese e quelle multiple, per distinzione da quelle con un solo nucleo (dette semplici). In buona sostanza, la definizione storica di Laslett è riconducibile a una descrizione di regolarità empiriche riscontrate nel materiale documentario, che corrispondono ai tre criteri sopra riportati (residenziale, funzionale, parentale). La classificazione ha una sua indubbia utilità nell'analisi strutturale, ma va osservato che questa nomenclatura non permette di affermare nulla sulle diversità culturali con cui, nel tempo e nello spazio, vengono vissute e valutate le strutture e le relazioni familiari. Per es., se si segue la classificazione di Laslett, si può dimostrare che la struttura degli aggregati domestici a Firenze nel 1991 non era molto diversa da quella che esisteva nel 1427, cosa che è evidentemente una 'assurdità' sociologica, considerate le enormi differenze di significato che la f. ha avuto nei secc. 15° e 20°, anche se ci si riferisce alla stessa città.
b) L'analisi demografica denomina e classifica la f. secondo modalità proprie, che si basano su particolari criteri statistici, fra i quali assumono particolare importanza le nozioni di 'famiglia anagrafica' (certificata all'ufficio anagrafe dei Comuni) e quella 'di censimento' (cioè, come definita nei censimenti ufficiali della popolazione). Occorre anche qui fare molta attenzione a come i dati statistici vengono rilevati ed elaborati. Particolarmente in Italia, si è avuto un cambiamento nella definizione di f. in entrambe le accezioni sopra menzionate. Fino al censimento del 1981, le f. (dette, appunto, di censimento) erano classificate in base a tre caratteri distintivi: la relazione di parentela o affinità o affettività che unisce tra loro più persone; la coabitazione, cioè la convivenza di tutti i membri nello stesso alloggio e la conseguente condizione della loro dimora abituale nello stesso Comune; l'unicità di bilancio almeno per la parte delle entrate e delle spese destinate al soddisfacimento dei bisogni primari della f., quali l'alimentazione e i servizi dell'abitazione. Le f. erano distinte dalle 'convivenze', termine che si riferiva alle collettività di persone aventi vita in comune per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena, di istruzione o anche di lavoro (per es., il personale degli alberghi o l'equipaggio di navi mercantili). La tipologia delle f. di censimento era così configurata: f. di tipo A (unipersonali), di tipo B (coppia senza figli), di tipo C (coppia con figli), di tipo D (coppia, con figli o meno, e altri parenti, oppure aggregati di più f. dei tipi precedenti), ciascuna di esse con o senza eventuali membri aggregati (domestici ecc., comunque non parenti). Il censimento della popolazione del 1991 ha modificato la definizione di f. eliminando il terzo elemento (unicità di bilancio corrispondente alla messa in comune del reddito da parte dei componenti della f.) al fine di cogliere meglio le situazioni cosiddette di fatto. Con ciò, il censimento ha fatto proprio il criterio puramente empirico precedentemente adottato nell'Indagine multiscopo sulle famiglie e nel Rapporto sulla situazione del Paese, entrambi dell'ISTAT (rispettivamente 1993-94 e 1998), e che già era stato accolto nella ridefinizione della f. anagrafica (con il nuovo regolamento sull'anagrafe introdotto con il d.p.r. 30 maggio 1989 nr. 223).
Nonostante che le definizioni anagrafica e censitaria della f. cerchino di aderire il più possibile ai rapporti esistenti di fatto, persistono tuttavia significative discrepanze fra le dichiarazioni 'ufficiali' (anagrafiche) e le situazioni reali. In particolare, si è rilevato che le f. ufficialmente dichiarate all'anagrafe hanno un numero medio di componenti più ristretto di quanti effettivamente vivono nella stessa famiglia. La spiegazione di questa difformità sta nel fatto che nei casi, come quello italiano, in cui lo Stato penalizza la f., è più conveniente per i suoi membri risultare divisi in più unità di abitazione. Così, molte f. esistono solo sulla carta, per ragioni di convenienza amministrativa o fiscale, mentre le f. reali hanno una composizione che non è ufficialmente nota.
La distribuzione empirica delle strutture familiari in Italia più aderente alla reale vita quotidiana è probabilmente quella offerta dall'Indagine multiscopo dell'ISTAT. Quest'ultima ha adottato una terminologia particolare (cui va posta attenzione, dal momento che potrebbe essere interpretata in maniera fuorviante). Innanzitutto, si è assunto il termine 'nucleo familiare' (diverso da f. nucleare) per designare l'aggregato domestico i cui componenti sono legati dal vincolo di coppia (anche senza matrimonio) e/o dal vincolo di filiazione (genitore-figlio). Sulla base di questo criterio, le f. sono state classificate in famiglie senza nuclei (pari al 22,2% sul totale delle f. in Italia nel 1996), famiglie con un nucleo (pari al 76,7%), famiglie con due o più nuclei (pari all'1,1%). Le tendenze attuali indicano che è in atto un processo di semplificazione delle strutture familiari, che consiste in un aumento del numero delle f. e nella contemporanea diminuzione del numero medio dei componenti (passato rapidamente da 2,9 nel 1988 a 2,7 nel 1996). Tra le grandi aree territoriali, la dimensione familiare minima si registra nel Nord-Ovest (2,4 componenti), quella massima nel Mezzogiorno (2,9 componenti, nel 1996). Crescono le f. formate da persone sole (che sono passate dal 19,3% del totale nel 1988 al 20,4% nel 1996), calano quelle composte da un solo nucleo (dal 78,0% al 76,7%), mentre restano a livello minimo e sostanzialmente stabile le f. formate da due o più nuclei. Tra le f. composte da un solo nucleo tendono a crescere le coppie senza figli (dal 17,8% al 19,8%) e le f. con un solo genitore (dal 6,9% al 7,6%), mentre diminuiscono le tradizionali (e comunque ancora oggi dominanti) coppie con figli (dal 49,4% al 45,2%). Nel 1996 il 69,6% delle f. non superava i tre componenti, il 21,4% era composto da quattro persone e l'8,7% era formato da cinque o più componenti. Responsabile di gran parte dei cambiamenti in atto è il forte calo del tasso di natalità (sceso nel 1996 a 9,2 nati vivi per 1000 abitanti, contro un tasso di mortalità pari a 9,5 morti per 1000 abitanti). A cavallo del 1990, in Italia, le coppie con figlio unico hanno superato per diffusione le f. con due figli. Mentre nei paesi centroeuropei si lotta per mantenere la f. con due figli, in Italia si lotta per mantenere la fecondità al di sopra di un figlio per coppia. Non fa meraviglia, quindi, che emerga un processo di rapido invecchiamento della popolazione, che comporta, fra le altre cose, un deciso aumento di f. composte da persone anziane sole (in maggioranza vedove).
