fame
Uno dei problemi più drammatici nel mondo
Oggi nel mondo nascono in media 240 esseri umani ogni minuto e ne muoiono 97. La popolazione mondiale, quindi, aumenta di circa 206 mila unità ogni giorno, pari a più di 75 milioni l’anno, cioè all’attuale popolazione complessiva di Italia, Portogallo e Danimarca. Questa forte crescita comporta scarsità di cibo nelle zone più povere e arretrate della Terra e ha conseguenze gravi sullo stato di salute di quelle popolazioni. Anche nel passato la scarsità o la mancanza di alimenti ha rappresentato un problema grave e ricorrente. Oggi, però, il livello delle tecniche di produzione in agricoltura permetterebbe, se lo si volesse, di eliminare la fame dal mondo
Secondo la definizione internazionale, la fame è la condizione in cui si trova una persona che non dispone di cibo sufficiente o che si nutre di alimenti non abbastanza ricchi di sostanze nutrienti (carboidrati, grassi, proteine, vitamine, minerali e acqua), indispensabili per crescere e per condurre una vita attiva e in buona salute. Complessivamente, queste sostanze dovrebbero fornire almeno 1.960 kcal al giorno. Quando si scende al di sotto di questa soglia, si parla dunque di fame.
Definita in questo modo, la fame si può presentare sotto diversi aspetti. Le statistiche su coloro che ne soffrono considerano quattro situazioni. La prima, ed è quella più grave, è la quasi totale mancanza di cibo che si verifica durante le carestie, causate da cattivi raccolti o dalle distruzioni prodotte dalle guerre. Quando ciò accade i prezzi dei pochi viveri a disposizione aumentano e le persone che non guadagnano abbastanza non riescono ad acquistarli.
Il secondo aspetto della fame, quello più diffuso, è la sottoalimentazione, ovvero la mancanza cronica o periodica delle calorie necessarie. Per quanto riguarda le persone adulte, sono considerate sottoalimentate quelle che consumano meno di 1.800 kcal giornaliere.
La terza situazione costituisce uno dei volti nascosti della fame ed è la cattiva qualità della dieta, rappresentata da insufficienza di ferro, iodio e vitamina A. Queste carenze indeboliscono il sistema immunitario, aumentando così il rischio di ammalarsi. Un altro aspetto nascosto della fame è rappresentato dal mancato assorbimento del cibo ingerito da parte dell’organismo. Questa situazione, che riguarda soprattutto i bambini, si verifica in presenza di un cattivo stato di salute.
La nutrizione ha un’importanza fondamentale nella storia umana. Nei secoli passati la disponibilità di alimenti è stata spesso insufficiente e ha condizionato in misura molto più forte di oggi la crescita della popolazione. Circa duecento anni fa, l’economista inglese Thomas Malthus sostenne la teoria secondo cui la popolazione umana ha la tendenza a crescere più rapidamente della produzione di viveri e che per ristabilire l’equilibrio intervengono inevitabilmente dei freni, rappresentati da epidemie, carestie e calamità. Questa teoria esprimeva la preoccupazione che le risorse alimentari potessero scarseggiare, perché proprio in quegli anni la popolazione europea aveva iniziato ad aumentare più rapidamente di prima. La teoria trovava, inoltre, fondamento nella storia demografica dei secoli precedenti. Nel passato, infatti, si erano alternati cicli di crescita della popolazione e cicli di diminuzione. Quando il numero di abitanti di una zona aumentava in modo eccessivo rispetto alla disponibilità di cibo, peggioravano le condizioni di vita, aumentava la mortalità e quindi diminuiva la popolazione. Questa nuova situazione comportava maggiori risorse per abitante e quindi la possibilità di crescere di nuovo fino al ciclo negativo successivo.
La sequenza di cicli di crescita e diminuzione della popolazione è stata più volte interrotta dall’aumento della produzione di alimenti, reso possibile dall’ampliamento delle terre coltivabili e dal miglioramento delle tecniche agricole. In questo modo le popolazioni del passato, pur se lentamente, hanno potuto aumentare di numero. Oltre alla quantità di cibo, nel corso dei secoli è migliorata anche la qualità della dieta, grazie a vere e proprie rivoluzioni alimentari. La più importante è quella che è avvenuta, in epoche remote diverse da civiltà a civiltà, con il passaggio dal sistema di caccia e di raccolta del cibo a un sistema di coltivazione dei campi (agricoltura). Per quanto riguarda l’Europa, gli studiosi ricordano altre due rivoluzioni.
