FAMIGLIA.
– Nuove famiglie. Instabilità coniugale e nuove famiglie. Famiglie con un solo genitore. Famiglie ricomposte (o ricostituite). Single non vedovi. Famiglie di fatto. Famiglie di fatto eterosessuali. Famiglie di fatto omosessuali. Bibliografia
Nuove famiglie. – Nel periodo qui considerato (dall’inizio del 21° sec. agli anni più recenti per i quali sono disponibili i dati, 2012-13) sono continuate e si sono ulteriormente intensificate le trasformazioni dei comportamenti familiari.
Nei Paesi occidentali, compresa l’Italia, è proseguito il declino del matrimonio come istituzione sociale, come unico modello socialmente, culturalmente e giuridicamente accettato di formazione della f., mentre al suo posto si è andata sempre più affermando una concezione pluralistica di f., coerentemente con la crescita della complessità sociale. Si è verificata una separazione crescente tra sessualità, procreazione e matrimonio: l’attività sessuale è risultata sempre più precoce, i matrimoni sono diminuiti e avvengono sempre più tardi, la fecondità è declinata, ma una quota sempre maggiore di bambini nasce fuori del matrimonio. A livello di Unione Europea, nel 2011, le nascite fuori del matrimonio costituivano il 39,3% (erano il 27,3% nel 2000). In alcuni Paesi sono ormai la maggioranza delle nascite (nell’ordine, nel 2012: Islanda, Estonia, Slovenia, Bulgaria, Francia, Svezia, Belgio e Danimarca; Eurostat 2014). Sono aumentate le unioni di fatto ed è cresciuta l’instabilità coniugale, che provoca il moltiplicarsi di forme familiari diverse da quelle tradizionali (f. con un solo genitore, ricomposte, single). Anche l’Italia, sia pure in misura minore di altri Paesi dell’area occidentale e con significative differenze territoriali (più al Centro-Nord che al Sud), è coinvolta in questi cambiamenti.
Nell’Europa occidentale la f. tradizionale, composta dalla coppia sposata con figli, fino a un recente passato il modello dominante di f. sia sul piano socioculturale sia su quello demografico, è diventata minoritaria rispetto ad altre. Questo è avvenuto anche in Italia, dove le coppie coniugate sono calate dal 49,4% del totale delle f. nel 1988 a meno di un terzo nel 2012-13 (ISTAT, Rapporto annuale 2014. La situazione del Paese, 2014). Le cause della crisi del matrimonio vanno ricercate in fattori sia socioculturali sia economici: un ruolo importante va individuato nel processo di secolarizzazione della società, cioè nella perdita di influenza della religione nella vita pubblica, sociale e individuale, oltre che nella scolarizzazione di massa, nell’accesso crescente delle donne all’istruzione e al mercato del lavoro, in orientamenti culturali rivolti all’affermazione della soggettività individuale e del privato, a cui ha fatto da parziale contraltare, negli anni più recenti, l’emergere, con sempre maggior forza, della richiesta di riconoscimento sociale e giuridico delle coppie dello stesso sesso e di loro eventuali figli.
Fatta questa premessa generale, si prenderanno in considerazione le principali forme ‘nuove’ di f., che si sono diffuse o sono emerse nei Paesi avanzati nel corso del 21° sec., come effetto dei processi sociali sopra descritti, con specifica attenzione a quelle che hanno alla propria origine la rottura coniugale e/o la deistituzionalizzazione (o privatizzazione) dei rapporti affettivi di coppia.
Instabilità coniugale e nuove famiglie. – L’instabilità coniugale (separazioni e divorzi) è tra le principali cause della differenziazione delle forme familiari nelle società contemporanee avanzate e, in particolare, della differenziazione del corso di vita delle f. (Saraceno, Naldini 20133). F. coniugali possono, a seguito di separazione o divorzio, dare origine a f. con un solo genitore, o formate da una sola persona, o a f. ricostituite o ricomposte (in cui almeno uno dei partner proviene da un precedente matrimonio) attraverso un successivo matrimonio o una successiva convivenza, cui possono eventualmente seguire altre separazioni e ricomposizioni.
