falsari
D. li chiama falsadori (If XXIX 57), accomunando sotto la stessa denominazione gli alchimisti (falsatori di metalli), gli autori di sostituzioni personali (falsatori di persone), i monetieri (falsatori di moneta), i calunniatori-impostori (falsatori della parola). Il poeta colloca i falsatori nella decima e ultima bolgia, all'ultimo posto del terzo gruppo di fraudolenti, quello comprendente peccatori nei quali all'amore si sostituisce l'odio, e cioè l'amore del male altrui. Tale è difatti la situazione di ordine morale propria dei consiglieri frodolenti, dei seminatori di discordie e appunto dei falsatori, dal momento che nel primo gruppo (ruffiani, adulatori, simoniaci) non si può cogliere altro che ‛ corruzione d'amore ' , e nel secondo (indovini, barattieri, ipocriti, ladri) ‛ mancanza d'amore '.
Ciò, in base alla convincente applicazione della teoria dell'amore come indice della moralità del soggetto (Quinci comprender puoi ch'esser convene / amor sementa in voi d'ogne virtute / e d'ogne operazion che merta pene, Pg XVII 103-105) ai peccati puniti nelle dieci bolge, operata con persuasivi argomenti da G. Fraccaroli, pur se D., esplicito altrove sulla classificazione e sulla graduatoria delle colpe, taccia in proposito. Di conseguenza che i falsatori siano all'ultimo posto del gruppo non può meravigliare, essendo " la loro azione la più deliberatamente diretta contro alla verità, l'oggetto più degno dell'amore ", sì che " il loro mal animo verso il prossimo è tale che si avvicina al tradimento ". Se infatti tutti i frodolenti vogliono il male del prossimo, il grado di malvagità che la colpa dei falsatori comporta è senza dubbio maggiore che negli altri.
L'incontro di D. con i falsatori occupa buona parte del c. XXIX (vv. 40-139) e l'intero XXX della prima cantica e si articola in vari episodi, caratterizzati da un vivace e crudo realismo e insieme da uno studio di sapientissimi effetti stilistici cui è sottesa una fitta trama di richiami retorici e culturali. I personaggi vanno da un innominato aretino concordemente identificato dagli antichi commentatori con Griffolino " magnus et suptilissimus archimista ", come si esprime il Bambaglioli, fatto ardere come tale dal vescovo di Siena, cui sarebbe stato denunciato dal figlio, e dal toscano Capocchio da Firenze, secondo la testimonianza dell'Anonimo Fiorentino, e anzi " conoscente dell'autore ", abile a " contraffare ogni uomo e ogni cosa ", che " diessi nell'ultimo a contraffare i metalli " (XXIX 73-120, 121-139), a Gianni Schicchi de' Cavalcanti falsatore di persona (truccato sì da parere Buoso Donati morente, che invece era già morto, avrebbe dettato al notaio un regolare testamento in favore di Simone Donati nipote di Buoso, avendone come ricompensa una cospicua somma di denaro e la bellissima cavalla, vanto della scuderia del defunto) e a Mirra, pure falsatrice di persona, e incestuosamente (OvID Met. X 298-502), come colei che osò farsi al padre, fuor del dritto amore, amica sostituendosi ad altra donna amata dal genitore (XXX 22-45); da maestro Adamo identificabile con un " magister Adam de Anglia, familiaris comitis de Romena " (così citato in un documento bolognese del 28 ottobre 1277) falso monetario, ma di alta e non soltanto artigianale specializzazione (vv. 46-90), alla moglie di Putifarre calunniatrice dell'onesto Giuseppe figlio di Giacobbe (Gen. 39, 6-23) e al falso Sinon greco di Troia, l'impostore protagonista del celebre episodio virgiliano (Aen. II 57-148). Non è facile cogliere le ragioni della differenziazione delle pene assegnate nella comune applicazione di un contrapasso che genericamente prevede una morbosa deformazione del fisico come dell'equilibrio psichico, in corrispondenza con la deformazione o