La prima è iniziata a metà del Trecento, nel corso della terribile pestilenza che provocò così tanti morti da spopolare grandi aree del continente, ed è durata un centinaio di anni. Molti terreni prima coltivati a grano vennero utilizzati a pascolo per l’allevamento del bestiame. Questo comportò un aumento del consumo di carne e dunque un miglioramento della qualità dell’alimentazione. L’altra rivoluzione è quella iniziata nel 18° secolo, quando non solo aumentarono i terreni coltivabili e migliorarono le tecniche agricole, ma furono anche introdotte nuove coltivazioni, come il mais e la patata, che permisero di accrescere il numero di calorie consumate e di avere una dieta più variata.
Per il passato non si hanno notizie sulla quantità delle calorie a disposizione della popolazione e sulla composizione della dieta. Gli studiosi di nutrizione hanno valutato che un adulto avesse un fabbisogno calorico giornaliero di almeno 2.000 kcal, considerando che il suo peso e la sua statura erano inferiori ai valori di oggi e che la vita quotidiana di allora richiedeva un maggior dispendio di energie. Stime effettuate sulle condizioni di vita di popolazioni antiche mostrano che, anche nei periodi non perturbati da guerre, carestie o calamità naturali, la disponibilità di calorie era spesso al di sotto di questa soglia e che, di conseguenza, la sottoalimentazione era un fenomeno molto diffuso.
L’aspetto più diffuso della fame è la sottoalimentazione. Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) nel 2002 le persone sottoalimentate ammontavano a 852 milioni, cioè circa un abitante della Terra su sei aveva a disposizione meno di 1.800 kcal giornaliere. Sono stati fatti grandi progressi nell’arco di un solo trentennio (all’inizio degli anni Settanta l’insufficienza di cibo riguardava una persona su tre), ma molto resta ancora da fare per eliminare le disparità, visto che la Terra produce oggi abbastanza alimenti per sfamare tutti i suoi abitanti. I progressi ottenuti, però, hanno riguardato soprattutto India e Cina, cioè i due paesi più popolati che rappresentano insieme un terzo dell’umanità. Nel resto dei paesi meno sviluppati, invece, il numero delle persone sottoalimentate ha continuato a salire.
È proprio in questi paesi che vive la grande maggioranza di coloro che non possono alimentarsi a sufficienza. La tabella qui sotto mostra chiaramente le grandi differenze che esistono nel mondo in campo alimentare. Ben il 17% della popolazione dei paesi meno sviluppati è sottoalimentata, a fronte del solo 3% nell’area più sviluppata. La regione in cui la carenza di cibo è più grave è l’Africa subsahariana, dove un terzo degli abitanti soffre la fame. Se si esamina poi la situazione dei singoli paesi, emergono situazioni drammatiche, come in Eritrea e in Afghanistan, dove i sottoalimentati superano il 70% e la restante popolazione è vicina alla condizione di sottoalimentazione. La disponibilità media di calorie è infatti sotto la soglia critica di 1.800 kcal e non raggiunge neppure la metà di quella di coloro che vivono nei paesi sviluppati.
Le conseguenze più gravi di un’alimentazione inadeguata si hanno sui bambini. La sottoalimentazione produce danni sin dalla nascita: infatti le donne che non possono nutrirsi a sufficienza molto spesso mettono al mondo figli sottopeso (meno di 2,5 kg). In alcuni paesi, come l’India e il Bangladesh, questi neonati rappresentano ben il 30%. Nascere sottopeso comporta rischi di morte nei primi anni di vita quattro volte più elevati di quelli che ha un neonato di peso regolare e anche il rischio di avere uno sviluppo insufficiente. Se poi il bambino non è alimentato adeguatamente nei primi anni di vita, i danni possono essere gravi e talvolta irreversibili. La tabella a pagina seguente illustra questi danni nei paesi meno sviluppati. Il 27% dei bambini al disotto dei 5 anni ha un peso inferiore a quello medio della sua età. Questa percentuale sale a quasi il 50% nei paesi in cui le guerre hanno contribuito a ridurre la disponibilità di alimenti (Burundi, Yemen, Afghanistan e Cambogia). L’insufficienza di peso molto grave produce il deperimento. Questa situazione interessa il 10% dei bambini nell’area meno sviluppata del mondo e ben il 25% in Afghanistan. La sottoalimentazione cronica negli anni dell’infanzia causa, infine, danni irreversibili allo sviluppo, dei quali soffre ben un terzo dei bambini.