Negli ultimi trent’anni, in tutti i Paesi europei i tassi di divorzio sono rapidamente e drasticamente aumentati, al punto che, al termine del periodo, in alcuni di essi hanno raggiunto o addirittura superato il 50% dei matrimoni (nell’ordine: Francia, Lituania, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Belgio; Eurostat 2014).
In Italia i principali segnali di secolarizzazione e modernizzazione della vita familiare sono, da un lato, l’aumento dei matrimoni civili e, dall’altro, la crescita dell’instabilità coniugale. A livello nazionale, nel 2013, i matrimoni civili costituivano il 42,5% delle nozze, ma sono ormai la maggioranza nelle regioni del Nord (55%) e nel Centro (51%). Buona parte di essi riguarda coppie di divorziati alle seconde nozze, e quelli in cui uno o entrambi gli sposi sono di cittadinanza straniera. Crescono però anche i primi matrimoni civili di coppie italiane (dal 18,8% del 2008 al 27,3% del 2013: ISTAT, Il matrimonio in Italia, 2014).
L’instabilità coniugale è molto più ridotta rispetto ad altri Paesi occidentali, ma anch’essa in netta crescita: nel periodo tra il 1995 e il 2012 le separazioni sono quasi raddoppiate, passando da 158,3 a 310,6 per mille matrimoni e i divorzi sono più che raddoppiati (da 79,7 a 173,5 per mille matrimoni). Esistono sensibili differenze territoriali, con i valori più alti al Centro-Nord (ISTAT, Separazioni e divorzi in Italia, 2014). Recenti leggi hanno semplificato le procedure per ottenere la separazione e il divorzio (l. nr. 162 del 2014) e hanno ridotto sensibilmente il tempo che deve intercorrere tra l’una e l’altro (l. nr. 55 del 2015). La diffusione delle rotture coniugali ha provocato la moltiplicazione di forme di f. e di stili di vita con caratteristiche nuove e diverse rispetto al passato: tra queste, principalmente le f. con un solo genitore, le f. ricomposte, le persone che vivono sole.
Famiglie con un solo genitore. – Mentre nel passato era soprattutto la vedovanza all’origine di queste f., nella società contemporanea il loro aumento è dovuto principalmente alla crescita di separazioni e divorzi. Anche il numero delle madri nubili è elevato e tende ad aumentare, soprattutto in alcuni Paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Austria, Svezia e Norvegia).
In termini generali, le f. con un solo genitore donna, che costituiscono la grande maggioranza dei nuclei monogenitore, sono tra le più esposte al rischio di difficoltà economiche e di povertà. Numerose indagini internazionali mostrano che spesso la separazione o il divorzio segnano per le donne l’inizio di un processo di declassamento sociale e di impoverimento economico.
Anche in Italia queste f. sono sensibilmente cresciute negli ultimi anni (i minori che vivono con un solo genitore sono raddoppiati tra il 1998 e il 2011, passando dal 6% al 12%), soprattutto per l’aumento dell’instabilità coniugale. Tuttavia la legge nr. 54 del 2006 ha introdotto un’importante novità che, pur lasciando inalterata la struttura familiare, la modifica però profondamente sul piano relazionale: per salvaguardare il superiore interesse dei figli minori a mantenere continuativi e validi rapporti affettivi ed educativi con entrambi i genitori, essa stabilisce come regola generale l’affidamento condiviso, secondo cui l’esercizio della potestà genitoriale rimane a entrambi i genitori, come durante il matrimonio, indipendentemente dal collocamento residenziale del minore, che rimane per lo più presso la madre. La legge stabilisce quindi un vero e proprio diritto dei figli minori alla bigenitorialità.
Mentre prima dell’entrata in vigore della legge del 2006, nella grande maggioranza dei casi i figli minori venivano affidati in modo esclusivo alla madre (circa l’80%), successivamente l’affidamento condiviso è rapidamente cresciuto, fino a diventare nettamente dominante. Esso costituisce ormai la quasi totalità degli affidi (erano il 79% nel 2008 e sono saliti al 90% nel 2012: ISTAT, Separazioni e divorzi in Italia, 2014). È tuttavia oggetto di discussione tra gli esperti se l’affido condiviso sia in ogni caso la soluzione migliore per i minori e/o se alla situazione di diritto corrisponda sempre quella di fatto.