Si parla di 'nuove famiglie' con riferimento alla crescita di quattro tipi di situazioni (dati ISTAT 1997): i single (pari al 21,3%, che di fatto, in Italia, sono in gran parte donne anziane vedove); le coppie non coniugate (che sono poco diffuse, essendo circa il 2,2% sul totale delle f.); le f. formate da un genitore solo con figli (pari al 7,5%); le f. ricostituite (cioè formate dopo la rottura di un'unione precedente, a seguito di divorzio o vedovanza, che sono pari a circa il 4,3% del totale; la loro quantità è ovviamente proporzionale al tasso di divorzialità in un paese: è massima negli Stati Uniti e minima in paesi come l'Italia). Sommate, tutte queste forme diverse dalla f. nucleare stabile ammontano a circa il 17,7% del totale (al 1997). Una cifra certamente significativa, ma tale da far sì che non si possa parlare di una vera e propria fine del modello normo-costituito di f. (cioè la coppia regolarmente sposata con figli), che resta prevalente sia come legittimazione culturale sia come struttura empiricamente più diffusa. Che questo sia il caso, è confermato da altri indicatori. In primo luogo, dal fatto che la nascita di un figlio coincide quasi sempre in Italia con l'adesione della coppia all'accordo matrimoniale (il numero dei figli naturali in Italia è fra i più bassi in Europa e in Occidente; nel 1997 era di 8,9% sul totale dei nati vivi, dati ISTAT). In secondo luogo, la persistenza della f. normo-costituita è dimostrata dal basso numero delle convivenze prematrimoniali, situazione che riguarda il 13,8% circa delle unioni, e che si realizza in media per periodi brevi, inferiori a un anno (ISTAT, dati provvisori dell'Indagine multiscopo sulle famiglie 1998).
È importante sottolineare che la classificazione adottata nell'indagine multiscopo dell'ISTAT presenta seri limiti, in quanto lascia in ombra quegli aspetti e valenze delle strutture familiari che si riferiscono alle reti di relazioni tra familiari e parenti o affini. Di fatto, le reti familiari sfuggono ancora all'analisi demografica.
c) Il diritto fornisce un altro modo di descrivere e individuare la famiglia. In questo caso, la definizione di f. fa riferimento alle norme (costituzionali, legislative, giurisprudenziali, amministrative ecc.), rilevanti sia nel campo del diritto privato sia in quello del diritto pubblico, sia ancora nel campo delle politiche di welfare. L'art. 29 della Costituzione italiana riconosce i diritti della f. come "società naturale fondata sul matrimonio", tutelando al tempo stesso le persone che ne fanno parte in quanto singoli individui (come viene specificato nei successivi artt. 30 e 31). La l. 19 maggio 1975 nr. 151 (detta nuovo diritto di famiglia) ha inteso portare a compimento il dettato costituzionale e un'incessante legislazione successiva continua in questo intento (particolarmente rilevante la l. 4 maggio 1983 nr. 184 sull'adozione e l'affidamento familiare, cui sono seguiti altri provvedimenti). Ulteriori elementi di valutazione si trovano nella giurisprudenza (in particolare della Suprema corte di cassazione e della Corte costituzionale), nella legislazione sociale che riguarda i settori della protezione sociale (previdenza e sicurezza sociale, sanità, assistenza), nella legislazione fiscale, nelle normative tariffarie, e via via anche nella nuova produzione normativa a livello decentrato (leggi regionali e regolamentazioni comunali). Tutti questi provvedimenti, più o meno intenzionalmente, modificano in continuazione i criteri in base ai quali viene definita la f. quale insieme di relazioni specifiche cui sono attribuiti precisi complessi di diritti-doveri, in particolare benefici, trattamenti, provvidenze, o, viceversa, particolari obbligazioni, dal punto di vista delle politiche sociali. Impossibile dire, in un contesto di questo genere, come la f. venga modificata, se non ex post e sempre in riferimento a un contesto ben delimitato.