contraffazione del vero o dell'autentico dai falsari operata. La scabbia o lebbra che macola di schianze i due alchimisti falsatori di metalli Griffolino e Capocchio, e li costringe a ‛ dismagliarsi ', contraffà il loro naturale aspetto umano, così come essi osarono contraffare genuini prodotti della natura quali i metalli nobili (di natura buona scimia dice di sé Capocchio alla fine del c. XXIX, usando una comparazione tradizionale, allusiva all'istinto scimmiesco d'imitare e contraffare i gesti altrui, ma forse anche alla caricatura o contraffazione dell'uomo rappresentata nel suo stesso aspetto dalla scimmia, il cui grattarsi è abituale; il collegamento concettuale fra scimia e alchimia sottolineato dalla rima, e in genere l'immagine dell'uomo-scimmia, lascia d'altronde traccia precisa in Immanuel Romano [Del mondo, vv. 99-100 " Qui sono le simie - con molte alchimie: / grattarsi le timie - e voler digrignare "]). Analogamente la pazzia furiosa di Gianni Schicchi e di Mirra deforma, falsa, alterandolo, il naturale equilibrio psichico umano (e in fondo anche l'aspetto fisico, che risulta alterato dalla furia), così come colui frodolentemente deformò, falsò la volontà di Buoso Donati, già morto, testando contro il suo intendimento, e costei - in obbedienza a incestuosa passione - deviò verso sé stessa, usando frode, l'appetito sessuale del padre rivolto ad altra donna, falsando e deformando l'intendimento di lui. Maestro Adamo per contro, non semplice alchimista come Griffolino e Capocchio, non si limitò ad alterare o contraffare genuini prodotti della natura quali i metalli (operazione sempre peccaminosa: D. non ammette " la possibilità d'un'alchimia lecita accanto all'illecita ", come ribadisce il Contini [Sul XXX dell'Inferno, p. 6] citando la bolla di Giovanni XXII De Crimine falsi e L. Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, III, New-York 1934, 33-34) ma alterò e contraffece il fiorino - e fu non tanto e non solo contraffazione del metallo nobile quanto falsificazione di un'istituzione giuridica qual è la moneta, considerata reato di gravità estrema - aggiungendo all'oro tre carati di mondiglia (metallo vile). Sì che in lui fatto idropico - come, è lecito indurlo, nel correo Guido II conte di Romena già nella decima bolgia - si aggiunge agli umori sani e naturali del corpo l'acqua marcia che gli assiepa il ventre innanzi a li occhi. In simil guisa la febbre aguta che tormenta la calunniatrice moglie di Putifarre e il propalatore di falsità Sinone, alterando la normale temperatura del corpo umano (come il leppo ne altera l'odore insopportabilmente), trova riscontro nell'alterazione della verità attraverso le parole con che l'una e l'altro ottennero rispettivamente l'ingiusta persecuzione di Giuseppe e l'introduzione della fatale macchina in Troia. Possono d'altronde sovvenire, almeno per alcuni personaggi, come si è proposto, " giustificazioni ad personam ": sono fatti simili a bestie (" degradati... a bruti infuriati, a porci sfrenati dal chiuso e avventati sui compagni di pena ") Mirra e Gianni Schicchi. La prima che, nella narrazione ovidiana, dopo essersi richiamata alle libere unioni coi loro padri di animali-femmina quali la giovenca, la cavalla, la capra, l'uccello, prorompe: " Felices, quibus ista licent! " (Met. X 324-329). Il secondo che si sostituì frodolentemente a un già morto testatore per averne come ricompensa una celebre e bellissima cavalla, la donna de la torma (Contini). D'altronde è inerente alla pena di Maestro Adamo il ricordo dei ruscelletti che d'i verdi colli / del Casentin discendon giuso in Arno, / faccendo i lor canali freddi e molli (If XXX 64-66) e della fresca Romena e di Fonte Branda (certo la casentinese, non l'omonima fonte di Siena).