Famiglie ricomposte (o ricostituite). – Secondo la definizione dell’ISTAT, per f. ricostituita (o ricomposta, come si preferisce qui chiamarla) si intende una coppia convivente, sposata o non sposata, con o senza figli, in cui almeno uno dei partner proviene da un precedente matrimonio, interrotto per morte, separazione o divorzio. Come nel caso delle f. con un solo genitore, mentre nel passato era la vedovanza all’origine di queste f., nella società contemporanea è principalmente la rottura coniugale. A causa dell’aumento di separazioni e divorzi, anche queste f. sono molto cresciute nella maggior parte dei Paesi occidentali. È però in atto una tendenza alla diminuzione delle seconde nozze e all’aumento delle unioni di fatto, che attualmente in molti Paesi costituiscono la maggioranza di queste famiglie.
Anche in Italia le f. ricomposte sono cresciute con il crescere dell’instabilità coniugale, passando dal 4% di tutte le coppie nel 1994 al 6% nel 2011, con le consuete differenze territoriali. Anche nel nostro Paese si verifica la tendenza alla diminuzione dei secondi matrimoni e all’aumento delle seconde unioni di fatto (ISTAT, Indagine multiscopo sulle famiglie. Aspetti della vita quotidiana, 2014).
Quando uno o entrambi i partner della coppia hanno figli da un precedente matrimonio, cui eventualmente si aggiungono figli nati dall’attuale unione, struttura e relazioni familiari diventano più complesse, più fluide e, in alcuni casi, possono presentare aspetti problematici. In alcuni Paesi, tra cui l’Italia, il cosiddetto genitore acquisito o genitore sociale (convivente con il genitore biologico, che di solito è la madre, con la quale vivono i figli di prime nozze) non ha un ruolo ben definito, né sul piano affettivo, né sociale, né giuridico. Fluidità e incertezza dei confini familiari, rischio di elevata conflittualità, mancanza di norme che regolino i rapporti tra i figli di primo matrimonio e il genitore acquisito sembrano essere le principali cause dei problemi e della maggiore instabilità delle f. ricomposte. Quando un minore vive in una f. ricomposta, il suo superiore interesse, che va comunque sempre tutelato, può richiedere il riconoscimento del ruolo affettivo, educativo e sociale del genitore acquisito, pur senza escludere quello del genitore biologico non convivente. Se questa situazione favorevole si verifica, allora si può parlare di doppia genitorialità o plurigenitorialità, come fanno alcuni autorevoli studiosi.
Single non vedovi. – Vivere soli ha un significato diverso nelle varie fasi del corso di vita individuale e familiare e a seconda che si sia donne o uomini. A causa dell’invecchiamento e della crescente durata della vita, in tutti i Paesi la maggior parte di coloro che vivono soli è costituita da anziani e, data la maggiore longevità delle donne, soprattutto da donne anziane vedove. Tuttavia è in crescita il numero dei single giovani o nelle età centrali della vita. Tra questi ultimi sono numerosi coloro che escono da un’esperienza matrimoniale conclusasi con una separazione o un divorzio. Si tratta prevalentemente di uomini perché, se ci sono figli, di solito questi convivono con la madre, dando vita a una f. con un solo genitore.
Anche in Italia sono sensibilmente aumentati i single non vedovi (dal 5,7% al 17,7% delle f. tra il 1983 e il 2011, più di 4 milioni di persone nel 2012-13: ISTAT, Indagine multiscopo sulle famiglie. Aspetti della vita quotidiana, 2014). A differenza di quanto avviene in molti Paesi occidentali, in Italia più della metà dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora nella f. di origine, con una tendenza al prolungamento della permanenza, mentre sono pochi quelli che vivono soli, per ragioni sia economiche sia culturali. Si può quindi fondatamente ritenere che molti dei single non vedovi siano separati o divorziati.
Famiglie di fatto. – Occorre innanzitutto distinguere tra f. o unioni di fatto eterosessuali e omosessuali. Le differenze riguardano non solo la quantità e affidabilità delle informazioni (assai maggiori per le prime), ma anche il gra do di accettazione sociale di queste nuove forme di unione (molto più problematico per le seconde, anche se differenziato secondo i contesti).