L'espresso riferimento contenuto nell'art. 29 della Costituzione al riconoscimento da parte dello Stato dei diritti della f. fondata sul matrimonio ha necessariamente posto all'attenzione degli interpreti il problema della rilevanza giuridica della famiglia di fatto, formazione sociale fondata sulla convivenza fuori dal matrimonio che di fatto riproduce le caratteristiche della f. legittima. Superando l'orientamento più restrittivo fondato sulla rigorosa difesa dell'istituto del matrimonio, parte della dottrina ha sostenuto che la preminenza attribuita dal legislatore costituzionale alla f. fondata sul matrimonio non esclude il riconoscimento da parte dell'ordinamento di una f. naturale alla cui esistenza sono ricollegati determinati effetti. Sotto tale profilo è stato anche richiamato il principio dettato dall'art. 2 della Costituzione secondo cui la Repubblica è tenuta a garantire i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e si è osservato che nella f. di fatto - qualora la stessa assuma le forme di un nucleo stabile, di una convivenza seria e funzionalmente analoga a una f. legale - può individuarsi una formazione sociale entro la quale gli individui possono sviluppare importanti esperienze di scambio affettivo e di maturazione della personalità, a cui non può non essere riconosciuto un livello minimo di tutela giuridica. Peraltro, in mancanza di una organica disciplina dell'istituto, l'individuazione nel sistema normativo degli indici di tale rilevanza non appare agevole in quanto l'attribuzione di rilievo giuridico a situazioni di convivenza a carattere familiare appare in massima parte riconducibile all'esigenza di tutela di interessi specifici distinti rispetto a quelli del nucleo familiare. In particolare è stata sottolineata la rilevanza della norma dell'art. 317 bis c.c., introdotta con la riforma del 1975, secondo la quale se il figlio naturale è stato riconosciuto da entrambi i genitori l'esercizio della potestà spetta congiuntamente a entrambi qualora siano conviventi, ma non può non tenersi conto del fatto che il fine primario di tale disposizione è costituito dalla tutela degli interessi del minore. Per quanto invece concerne la questione dell'applicabilità ai conviventi di norme in tema di locazioni abitative, la Corte costituzionale con la sentenza 7 apr. 1988 nr. 307, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, 1° co., della legge sull'equo canone (l. 27 luglio 1978 nr. 392) nella parte in cui non prevedeva tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio; ma nella motivazione della sentenza non si rinviene alcun espresso riferimento alla f. di fatto. Nel processo penale è invece significativa la norma dell'art. 199 c.p.p. del 1988 nella parte in cui riconosce la facoltà di astensione dal deporre - prevista per i prossimi congiunti - al soggetto che, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso (ma la facoltà è limitata ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale). Merita inoltre di essere segnalato l'orientamento dominante della giurisprudenza penale che ritiene applicabile la disposizione dell'art. 572 c.p. in tema di maltrattamenti in famiglia anche nel caso che la condotta sia posta in essere nei confronti del convivente, intendendo per f. ogni consorzio di persone tra le quali, per relazioni sentimentali o consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di convivenza. In sostanza appare indubbio che, per quanto riguarda in particolare la tutela patrimoniale del convivente, il quadro normativo è del tutto carente, né tale carenza può trovare integrale giustificazione nella natura spontanea della f. di fatto, caratterizzata da un'implicita decisione di non accettare la disciplina prevista per la f. fondata sul matrimonio. Deve d'altra parte riconoscersi che, se un'organica disciplina non si rinviene neppure negli ordinamenti stranieri, tuttavia in alcuni di essi esistono disposizioni che prendono in considerazione la f. di fatto da un punto di vista patrimoniale (per es., in Germania i soggetti che vivono in una situazione comunitaria analoga a quella di una f. legale non possono ricevere, per quanto riguarda sia i presupposti sia la misura dei sussidi di carattere sociale, un trattamento più favorevole rispetto alla f. legale) o successorio (in Gran Bretagna è riconosciuto al convivente qualche limitato diritto successorio sull'eredità del compagno defunto). In Francia, infine, il fenomeno delle 'coppie di fatto' etero e omosessuali interessa 5 milioni di persone, le cui unioni sono legalizzate dal Pacs (Pacte civil de solidarité), approvato dall'Assemblea nazionale il 13 ottobre 1999, da depositare in tribunale. In Italia, il riconoscimento delle coppie omosessuali costituisce oggetto di riflessione da parte del Governo e di molte amministrazioni locali.
d) Diversamente dagli approcci precedenti, l'analisi sociologica utilizza per la definizione della f. proprie metodologie e quadri concettuali di indagine empirica, sia qualitativa sia quantitativa, in vista della massima aderenza alla realtà, intesa come concreto mondo di vita quotidiana. Una ricognizione del vasto panorama delle metodologie e dei quadri concettuali utilizzati dalla ricerca sociologica (Di Nicola 1993; Donati 1998; Saraceno 1988, 1996²) rende evidente che, per definire la f., l'indagine sociologica segue tre vie: può riflettere un sistema di osservazione posto dall'osservatore; può definire la f. a partire dalla rappresentazione che ne hanno gli individui intervistati; oppure può mescolare fra loro questi criteri, cercando una sintesi fra parametri soggettivi (pragmatici, legati ai vissuti, alle percezioni, alle immagini) e parametri oggettivi (legati al carattere di istituzione sociale che la f. comunque ha).
L'approccio sociologico distingue comunque nettamente la f. biologica (formata da persone che hanno fra loro relazioni di sangue), quella legale (creata da vincoli giuridici, che possono o meno innestarsi su vincoli di sangue, inclusi i vari tipi di riconoscimenti e limitazioni per quanto concerne le cosiddette f. artificiali, nelle quali i figli sono procreati con l'ausilio di tecniche biomediche), e quella sociale (che si costituisce sulla base di mediazioni culturali nelle quali si fondono motivazioni psicologiche e rappresentazioni simboliche). L'analisi sociologica mette soprattutto l'accento sulla distinzione tra la f. come relazione interpersonale e la f. come istituzione sociale.
