ALIDOSI, famiglia
, Incerte le origini sue, annebbiate anziché chiarite dalle fantastiche costruzioni genealogiche del sec. XVIII. Suo capostipite par che sia da ritenere Alidosio de Malaparte, vissuto a mezzo il sec. XII.
Egli appare come testimonio in un atto del 9 marzo 1159, col quale il conte palatino Federico, per il Barbarossa, riceve in protezione la chiesa di san Cassiano e i beni del vescovo d'Imola. Con Alidosio figurano il conte Malvicino da Bagnacavallo, i podestà di Faenza e d'Imola e molti nobili personaggi italiani e tedeschi: segno dell'alta posizione sociale di lui. Qualche decennio dopo viene ricordata nel castello di S. Cassiano, presso Imola, una "domus Aliducis", che doveva essere cospicua, se il vescovo vi aveva convitato il capitolo dei canonici della cattedrale, per una di quelle refezioni alle quali l'Ordinario era obbligato annualmente. Nel 1209 i fratelli Alidosio e Lito (Malgarito), figli di altro Alidosio, sono da Ottone IV investiti di una terra posta ai piedi dell'Appennino, in Val di Santerno, detta Massa di S. Ambrogio. Era un possesso matildino, passato ai canonici imolesi e ora rivendicato dall'imperatore. Da allora la famiglia, entrata nei ranghi della nobiltà feudale, con mero e misto impero sopra le sue terre, è detta de Massa: nome al quale, nel sec. XIII, si aggiunge quello dell'antenato, passato in cognome. E la Massa Sancti Ambrosii diventa Massa Alidosiorum, poi Castel del Rio.
Per tutto il '200 gli Alidosi attesero a rafforzare e ad ampliare la loro giurisdizione feudale attorno a Massa e lungo il Santerno; divennero signori di Castiglioncello e Visignano, in territorio fiorentino, e del castello di Linaro, sulla sinistra del Santerno, in posizione amenissima e militarmente assai importante per il dominio d'Imola. Cresciuta di numero e di forza politica, la famiglia si diffuse ben presto a Bologna e a San Giovanni in Persiceto. Ma quelli del ramo principale fissarono la residenza in Imola, dove sostennero frequenti lotte con le altre famiglie nobili e potenti della città e del contado: fino a che, spalleggiati da Maghinardo da Sosinana, loro congiunto ("il lioncel dal nido bianco" dantesco), finirono col prevalere. E nel 1302 Imola è di fatto, se non di diritto, sotto la loro supremazia. Tocca a Lippo Alidosi, dopo qualche decennio, di diventare vero e proprio signore d'Imola. Nominato nel 1334, anno della redazione dei nuovi statuti comunali, capitano per cinque anni, egli conserva l'ufficio anche dopo scaduto il termine, fino a che papa Benedetto XII, pur a malincuore, s'induce a legalizzare lo stato di fatto, delegandogli la vicaria della città. Gli succede il figliolo Roberto, che aiuta l'Albornoz in tutte le sue imprese romagnole, particolarmente contro i seguaci dei Visconti, gli Ordelaffi e i Manfredi.
Dal matrimonio di Roberto con Melchina di Malatesta Malatesti da Rimini erano nati Lito (che fu vescovo d'Imola), Azzo, Beltrando, Alidosio, Lippo e Malatesta, e due femmine, Teresa e Violante. Venuto a morte il padre (29 novembre 1362), Azzo e Beltrando cominciarono a disputarsi la signoria, sì che il Legato li fece prigioni e li condusse a Bologna. Pacificatisi e ritornati in Imola, ebbero a sostenere l'urto di una rivolta popolare. Una commissione di cittadini, fra cui era Benvenuto da Imola, il commentatore di Dante, fu mandata ad Avignone presso papa Urbano. Ma Azzo corse anch'esso a perorare la causa sua e del fratello, e il papa li confermò entrambi nel vicariato. Morto nel 1372 Azzo, Beltrando fu confermato vicario da Gregorio XI (26 agosto 1373). Abile, operoso, curante del pubblico e privato interesse, egli diede salde radici alla sua signoria imolese; con opportune convenzioni e leghe, appoggiato soprattutto dai Fiorentini, poté anche ampliarla e ottenere da Urbano VI (1384) la facoltà di trasmetterla a' suoi figlioli. Di questi, Giovanna sposò in Gubbio (13 febbraio 1416) Bartolomeo Brancaleoni, signore di Castel Durante, e n'ebbe due figliole: Piera e Gentile, l'ultima delle quali sposò Federico di Guidantonio da Montefeltro, duca d'Urbino.