Famiglie di fatto eterosessuali. – La diffusione delle f. di fatto eterosessuali, o convivenze non matrimoniali, è l’espressione più significativa di quei processi di deistituzionalizzazione o privatizzazione delle relazioni di coppia precedentemente indicati come caratteristici della società occidentale contemporanea. Esse sono apparse e si sono sviluppate tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso dapprima nei Paesi scandinavi, poi in altri Paesi occidentali, quali la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, gli Stati Uniti e, più recentemente, si sono diffuse, sia pure in misura minore, ma in rapido sviluppo, anche nei Paesi dell’Europa meridionale, compresa l’Italia. Nate prevalentemente come convivenze giovanili prematrimoniali, a esse si è aggiunto, con la diffusione del divorzio, anche un consistente numero di unioni di fatto in età più adulta, in parte come scelta obbligata in attesa dello scioglimento del matrimonio, ma ormai più spesso come scelta preferenziale, in alternativa alle nozze. Comunque sia, la loro diffusione è un segnale che il matrimonio sta perdendo la sua posizione privilegiata come forma di vita di coppia, anche se spesso poi i conviventi si sposano dopo qualche anno. In questi casi, il matrimonio si è trasformato da rito di ingresso nella vita adulta in rito di conferma della vita familiare, come testimonia ovunque il forte e rapido aumento delle nascite fuori del matrimonio.
Anche in Italia le unioni di fatto, pur presentando valori numerici più bassi rispetto ad altri Paesi dell’Europa occidentale, stanno crescendo rapidamente: mentre nel 1990 esse erano appena l’1,3% di tutte le coppie, nel 2011 la scelta di convivere senza matrimonio è stata compiuta dal 6,6% del totale, pari a più di un milione di coppie. La maggior parte di queste sono convivenze prematrimoniali, ma sta aumentando il numero di quelle di più lunga durata, in alternativa al matrimonio, in cui sono presenti anche figli. Ormai più di un bambino su quattro nasce da genitori non coniugati, e il loro numero è in crescita rapidissima: dal 2% di tutte le nascite nel 1970, al 10% nel 2000 al 26% nel 2013 (ISTAT, Natalità e fecondità della popolazione residente, 2014).
Le ricerche mostrano che la grande maggioranza degli italiani, sia giovani sia adulti, accetta ormai la convivenza eterosessuale come legittima e normale forma di vita a due, anche se non considerano superato il matrimonio. Rimangono tuttavia differenze giuridiche, poiché in Italia, diversamente da quasi tutti i Paesi avanzati, manca ancora una legge che disciplini diritti e doveri delle coppie di fatto (siano esse etero o omosessuali). Per quanto riguarda i figli, invece, un grande passo avanti è stato compiuto con la legge nr. 219 del 2012, che stabilisce la totale equiparazione tra i diritti dei figli nati dentro il matrimonio e quelli dei figli nati al di fuori, compreso il completo riconoscimento dei legami di parentela.
Famiglie di fatto omosessuali. – Su di esse le informazioni disponibili sono piuttosto scarse. Tuttavia importanti ricerche mostrano che gli omosessuali di oggi hanno molti punti in contatto con gli eterosessuali, tra cui la tendenza a instaurare relazioni stabili e durature, a vivere in coppia, a desiderare e ad avere dei figli, insomma a ‘fare famiglia’. Per questo, molti autorevoli studiosi estendono anche a tale tipo di unioni la definizione di famiglia. In generale, il grado di accettazione sociale nei loro confronti è molto cresciuto rispetto al passato, ma varia a seconda dei Paesi e degli ambienti culturali e sociali. Nella maggior parte dei Paesi occidentali vi è stato anche un riconoscimento giuridico, o sotto forma di unione registrata, che attribuisce ai partner diritti e doveri più o meno ampi, analoghi a quelli garantiti dal matrimonio (Austria, Germania, Svizzera, Ungheria), o di matrimonio vero e proprio, con gli stessi diritti e obblighi degli eterosessuali (Belgio, Francia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia). In un certo numero di Paesi è avvenuto il passaggio dall’unione registrata al matrimonio. Particolare è il caso di un Paese cattolico come l’Irlanda, che nel maggio 2015 con referendum popolare ha approvato il matrimonio omosessuale, dimostrando così il distacco crescente tra gerarchia ecclesiastica e popolo dei fedeli, pur non essendoci stata al riguardo una posizione ufficiale da parte dell’episcopato irlandese. Negli Stati Uniti, il 25 giugno 2015, la Corte suprema ha stabilito che nessuno Stato dell’Unione può vietare il matrimonio fra persone dello stesso sesso. La motivazione della sentenza argomenta che tale divieto sarebbe altamente discriminatorio in quanto violerebbe il diritto garantito dalla Costituzione a ciascun individuo di operare liberamente le proprie scelte ed esprimere la propria persona.