La famiglia come gruppo e come istituzione sociale
La realtà familiare si dispiega fra due modi (o dimensioni o momenti) di essere: quello di gruppo e quello istituzionale. È la particolare oscillazione dialettica, negoziazione, conversazione fra questi due poli o livelli di esistenza che consente di comprendere meglio l'originalità e l'originarietà della famiglia.
La f. intesa come gruppo sociale è il gruppo domestico visto, per così dire, a partire dal mondo vitale, ossia quale si dà nelle relazioni interpersonali e nelle strutture dell'intersoggettività della vita quotidiana, che si instaurano in ragione dell'attrazione sessuale fra due persone e in ragione della prole che potrebbe nascere dal loro incontro. Questa realtà è fatta di vissuti interiori, di sentimenti, di desideri e immaginazioni, la cui rappresentazione dipende dalla cultura, dal linguaggio e dai gesti e comportamenti che li comunicano. Può sembrare che, a questo livello, tutto sia biologico e psicologico, ma non è affatto così: la mediazione sociale e culturale è sempre presente, perché tutto ciò che viene all'esistenza deve essere espresso in modo che l'altro possa intenderlo, e questo fatto implica socialità e simbolismo. È comunque in questa dimensione che la f. si rivela come communitas, cioè come sfera spontanea di contatto con la natura interna della persona umana e della società, in cui risiedono quegli aspetti non meramente funzionali all'ordine sociale stabilito che possono essere chiamati caratteri sovrafunzionali della f. come gruppo sociale.
La f. intesa come istituzione sociale è il gruppo domestico visto nell'ottica dell'integrazione sistemica della società, cioè quale viene definito dagli apparati dello Stato (istituzioni politiche, ossia poteri legislativo ed esecutivo e organi integrativi da quest'ultimo regolati, come pubblica amministrazione, giustizia ecc.), dalla comunità locale, dalle Chiese, dalla scuola, dai servizi sociali e sanitari, dal mercato del lavoro, dal sistema dei mass media e così via. Corrisponde, in breve, alle aspettative che le singole istituzioni della società pongono sulla f., e che i membri di quest'ultima interiorizzano (di più o di meno, in un modo o nell'altro) come sistema di status-ruoli familiari.
Ciascuna delle istituzioni sociali si attende che un certo gruppo di persone - se è f. e non un gruppo casuale o un semplice aggregato estemporaneo - si comporti stabilmente, nelle relazioni interne ed esterne, in un certo modo, e quel modo definisce il gruppo come f. in senso pubblico, cioè come istituzione. Il sistema politico-amministrativo si attende che i partner di una coppia (anche nei loro rapporti con eventuali figli) vivano certi vincoli e obbligazioni reciproche, in mancanza dei quali essi saranno trattati come individui privi di certe obbligazioni e di corrispondenti benefici reciproci. La scuola si riferisce ai genitori come soggetti aventi precise responsabilità verso i figli che frequentano la scuola come alunni. Le Chiese, o gruppi religiosi, riconoscono che c'è f. se i membri osservano certi valori e norme religiose, il cui adempimento è necessario per appartenervi. Il mercato economico tiene in conto la f. nella misura in cui si attende che gli individui agiscano come lavoratori e/o consumatori in un certo modo (e non in altri) per il fatto di avere certe relazioni (diritti e doveri) di reciprocità con i familiari con cui vivono quotidianamente. E così via. In sintesi, la comunità (politica, religiosa, sociale, economica) si attende dalle persone certi comportamenti (e non altri) per il fatto che esse hanno relazioni molto intime e strette fra loro: se non fosse così, quella non sarebbe una f., ma un gruppo sociale di altro genere (primario o secondario), a cui verrebbero pertanto attribuiti altri diritti-doveri, aspettative, regole del gioco, e quindi altre ricompense e/o sanzioni. Ovviamente, le aspettative sono dinamiche e possono cambiare nel tempo, rendendo libero ciò che prima era vincolante, o viceversa.
Bisogna sempre avere presente la differenza fra istituzione e gruppo familiare. L'istituzione è la rappresentazione che la cultura dominante forgia attraverso lunghi e complessi processi strutturali e movimenti collettivi. Tale immagine viene introiettata da individui, classi e strati sociali in modi diversi, più intensamente nelle posizioni dominanti e centrali, meno intensamente (fino a una totale estraneità) nei gruppi sociali subalterni e marginali. Il gruppo sociale è invece la realtà effettiva della vita quotidiana, che sovente rimane nascosta anche agli stessi attori sociali, specie nei significati degli attaccamenti simbolici e affettivi che sottende ed esprime. Qui si forgiano i reali rapporti fra i coniugi, fra genitori e figli, tra parenti, in mondi subculturali stratificati che sovente, specie negli strati socialmente meno integrati e meno favoriti, non sono affatto conformi a quanto viene atteso e ipotizzato dalle altre istituzioni, politiche, amministrative, culturali, religiose, economiche e così via. Se la famiglia-istituzione si presenta come organizzazione di status-ruoli definiti da precise aspettative normative reciproche, la famiglia-gruppo è l'insieme dei vissuti, immagini simboliche, sentimenti che tendono alla spontaneità e al dono, senza calcolo delle differenze e delle divisioni, senza riguardo a chi detiene il potere o a chi spetta in linea di principio un compito o l'altro, perché qui l'essenziale è lo scambio simbolico che si realizza fra i membri della convivenza, considerati come persone e non come ruoli.