Ludovico e Lippo, minorenne, successero al padre. Morto il fratello nel 1396, Ludovico conservò la signoria, e la tenne con varia vicenda e con notevoli ampliamenti, per oltre 21 anni. S'imparentò con i Pio da Carpi e con gli Ordelaffi di Forlì; si mantenne fedelmente, come i suoi antenati, nella protezione di Firenze. Appassionato cultore di studî umanistici, fu in corrispondenza epistolare e poetica con Coluccio Salutati, Pier Paolo Vergerio il vecchio, Franco Sacchetti, Simone Serdini e altri letterati del suo tempo. Ma cadde vittima della preponderanza militare di Filippo Maria Visconti, i cui armigeri campeggiavano in Romagna agli ordini di Angelo Della Pergola e di Cecco da Montagnana. Questi (1-2 febbraio 1424) catturarono Ludovico e il figlioletto Beltrando; il Visconti relegò Ludovico nel castello di Monza, e Beltrando in quello di Trezzo, dove rimasero fino al 1426. Liberato, soprattutto per le istanze della sorella Giovanna, Ludovico stette presso i signori di Carpi, nella speranza che i Fiorentini potessero rimetterlo in signoria. Nel codice 547 della Chigiana si hanno di lui alcune rime; come pure si conoscono alcune sue lettere nelle quali dà alla sorella, durante e dopo la prigionia, suggerimenti varî circa il governo dei suoi stati. Ma i Fiorentini, dopo la battaglia di Maclodio, conclusero la pace col duca di Milano (18 aprile 1428), e non pensarono affatto all'Alidosi, il quale, vestito l'abito francescano, si recò a Roma, dove morì, pare, l'anno 1430.
Con Ludovico e Beltrando tramonta la signoria degli Alidosi, che, pur affermatasi fra le contese civili e il sangue, poté svolgersi con tranquillità e lasciò buone tracce di sé nella vita cittadina. Un altro ramo, staccatosi dal ceppo comune fin dal sec. XIV, mantenne per oltre due secoli ancora la propria signoria sui possessi aviti di Castel del Rio, estendendola, a varie riprese, sui territorî vicini di Osta, Gaggio, Fornione, Fontana Elice e Tossignano (sec. XVI). Data l'origine imperiale del loro antico possesso feudale, gli A., pur dividendosi i beni che lo costituivano (1369), lasciarono in comune l'esercizio delle prerogative feudali, esplicate per mezzo di procuratori speciali nominati a turno dalle parti interessate. Salvo una breve interruzione, durante la quale i loro vassalli si sottoposero spontaneamente a Firenze (1494), gli A. tennero la signoria di Castel del Rio fino al 1638, quando Urbano VIII ne tolse il possesso a Mariano di Rodrigo Alidosi, che, caduto in bassa fortuna, aveva tentato di vendere il feudo al duca Salviati di Firenze (1636). Venne da questo ramo, e precisamente da Giovanni, figlio di Ludovico, il cardinale Francesco (v.); l'ultima della famiglia fu Elena, sposa in prime nozze del conte Francesco Avogli ferrarese, e, in seconde, di Gregorio Tedeschi di Pistoia.
A Castel del Rio gli Alidosi ebbero dimora in un fortissimo castello di cui restano imponenti ruderi. Ma, caduto il vecchio maniero per il terremoto del 1542, costruirono, al piano, dove era l'antico Mercatale del loro feudo, un palazzo a pianta quadrangolare, con baluardi a losanga, che è una delle più caratteristiche costruzioni toscane di quel tempo. Singolare pure, per arditezza costruttiva, il ponte sul Santerno, presso Massa Santambrogio: un solo arco in cotto, di oltre 42 metri di corda (v. figure).
Stemma. - D'oro, con un'aquila spiegata di verde, accollata di una corona d'oro e caricata sul cuore di un giglio del medesimo. Ornamenti e motti diversi (v. fig.).
Parentele. - Pepoli di Bologna, Delle Caminate e Malatesta di Rimini, Della Tosa, Tornabuoni, Concini, Capponi di Firenze, Gonzaga e Torelli di Mantova, Ordelaffi e Misendi di Forlì, Brancaleoni, Pio da Carpi, Ubaldini, Castelbarco, Orsini, Tarlati, ecc.
Bibl.: F. Sansovino, Storia delle Case illustri d'Italia, 1609; D. Spreti, Storie di Ravenna, libro I; Ginanni, Memorie storiche dell'antica ed illustre famiglia Alidosia, Roma (fine del sec. XVIII); P. Litta, Le famiglie celebri d'Italia: Alidosi; G. Alberghetti, Storia d'Imola, Imola 1810, voll. 2; A. M. Manzoni, Episcoporum Corneliensium sive Imolensium historia, Faenza 1719; Mss. varî nell'Archivio di stato di Bologna e nella Biblioteca comunale d'Imola.