Al momento attuale, tra i Paesi occidentali, solo Italia e Grecia non hanno introdotto alcuna forma di riconoscimento legale. In Italia su questo tema è in corso da tempo un intenso dibattito culturale, politico e giuridico. Alcuni Comuni hanno recentemente provveduto all’iscrizione nei registri dello stato civile di matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso (con valore meramente dichiarativo e non costitutivo di diritti). Alcuni tribunali hanno ritenuto valida la trascrizione, altri no. La questione può essere risolta solo con l’intervento del legislatore.
Da alcuni anni, inoltre, anche le istituzioni dell’Unione Europea (Corte europea dei diritti umani, Parlamento europeo) si sono espresse a favore del riconoscimento delle unioni omosessuali, nell’ambito della lotta alla discriminazione in tutte le sue forme. La risoluzione del Parlamento di Strasburgo del 9 giugno 2015, nel quadro più ampio di una strategia per la parità di genere, raccomanda, «dal momento che la composizione e la definizione delle famiglie si evolve nel tempo», che le normative in ambito familiare e lavorativo siano rese più complete anche per quanto concerne «la genitorialità LGBT» (Lesbian Gay Bisex and Transgender). La risoluzione non è vincolante per gli Stati membri, ma è un ulteriore riconoscimento, sul piano culturale e politico, che anche le coppie omosessuali, con i loro figli, sono da considerarsi famiglie.
Nel nostro Paese, da parte dell’opinione pubblica l’accettazione sociale dell’omosessualità e delle unioni omosessuali è abbastanza ampia, ma con alcune riserve: la grande maggioranza degli italiani ritiene giusto che una coppia di omosessuali conviventi abbia gli stessi diritti di una coppia sposata, ma il consenso cala sensibilmente per quanto riguarda il matrimonio e l’adozione (ISTAT 2012).
Nei nuclei omosessuali possono esserci figli, o nati da una precedente unione eterosessuale (in Italia il caso più frequente) oppure adottati o nati da una coppia omosessuale (per es., con fecondazione assistita), nei Paesi in cui ciò è permesso ai single o alle coppie dello stesso sesso. Numerose ricerche, svolte tra gli anni Ottanta del 20° sec. e la prima decade del 21°, dimostrano che le coppie omosessuali possono essere buoni genitori come quelle eterosessuali e che il loro orientamento sessuale non influisce né su quello dei figli né sullo sviluppo e sul benessere psicologico e relazionale di questi ultimi (Prati, Pietrantoni 2008).
Bibliografia: G. Prati, L. Pietrantoni, Sviluppo e omogenitorialità: una rassegna di studi che hanno confrontato famiglie omosessuali ed eterosessuali, «Rivista sperimentale di freniatria», 2008, 132, 2, pp. 71-88; A.L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna 20083; C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna 20133; S. Salvini, D. Vignoli, Convivere o sposarsi?, Bologna 2014. Per le ricerche statistiche si vedano: ISTAT, Indagine multiscopo sulle famiglie. Aspetti della vita quotidiana, annuale dal 1993; ISTAT, La popolazione omosessuale nella società italiana (anno di riferimento 2011), 17 maggio 2012, http://www.istat.it/it/ archivio/62168; Eurostat, Marriage and divorce statistics, 2014, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/statistics_explained; ISTAT, Rapporto annuale 2014. La situazione del Paese (anno di riferimento 2013), 28 maggio 2014, http://www.istat.it/it/archivio/ 120991; ISTAT, Separazioni e divorzi in Italia (anno di riferimento 2012), 23 giugno 2014, http://www.istat.it/it/archivio/ 126552; ISTAT, Il matrimonio in Italia (anno di riferimento 2013), 12 novembre 2014, http://istat.it/it/archivio/138266; ISTAT, Natalità e fecondità della popolazione residente (anno di riferimento 2013), 27 novembre 2014, http://www.istat.it/it/archivio/140132.
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