La vita familiare si dispiega entro queste due polarità. Lo fa fin dall'inizio, quando si costituisce la coppia informale, nella quale è prevalente la dimensione di gruppo, che si esprime soprattutto attraverso l'affetto, l'attrazione, il desiderio di contatto e di convivenza fra i partner, i quali si orientano verso mete e regole comuni, alla ricerca di un possibile equilibrio compatibile con le finalità di ciascuno. Sempre più, il passaggio al matrimonio avviene quando si è formata una stabilità di aspettative reciproche e si è in grado di stringere un patto consensuale che impegna i nubendi. Questo patto, per sua natura, non può mai essere solo privato, ma deve avere un riconoscimento esterno, per varie ragioni. In primo luogo perché i partner provengono a loro volta, normalmente, da altre f., le quali pongono (sempre come istituzione esterna, quella della parentela), le loro aspettative, più o meno realistiche e più o meno legittime e vincolanti, ma pur sempre reali. In secondo luogo perché tutto il mondo intorno (i conoscenti, i vicini, le istituzioni della società) deve sapere come comportarsi verso queste persone, nel senso di considerarle libere da vincoli reciproci oppure no. Per corteggiare una donna (o un uomo) si deve sapere se è libera/o oppure se è già impegnata/o, quanto meno per le forme sociali in cui esprimere l'approccio, e poi per le strategie e i progetti che si possono fare. Questo tenere in conto le relazioni familiari, sia come vincoli sia come risorse, nell'agire sociale, pubblico, non-privato, è la f. come istituzione.
Molte teorie hanno enfatizzato il venir meno della dimensione istituzionale della famiglia. Si è sostenuto che per il sistema politico-amministrativo, per il mercato, per i mass media, per le istituzioni pubbliche in generale non sia più (o sia sempre meno) rilevante il fatto se si faccia f. o meno, e in quale tipo di f. si viva. Sono così emerse le teorie della 'morte della famiglia' (D. Cooper). In realtà, le cose non stanno così. L'errore implicito in queste teorie è quello di non vedere che gli aspetti di gruppo al pari di quelli istituzionali sono inscindibili, come i due lati di una stessa medaglia, e che fra di essi si dispiega una continua ridefinizione di ciò che significa essere e fare famiglia. Un polo non può mai essere annullato perché questo significherebbe la fine della relazione familiare, e insieme la fine di quei riferimenti simbolici e di quei legami che fanno vivere non solo la f., ma lo stesso tessuto sociale. Le teorie che preconizzano la fine dalla f., o la possibilità di abolirla, da Platone in poi radicalizzano la possibilità che la f. si riduca a mero gruppo intersoggettivo, annullando le sue valenze istituzionali. In realtà, i processi di deistituzionalizzazione della f., per quanto profondi, ora sono limitati a certi segmenti della società. Nel complesso della società, e per periodi storici abbastanza lunghi, c'è sempre un continuo processo di de/reistituzionalizzazione della famiglia.
La f. rimane 'un fatto sociale totale' (C. Lévi-Strauss), ossia continua a coinvolgere tutti i livelli di esistenza (biologico, psicologico, sociale, economico, giuridico, simbolico ultimo), anche quando gli individui si individualizzano sempre di più. E rimane una relazione di piena reciprocità fra i sessi e fra le generazioni, anche quando uno di questi aspetti può essere messo in discussione o entrare in crisi. Ritroviamo, in altri termini, il fatto che la famiglia-gruppo non è separata né separabile mai totalmente, se non in situazioni eccezionali, dalla famiglia-istituzione. Quando sembra che un polo venga meno è vero piuttosto che si sta producendo una morfogenesi, nella quale, e attraverso la quale, la relazione viene rinegoziata in certe sue dimensioni oppure nella sua interezza. Non bisognerebbe mai dimenticare che la f. non consiste di entità materiali, ma è essenzialmente una relazione, con i suoi contenuti e le sue forme. Nonostante tutto, la f. resta e sempre più diviene, il paradigma della reciprocità come dono reciproco e realizzazione di sé nell'incontro vitale con l'altro.
Essenziale, pertanto, è chiarire che la realtà familiare è originaria (cioè nasce ultimativamente da motivazioni e impulsi propri, non solo per pressioni dovute a fattori esterni alla relazione come tale) e originale (cioè si dispiega secondo una propria logica o codice simbolico, quello dell'amore, diverso a seconda dei contesti e dei periodi storici). Benché l'ambiente in cui la f. esiste la influenzi potentemente, la ragione primordiale della sua esistenza non può essere derivata da altro da sé, come molti hanno tentato e ancora pensano di fare.
Bisogna evitare tre errori: quello di dedurre l'istituzione dal gruppo (come se la f. potesse esistere solo a livello di gruppo); quello, viceversa, di dedurre il gruppo dall'istituzione (come se la f. potesse essere interamente definita dalle sue caratteristiche istituzionali, dettate dall'ordine sociale o giuridico); e infine l'errore, oggi più corrente, di fondere (e confondere) le dimensioni di gruppo e quelle istituzionali. Le conseguenze in termini di osservazioni sociologiche sono immediate ed evidenti. La 'famiglia di fatto' (costituita da una coppia senza matrimonio, con o senza eventuali figli) non è priva di attese istituzionali (nel duplice senso di attendersi qualche riconoscimento dalle istituzioni e, viceversa, di dover adempiere a certi obblighi pubblici). Così come - d'altra parte - la definizione giuridica di f. (qualunque essa sia) non corrisponde mai perfettamente alla realtà dell'effettiva vita familiare quotidiana. Sociologicamente, non esiste qualcosa come una 'relazione familiare pura' che corrisponda punto per punto a quella istituzionale. In tutto ciò, la f. dimostra di essere una realtà autopoietica, cioè che si genera e si rigenera da sé, in base alla propria distinzione direttrice, per quanto le modalità possano mutare in rapporto ai cambiamenti dell'ambiente. Ciò che rende familiare (in senso stretto) una relazione, anziché non-familiare, è il fatto che essa persegua la realizzazione di una piena reciprocità fra i sessi e fra le generazioni (anziché altri valori o norme).
