fallimento
In diritto, strumento di regolazione della crisi dell’impresa attraverso la liquidazione del patrimonio attivo del debitore e la ripartizione del ricavato tra i suoi creditori. Il f. coinvolge l’intero patrimonio del debitore (cosiddetta universalità attiva) e mira alla soddisfazione di tutti i creditori del debitore stesso (cosiddetta universalità passiva). Diversa dal f. è la bancarotta (➔).
Al f. può essere assoggettato l’imprenditore in dissesto economico-finanziario, qualora ricorrano i seguenti presupposti: deve trattarsi di imprenditore commerciale, che versi in stato d’insolvenza (➔) e abbia superato almeno uno dei limiti dimensionali fissati dall’art. 1, 2° co., r.d. 267/1942 e successive modifiche (cosiddetta legge fallimentare) per l’attivo patrimoniale, l’ammontare dei ricavi e dell’esposizione debitoria, come determinati, con cadenza triennale, dal ministro della Giustizia. Non sono di ostacolo alla dichiarazione di f. né la cessazione dell’attività d’impresa, né la morte dell’imprenditore, purché lo stato d’insolvenza si sia manifestato prima di tali eventi o entro l’anno successivo, e la declaratoria di f. sia stata invocata entro un anno dalla cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese.
La procedura si apre con la pubblicazione della sentenza dichiarativa di f., pronunciata dal tribunale competente su iniziativa del debitore, di uno o più creditori, o del pubblico ministero. La dichiarazione di f. produce una molteplicità di effetti, sostanziali e processuali, che investono il fallito, i suoi creditori e i terzi che hanno intrattenuto rapporti con il fallito. Gli effetti riservati al fallito si possono distinguere in patrimoniali, personali e penali. Il fallito perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni esistenti, nonché la legittimazione processuale per tutte le controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale. Se a fallire è una società, falliscono con essa anche tutti i soci illimitatamente responsabili, siano essi palesi od occulti al momento della dichiarazione di fallimento. Dal 2006, inoltre, possono essere dichiarate fallite anche le società occulte.
Per quanto riguarda i creditori, questi devono essere soddisfatti secondo il principio della par condicio creditorum («parità di trattamento dei creditori»), senza con ciò frustrare le legittime cause di prelazione vantate, quali pegno, ipoteca e privilegio; l’effetto più rilevante è il divieto di azioni esecutive o individuali (ex art. 51). A tal fine, i creditori si distinguono in chirografari e privilegiati. I primi partecipano alla ripartizione dell’attivo fallimentare non gravato da vincoli, in proporzione del loro credito e per pari misura percentuale. I secondi, invece, fanno valere i loro diritti in via preferenziale sul ricavato della vendita del bene oggetto di garanzia, e per l’eccedenza partecipano alla ripartizione del residuo fallimentare alle stesse condizioni dei chirografari. Esiste, infine, una terza categoria di creditori, detti della massa, quali quelli sorti in occasione o in funzione della procedura di f., che non risentono della par condicio creditorum, in quanto devono essere soddisfatti per intero e prima di qualsiasi altro creditore. Si hanno poi importanti conseguenze sugli atti pregiudizievoli ai creditori, i quali possono ottenere dal giudice la cosiddetta azione revocatoria fallimentare, una dichiarazione di inefficacia applicabile a una serie di atti compiuti dal debitore prima della dichiarazione di fallimento. Nei confronti dei terzi, il f. comporta una diversa sorte dei contratti in essere, che può andare – a seconda del tipo di contratto – dallo scioglimento di diritto, alla continuazione del rapporto o altrimenti alla sospensione, lasciando in quest’ultimo caso al curatore la facoltà di risolvere o di proseguire il rapporto.
Dopo la dichiarazione di f. la procedura si articola essenzialmente in 3 fasi: accertamento dello stato passivo e attivo; liquidazione dell’attivo, che consiste nella vendita forzata dei beni appartenenti al patrimonio del debitore (art. 104 e segg.); ripartizione dell’attivo (art. 110 e segg.), tra i creditori, secondo il progetto presentato dal curatore e dichiarato esecutivo dal giudice delegato.
Allo svolgimento della procedura provvedono 4 organi, ciascuno dotato di specifiche funzioni: il tribunale fallimentare; il giudice delegato; il curatore; il comitato dei creditori. Al tribunale fallimentare è rimesso il compito di dichiarare, con sentenza, il f. e di sovraintendere al corretto svolgimento dell’intera procedura. Il tribunale nomina, inoltre, sia il giudice delegato sia il curatore; al primo è affidato il compito di nominare o revocare i componenti del comitato dei creditori, formare lo stato passivo del f. e renderlo esecutivo con proprio decreto, autorizzare il curatore a stare in giudizio, decidere sui reclami proposti contro il curatore o il comitato dei creditori; al curatore spetta il compito di amministrare, in qualità di pubblico ufficiale, il patrimonio fallimentare.