Se, come si è visto, il motivo della collocazione dei falsari nella decima bolgia (la più vicina ai traditori) è non difficilmente individuabile, non facile risulta, come gl'interpreti concordemente riconoscono, l'identificazione del canone morale-giuridico che accomuna peccatori rei di colpe così diverse. Per il Filomusi-Guelfi, che fonda la partizione morale della Commedia su basi rigorosamente teologiche e tomistiche, essi sarebbero tutti colpevoli di " mendacium "; per il Kohler i loro peccati avrebbero in comune, oltre il " darla ad intendere " (" ein falsches Vorgeben "), " una macchinazione, un apparato, una ‛ mise en scène ' esteriore ". Per contro il Finzi vede - e non a torto - nell'una e nell'altra interpretazione una certa forzatura, non consentendo né l'una né l'altra un soddisfacente adeguamento al canone delle diversissime colpe commesse dai falsari danteschi. Cosicché preferisce ritenere che D., " quando pone nella stessa decima valle i vari peccatori obbedisca semplicemente al significato dell'usuale linguaggio per il quale, anche allora, come ai dì nostri, dicevasi ‛ falsa ' la cosa contraffatta, come si chiamava col nome di ‛ falso ' o ‛ falsario '... non soltanto chi contraffaceva una determinata cosa, o si faceva credere quello che non era, ma anche chi affermava cose non vere ". Oltre all'inconsueta collocazione nello stesso luogo di pena di peccatori rei di colpe tanto dissimili, gl'interpreti non hanno mancato di notare l'accostamento, non nuovo nella Commedia, ma forse mai così macroscopico, di personaggi storici e mitici, biblici e classici, antichi e moderni, di fatti di cronaca o addirittura di aneddoti (tale ad es. è quello di Gianni Schicchi) e di tragici miti (qual è quello di Mirra). L'accoppiamento, semmai, rispondente a un canone più abituale è l'ultimo: l'esempio scritturale e il classico (la moglie di Putifarre e Sinone), come non manca di notare il Contini, con i debiti rinvii al Curtius, che ben vide nel procedimento un ‛ topos ' caratterizzante della Commedia, utile, con altri, a ricondurne la genesi alla grande matrice mediolatina. Ma nuovamente impone la constatazione di una vistosa eccezionalità, preliminarmente sottolineata dall'eterogeneità dei contendenti, la celebre e mirabile rissa fra Maestro Adamo e Sinone, che solo nell'arte e nell'artificio ineguagliabili propri della realizzazione espressiva conseguita da D., trova una valida giustificazione. E la mescidanza di elementi eterogenei raggiunge il suo culmine nell'esordio del c. XXX, ricchissimo, anzi sovrabbondante, di richiami solennemente classici e mitologici, ma concluso nel bestiale azzannamento dell'oscuro alchimista fiorentino da parte di quel tipico personaggio da ‛ fabula comica ' che è Gianni Schicchi, assomigliato a porco quando del porcil si schiude.
Le ragioni della singolarità o dell'eccezionalità degli accostamenti sono d'altra parte quelle stesse che li giustificano nell'intero poema: in primo luogo quella inerente alla collocazione su di uno stesso piano, cui è estranea la dimensione cronologica del vario e multiforme mondo evocato e rappresentato nel corso del gran viaggio, compiuto da un pellegrino che espressamente (se pur altrove) afferma di essere venuto a l'etterno dal tempo; in secondo luogo la preminenza assoluta di un criterio paradigmatico, che disconosce non solo le distinzioni cronologiche ma i ‛ confini ' stessi che separano la storia dal mito. Per quanto attiene alla trasfigurazione di un siffatto coacervo (il termine è usato dal Contini) in quadro stilisticamente coerente, osserveremo che qui, come di rado altrove, D. è ricorso alle risorse di uno scaltrito e raffinatissimo magistero d'arte, manifestantesi assai di frequente sia in quel virtuosismo tecnico che si suol denominare asperitas, sia nell'abilissimo impiego di una precettistica retorica talmente assimilata e dominata, da riuscire a tradursi in tessuto connettivo robustamente unitario e a perfetta tenuta. E può ben dirsi che il callido e sottile artificio favorisca quel distacco che sembra essere l'atteggiamento fondamentale del poeta, nel corso dei vari episodi succedentisi nei due canti. Opportunamente osserva il Sapegno che non già " una disposizione ironica sta alla radice della rappresentazione tutta rivolta all'esterno e al descrittivo [il critico si riferisce alla seconda parte del c. XXIX], bensì una disposizione di distacco, che si maturerà nel canto successivo in un tono di disprezzo e di sdegno ".
Bibl. - G. Fraccaroli, Le dieci bolgie e la graduatoria delle colpe e delle pene nella D.C., in Miscellanea nuziale Rossi-Teiss, Bergamo 1897, 355-369; J. Kohler, Die Fälscher in Dantes Hőlle, in " Archiv für Strafrecht " XLVIII (1901) 334-337; L. Filomusi-Guelfi, La struttura morale dell'Inferno, in Studii su Dante, città di Castello 1908, 98-99; M. Finzi, I falsari nell'Inferno dantesco, in " Giorn. d. " XXVII (1924) 216-237; E. Sanguineti, Interpretazione di Malebolge, Firenze 1961, 340-345. Fra le varie ‛ lecturae ': N. Sapegno, Il c. XXIX dell'Inferno, in Lett. dant. 567-581; G. Contini, Sul XXX dell'" Inferno ", in " Paragone " XLIV (1953) 3-13 (ristampato nelle citate Lett. dant. 585-594, ma senza le note, molto importanti: le nostre citazioni si riferiscono pertanto alla prima stampa); G. Mariani, Il c. XXIX dell'Inferno, Firenze 1963; E. Bigi, Il c. XXX dell'Inferno, ibid 1963.