Ciclo di vita familiare, instabilità coniugale e nuove dinamiche familiari
Per comprendere la continua morfogenesi della f., tipica del nostro tempo, è utile vederla nell'ottica del ciclo di vita familiare e dei suoi cambiamenti. Con la locuzione ciclo di vita familiare si intende la successione di fasi, delimitate da alcuni eventi tipici, i quali introducono, nel corso della vita del soggetto famiglia, significative trasformazioni strutturali, organizzative, relazionali, psicologiche (Scabini 1995; Blangiardo 1997). Il processo di cambiamento del ciclo di vita della f. italiana può essere così sintetizzato.
a) Processo di formazione della famiglia. La coppia si forma ora attraverso processi decisionali (di scelta e negoziazione) più lunghi di un tempo. I tassi di matrimonio diminuiscono, sia perché il matrimonio viene dilazionato nel tempo, sia perché cambiano le aspettative a suo riguardo, verso una minore differenziazione fra i due sessi e accentuando le attese di elevata intersoggettività. Si nota una crescente difficoltà dei giovani a lasciare la f. di origine (è il cosiddetto fenomeno della 'famiglia lunga' del giovane adulto, che tocca in Italia i livelli più elevati nel mondo occidentale), dovuta sia alla carenza di opportunità materiali (lavoro, casa), sia a un mutamento di aspettative verso il matrimonio: infatti, sempre più si suppone di iniziare a fare f. avendo già una condizione materiale di benessere e stabilità, anziché vedere nella f. uno strumento attraverso cui arrivare a quella condizione. Si suppone che i due sessi abbiano diritti e doveri paritari, e sotto molti aspetti simmetrici, cosa che rende più complicata, difficile e lunga la contrattazione dei ruoli. L'isolamento della coppia dalla parentela più estesa si accentua, e parallelamente cresce il carattere 'marsupiale' della f. di origine, che mantiene - specie nelle classi più elevate - una forte incidenza sulle strategie e sui percorsi matrimoniali dei figli.
b) Processo di sviluppo e persistenza della famiglia. Una volta che i partner abbiano deciso un impegno reciproco di coppia stabile, inizia l'avventura dell'esistenza quotidiana, alla quale i giovani sono sempre meno preparati, sia per il venir meno della trasmissione culturale da parte dei genitori, sia per le oggettive e rapide modificazioni del contesto extrafamiliare. In media, il desiderio di figli persiste e si nota anzi che le aspirazioni ad avere figli sono superiori al numero dei figli che poi la coppia riesce effettivamente ad avere (in media, la coppia aspira a un figlio in più, che però non procrea a causa della percezione di rischi eccessivi e di costi troppo elevati imposti dalla società). La nascita del primo figlio è l'evento cruciale che porta il più delle volte a stabilizzare la coppia, oppure, in un numero assai più basso di casi, a farla esplodere. Si nota anche che, nella società tardo-moderna, la f. tende a diventare matri-focale, ossia ancor più centrata sul ruolo della madre (Quinto rapporto CISF sulla famiglia in Italia, 1997).
c) Processo di rottura, estinzione ed eventuale ricostituzione della famiglia. Sempre meno la f. muore di morte naturale, mentre crescono le rotture-estinzioni a seguito di separazioni e divorzi. In Italia, le separazioni sono aumentate da 35.163 nel 1985 a 60.281 (+4,8% al 1996) nel 1997, e parallelamente i divorzi da 15.650 a 33.342 nel 1997 (+1,9% rispetto al 1996). Bisogna tuttavia osservare che, in Italia, i tassi di separazione e divorzio restano assai più bassi che nel resto dell'Europa e soprattutto rispetto al Nordamerica. Anche in Italia, comunque, come avviene in quasi tutto l'Occidente, la rottura dell'unione tende a concentrarsi nei primi anni di convivenza. Benché in Italia, diversamente da altri paesi, la separazione sia un passaggio obbligato per arrivare al divorzio, solo poco più del 50% delle separazioni si tramuta in divorzi. Si nota inoltre che le rotture della f., anche quando vi sia conflitto, tendono a essere sempre più gestite attraverso qualche forma di aggiustamento consensuale e con l'ausilio di varie figure di consulenza (psicologica, legale, sociale); in caso di separazione-divorzio i figli minori vengono affidati soprattutto alla madre (nel 1997 per il 91,0% dei casi), molto meno al padre (5,5%), e in maniera insignificante a entrambi (2,5%) oppure ad altri. Di recente, è cresciuta la sensibilità (e i concreti servizi, detti di mediazione familiare) per mantenere la relazione fra genitori e figli anche quando sia venuta meno la relazione coniugale. I divorziati tendono solo in minima parte a risposarsi. Si risposano un po' di più gli uomini delle donne (nel 1995, si sono risposati, il 3,7% delle donne e il 4,7% degli uomini divorziati). Chi si separa tende in maggioranza a fare unione libera, oppure sceglie altre soluzioni. Le donne tendono a non fare f. quanto più crescono in età. Ciò evidenzia il fatto che la coppia è in genere un evento improbabile dato dall'incontro fra due percorsi di vita, quello maschile e quello femminile, non esattamente paralleli. Infatti, l'interesse dell'uomo per la f. è minimo in giovane età e cresce nel tempo, mentre il contrario accade nella donna, il cui interesse per la f. raggiunge la massima intensità quando è giovane, ma poi tende a diminuire (sempre in termini relativi).