Anche nel 20° secolo ci sono state ‘rivoluzioni agricole’ che hanno permesso di aumentare in misura molto consistente la produzione di alimenti. Negli anni Settanta del Novecento fu realizzata, con grande successo, la rivoluzione verde. Questa rivoluzione è stata il frutto di un progetto internazionale che aveva l’obiettivo di ridurre al minimo la fame. Nel corso degli anni Sessanta era cresciuto il pericolo di possibili carestie in Asia, in particolare in India e Pakistan. Inoltre preoccupava la situazione di sottoalimentazione di molte altre aree della Terra, come l’America Latina e l’Africa subsahariana. Il progetto internazionale puntò sulla trasformazione delle tecniche agricole: furono introdotte furono usati fertilizzanti, pesticidi e moderni macchinari. Anche se produsse alcuni danni all’ambiente (soprattutto per l’uso dei pesticidi), la rivoluzione verde fece aumentare in modo significativo i raccolti in America Latina e soprattutto in India e in altri paesi asiatici, che si resero autosufficienti nella produzione di cibo. Non ebbe invece successo nell’Africa subsahariana, a causa della siccità dei terreni e della difficoltà che incontrarono molti agricoltori per ottenere fertilizzanti e pesticidi.
Questa esperienza, complessivamente positiva, ha insegnato che gli sforzi congiunti dei paesi ricchi possono contrastare la fame.
Eliminare completamente la fame non è un problema di facile soluzione. L’Organizzazione delle Nazioni Unite si è posta questo obiettivo sin dalla sua nascita. Nel 1945 è stata creata al suo interno l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, preposta a guidare gli sforzi internazionali per sconfiggere la fame. Tra i suoi compiti c’è quello di aiutare i paesi meno sviluppati a rendere più moderna l’agricoltura e di assicurare a tutti un’alimentazione sufficiente a condurre una vita in buona salute.
Nel corso degli ultimi decenni del 20° secolo sono nate numerose organizzazioni private, che raccolgono fondi e progettano interventi nelle zone dove c’è ancora scarsità di cibo. La lotta alla fame, infine, è un obiettivo perseguito anche da molte organizzazioni non governative (ONG), presenti in tutti i paesi sviluppati. I componenti di queste organizzazioni, che svolgono con grande impegno numerose attività umanitarie, si preoccupano anche di fornire aiuti alimentari alle popolazioni del mondo meno sviluppato.
Il problema della fame è oggi al centro dell’attenzione internazionale. Nel Vertice del millennio, che si è tenuto l’8 settembre del 2000 a New York, 189 capi di Stato e di governo, in rappresentanza di tutti i paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, hanno firmato la Dichiarazionebdel millennio, un patto tra paesi ricchi e paesi poveri che si impegnano a rispettare i diritti umani, a collaborare per ridurre le disuguaglianze, a mantenere la pace e a lottare contro la povertà.
Da questo documento politico sono stati tratti otto obiettivi (gli obiettivi di sviluppo del millennio) che costituiscono altrettanti traguardi da raggiungere entro il 2015. Il primo di questi obiettivi è quello di eliminare la povertà estrema e la fame nel mondo. Per raggiungerlo occorre dimezzare entro quella data la percentuale di persone che vivono con meno di 1 euro al giorno (nel 2000 più di un miliardo di individui) e la percentuale di persone che soffrono la fame. Il bilancio dei primi cinque anni è modesto: se si continuerà con l’attuale velocità di diminuzione della popolazione sottoalimentata, l’Africa subsahariana dimezzerà il numero di persone che soffrono la fame solo tra 150 anni e l’Asia tra un secolo. Gli esperti ritengono, tuttavia, che il traguardo potrà essere raggiunto se tutti i paesi collaboreranno.
Secondo le previsioni delle Nazioni Unite, nel 2050 si saranno aggiunti all’attuale popolazione mondiale altri 2,6 miliardi di persone, dei quali solo 24 milioni apparterranno agli attuali paesi sviluppati. Occorrerà perciò che aumenti la produzione di cibo, in modo più che proporzionale se si vuole ridurre il numero di malnutriti. Poiché non è possibile estendere le coltivazioni oltre un certo limite (occorrerebbe tagliare i boschi con gravi danni per l’ambiente) molti esperti considerano come alternativa l’aumento della produttività delle terre attualmente coltivate, ottenibile con il ricorso alle biotecnologie, che consistono in tecniche di trasformazione genetica delle piante.
Ma aumentare la disponibilità di cibo non è sufficiente per sconfiggere la fame. Occorre anche ridurre le attuali grandi differenze nei consumi che esistono tra le popolazioni dei paesi ricchi e di quelli poveri, sia dal punto di vista della quantità sia della qualità. È poi necessario che si riduca la povertà, come propone il primo degli obiettivi di sviluppo del millennio, perché se il reddito delle famiglie resta molto basso queste non possono acquistare il cibo per sfamarsi.
E infine è necessario prevenire le carestie, che colpiscono ancora oggi molte aree del Pianeta, e, quando non è possibile, affrontare tempestivamente l’emergenza. Coordinando gli sforzi, le carestie, come è accaduto per il vaiolo, possono diventare una piaga del passato.