In generale, per quanto riguarda l'Italia, le tendenze statistiche mostrano che cresce la difficoltà dei giovani a formare una f. e aumenta la fragilità della coppia sia a causa delle carenze nella trasmissione del valore della f. alle giovani generazioni, sia a causa di una legislazione e di politiche sociali complessivamente penalizzanti nei confronti di chi si sposa e ha figli; cresce l'instabilità coniugale, anche se la maggior parte delle coppie sposate resta stabile; la f., presa nel vortice di una società più caotica, tende a chiudersi ulteriormente in se stessa, con un forte aggravio della condizione della donna, la quale, sia quando è in coppia sia a maggior ragione quando è madre sola, deve sobbarcarsi la maggior parte dei problemi di vita quotidiana.
Le tendenze statistiche non hanno un segno univoco, ma richiedono interpretazione. In certi casi, ciò che potrebbe sembrare disaffezione alla f. sta invece a significare aspettative più elevate nei suoi confronti, o la richiesta di un diverso modo di relazionarsi agli altri, al partner, ai figli, ai parenti stretti. In generale, è comunque possibile dire che la fenomenologia sopra richiamata indica non già un decrescente, ma viceversa un crescente attaccamento alla f., e per certi versi anche un fenomeno di 'idealizzazione' della famiglia. Da essa i giovani si attendono molto di più che in passato, benché in termini decisamente (per non dire essenzialmente) espressivi e simbolici, anziché materiali. Ciò conferma che la f. è vista, più di un tempo, secondo la propria natura relazionale, anziché come strumento di ascesa sociale o di realizzazione di mete strumentali. Ma qui è anche la debolezza tipica della f. odierna: da un lato, c'è il fatto che attese affettive ed emozionali così elevate non trovano riscontro nelle capacità umane del partner; dall'altro, il fatto che gli elementi materiali e strumentali connessi alle esigenze della vita quotidiana vengono sottovalutati.
Le tendenze appena esposte sono rafforzate, anziché contrastate, da un ordine sociale e culturale che, essendo normativamente basato sul massimo allargamento delle contingenze (l'ideologia della libera scelta), non richiede più l'adesione a un certo modello (o comunque modelli predefiniti) di comportamento familiare, ma anzi introduce continuamente 'disordine' nella famiglia. L'assetto istituzionale del welfare state sviluppato nella seconda metà del Novecento ha via via fatto a meno di precisi riferimenti alla f. come tale, quando non l'ha scoraggiata apertamente. Ci si è allora chiesti come mai gli individui facciano ancora f., quando tutto naviga contro di essa. Se una ragione c'è, questa giace nella natura autopoietica di questa relazione sociale. È a partire da questa che si debbono osservare i nuovi intrecci familiari. Molti alberi genealogici si spezzano (a causa delle rotture coniugali) e altri muoiono (a causa della bassa o nulla fecondità). Ma, là dove troviamo coppie stabili e feconde, le f. vengono oggi a caratterizzarsi per la coesistenza di un numero di generazioni maggiore di un tempo. Genitori e figli vivono mediamente assai più a lungo assieme. Si diffondono le f. di tre e anche quattro generazioni, mentre fanno la loro comparsa le f. di cinque generazioni, fenomeni del tutto inediti nel corso della storia (Rapporto CISF sulla famiglia in Italia, 1995). Ciò comporta l'invenzione di nuovi sistemi di scambio fra le generazioni.
Di nuovo troviamo che la f. non è più un'entità fissa nel tempo, ma piuttosto un sistema di relazioni che deve continuamente essere rigenerato, rilegittimato, riprodotto, rinegoziato. Se è difficile individuare le linee di tendenza dei mutamenti in atto nella f., è certo tuttavia che essa non è destinata a scomparire. Alcuni tipi di f. muoiono e altri tipi sono generati ex novo. Per di più, i flussi migratori (particolarmente significativi là dove, come in Italia, compensano una forte depressione demografica locale) portano con sé modelli culturali che si credevano scomparsi, creando così un'inedita società multietnica.
Prospettive sul futuro
Per comprendere i mutamenti dell'istituto familiare non è appropriato ragionare per modelli né con schemi evoluzionistici puramente pragmatici. La realtà è che, proprio in quanto relazione sociale sui generis senza cui non c'è società, la f. accentua il suo carattere di mediazione, che può essere sintetizzato in una triplice e interconnessa dimensionalità: fra la natura e la cultura, fra l'individuo e la società, fra la dimensione privata e quella pubblica.
La f. accentua il suo ruolo di momento o sfera relazionale attraverso cui la natura interna dell'uomo si trasforma in agire culturale. Solo nella sociabilità della coppia e della relazione genitore-figlio gli elementi biologici e psichici, innanzitutto le pulsioni, ricevono una loro specifica civilizzazione. La sociabilità, ovviamente, non significa solo incontro, solidarietà, reciprocità, ma anche l'opposto (distanza, conflitto, rinegoziazione), senza cui la f. non potrebbe superare le sfide. La mediazione che la f. esercita nei confronti dell'individuo si accresce. In particolare, il bambino è sempre più, e non sempre meno, dipendente dalla famiglia. Anche là dove i processi di socializzazione scolastica e i servizi di welfare esterni alla f. aumentano per numero, quantità e importanza funzionale, la f. accresce il suo ruolo di mediazione fra l'interno e l'esterno della casa, fra il momento socializzativo interno alla f. e il momento socializzativo esterno, dato che il bambino non è mai preso in carico totalmente, nella sua totale umanità, dalle agenzie esterne alla famiglia. E questo complica la vita familiare, se non altro perché i genitori devono mediare per il bambino un mondo sociale più complesso di un tempo. L'idea che la f. perda di funzioni sociali è stata, in effetti, una delle più grandi illusioni del Novecento. Più in generale, nella f. si intersecano sempre più le dimensioni private e quelle pubbliche dell'esistenza individuale. Per certi versi, la f. si privatizza, legittimata in questo processo anche dall'ordinamento giuridico (si pensi alla depenalizzazione del reato di adulterio). Ma, per tanti altri versi, la f. viene pubblicizzata, perché viene regolamentata in dimensioni precedentemente lasciate alla sfera privata (si pensi all'adozione, all'affidamento dei figli, ai rapporti sessuali di coppia, ai benefici che possono essere attesi e riconosciuti in base all'esistenza, e perfino alla qualità, di certe relazioni familiari ecc.). Nasce un nuovo intreccio fra le dimensioni dell'intimità (il complesso delle relazioni spontanee e informali) e le rilevanze che la f. ha per la sfera pubblica (complesso dei diritti-doveri di cittadinanza).
Per comprendere ciò che la f. diventa, al di là delle forme più o meno alienate (perché piegate a esigenze 'non familiari') che può avere assunto in passato, bisogna saper leggere le modalità con cui diventa discriminante agli effetti della qualità umana/non-umana delle relazioni sociali che forgiano la nostra esistenza quotidiana. Per dare un significato alle tendenze oggi in atto, occorre adottare un'ottica che vede la f. come realtà latente del sociale, ossia come modalità di vita che sgorga da un'esigenza profonda degli esseri umani quando si mettono in relazione gli uni con gli altri attraverso quella specifica relazione che lega fra loro il gender e la generatività. Si tratta di un'esigenza non contingente o transitoria, né tantomeno storicamente superabile, perché, per gli esseri umani, il mondo sociale diventa accessibile solo in quanto essi possono concepirlo come familiare. Questa esigenza profonda implica che la f. si ridifferenzi continuamente da ciò che essa stessa produce, la società. A sua volta, la società si differenzia sempre più dalla famiglia. La f. è sempre più distante dalla società, ma anche sempre più inclusa in essa e determinante per essa. La società si articola in tanti sottosistemi, istituzioni, sfere di vita, che possono portare fuori della f. certe funzioni o certe dimensioni di vita. Tutti questi ambiti però non possono mai rimpiazzare la f., e di fatto mantengono con essa relazioni significative, dalle quali dipende la vitalità degli uni e dell'altra.
I fenomeni di crisi della f., e tutti i suoi cambiamenti, lungi dal manifestare che la società possa fare a meno della f., dimostrano invece che la f. resta un fatto primordiale, filogenetico e ontogenetico, senza cui non c'è civilizzazione; che la f. si differenzia dal resto della società in quanto relazione di piena reciprocità fra i sessi e fra le generazioni, che non ha altro luogo in cui realizzarsi come tale, e nessun sostituto funzionale (di fatto e normativamente la f. rimane il luogo multigenerazionale privilegiato della società); infine, che le funzioni della f. possono aumentare o diminuire in singoli aspetti o dimensioni, ma complessivamente la realtà familiare resta sovrafunzionale, nel senso che essa costituisce una risorsa e un vincolo che non può essere limitato o circoscritto a un numero predefinito e ristretto di funzioni; anzi, proprio mentre certe funzioni vengono lasciate, altre vengono acquisite o apprese o create, cosicché il trade off tra f. e società esterna si accresce.
Ciò anche, e forse soprattutto, a causa dell'esplosione, e della relativa accettazione sociale, del concetto di 'famiglia', che sta assumendo connotazioni non tradizionali, in base alle quali costituiscono 'famiglia' anche configurazioni non rientranti nel tradizionale contesto definito principalmente in base a differenziazione sessuale e riconoscimento religioso e/o civile dell'unione-matrimonio.
La f. si restringe o si allarga, pertanto, ma non come accadeva in passato (secondo lignaggi e forme di trasmissione patrimoniale o in base a eredità di 'cose'), bensì secondo una reticolarità fatta di relazioni umane, in reti diverse dal passato, che combinano in modi nuovi caratteri di Gemeinschaft (comunità per consensualità incondizionata, di carattere empatico) e di Gesellschaft (associatività fra individui, a base contrattuale). La f. si differenzia sia al proprio interno sia verso l'esterno. Questo avviene di più o di meno a seconda dei contesti e gruppi sociali, in base alle loro disponibilità di risorse e alle modalità di utilizzarle, nonché ai loro vincoli e alla capacità di modificarli. L'essenziale è non pensare più la f. per modelli prefissati, ma vederla come una realtà simbolica che promette l'umanizzazione della persona e la sua socializzazione in un certo contesto sociale, ed esige per questo dai suoi membri un impegno corrispondente.
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