FALASCIÀ, (falāèā probabilmente "emigrato", dal ge‛ez falasa "migrare")
Sono designate con questo nome le popolazioni di religione giudaica dell'Etiopia settentrionale oggi ridotte a piccoli gruppi che vivono sparsi nella zona fra il Lago Tana e il Semien. I Falascià parlano una lingua agau (quindi un linguaggio camitico).
Storia. - Sull'origine storica dei Falascià non si hanno che congetture. J. Halévy credeva che i Falascià fossero Ebrei, che gli Abissini dopo la loro conquista dello Yemen nel sec. VI d. C. avrebbero trasportato dall'Arabia in Africa e relegato sui monti del Semien. Ignazio Guidi ha supposto che i Falascià abbiano avuto origine dai gruppi ebraici che nel sec. VI a. C. formarono colonie militari ai confini meridionali dell'Egitto sotto il regno di Psammetico II. C. Conti-Rossini, invece, ritiene che, durante la colonizzazione sudarabica della costa eritrea, si siano formati, in quei nuovi centri commerciali, nuclei di Ebrei i quali con indigeni da loro convertiti avrebbero a poco a poco costituito comunità fissatesi o limitate più tardi, per eventi politici ignorati, nella zona ove oggi le troviamo.
Le notizie, spesso accolte in libri europei sull'Etiopia, circa un regno giudaico in Abissinia con una regina Giuditta guerriera, sono risultate da studî recenti esser dovute solo a un curioso equivoco. Si tratta in realtà, di avvenimenti degli ultimi decennî del sec. X relativi a genti molto più meridionali (probabilmente ai Damot a sud del Nilo Azzurro). I Falascià hanno opposto nella loro storia una strenua resistenza ai negus abissini. La prima spedizione contro di loro di cui si abbia notizia nelle cronache etiopiche è del 1332; ma cinquant'anni dopo (tra il 1382 e il 1390) i Falascià sotto la guida di un monaco abissino transfuga presso di loro devastavano a loro volta chiese e monasteri abissini cristiani. Altre spedizioni si succedettero, come quella del negus Ishaq (1414-1429), ma i Falascià non furono domati. La loro lotta diede ancora luogo a feroci repressioni, come il massacro ordinato dall'azmāč Mārqos del Baghemeder durante il regno del negus Ba'eda Māryām (1468-1478) e le tre devastatrici guerre del negus Malak Sagad (nel 1579, 1580 e 1585-1586) e infine le sanguinose vicende delle ribellioni del falascià Gedeone vinto e ucciso nel 1625. Da allora i Falascià possono dirsi definitivamente assoggettati e il loro numero, specialmente per le conversioni più o meno volontarie al cristianesimo monofisita, va diminuendo progressivamente.
La conservazione della fede giudaica in questo gruppo isolato per secoli dagli altri centri dell'ebraismo ha attirato l'attenzione delle comunità ebraiche d'Europa e d'America e degli studiosi; missioni giudaiche e delle varie confessioni cristiane hanno cercato di far evolvere nell'uno o nell'altro senso le credenze di questa tenace popolazione. Tuttavia recentemente è stato riesaminato il quesito se i Falascià vadano realmente considerati come Israeliti.
Letteratura. - I Falascià si valsero tradizionalmente nei loro scritti della lingua etiopica (ge‛ez), commista in qualche preghiera a parole e frasi agau. Molta parte delle opere della piccola letteratura falascià a noi note hanno per fonte scritti dell'Abissinia cristiana: si citano gli Atti di Mosè, la Morte di Mosè, gli Atti di Abramo (usati come ufficio per i defunti); soltanto i "Precetti di Sabbato" (nel quale "Sabbato" è la figlia beneamata del Signore) sembrano sicuramente giudaici. Del resto opere di uno scrittore falascià del sec. XV, Abbā Ṣabrā, e gli Atti stessi della sua vita (che sarebbero forse altre opere originali falascià) sembra che non siano giunti fino a noi.
Religione e costumi. - La religione dei Falascià è basata sull'Antico Testamento, che però essi non posseggono più nell'originale ebraico, ma solo nella traduzione geez a loro pervenuta dalla chiesa abissina, e su alcuni apocrifi, pur essi in traduzione cristiana. La tradizione talmudica è a loro sconosciuta, e conseguentemente le forme del loro culto differiscono assai da quelle del resto del giudaismo. Essi hanno conservato il culto sacrificale, sebbene oggi ne siano rimasti pochi residui. Le loro preghiere sono in ge‛ez, con frammiste parole o frasi in lingua agau. Il sabato è osservato dai Falascià con molto rigore; essi lo trascorrono interamente, notte compresa, nella sinagoga (masgid) che lasciano soltanto per consumare in casa i pasti festivi. Essi celebrano le stesse solennità degli altri Ebrei (la Pentecoste è festeggiata però cinquanta giorni dopo il settimo della Pasqua), ma non conoscono le semi-feste di Ḥănukkāh e di Pūrīm. Hanno tuttavia il digiuno di Ester, insieme con molti altri digiuni, fra cui alcuni analoghi, se pur con date e durate diverse, a quelli consueti giudaici per la distruzione di Gerusalemme e del Santuario. Seguono particolari riti per la macellazione degli animali; si astengono scrupolosamente da determinati cibi, e in genere da ogni cibo non preparato da Falascià. Seguono severe norme di purità, e compiono frequentissimi bagni di purificazione. Loro occupazione prevalente sono i mestieri manuali:
Bibl.: J. Halévy, Prières des Falachas, Parigi 1877; id., Nouvelles prières des Falachas, in Revue sémitique, 1911; J. Faitlovitch, Quer durch Abessinien, Berlino 1905; id., Mota Muse, Parigi 1906; C. Rathjens, Die Juden in Abessinien, Amburgo 1921 (v. però la recensione in Oriente moderno, 1921, pp. 52-53); C. Conti-Rossini, Appunti di storia e letteratura Falascià, in Riv. Studi Orientali, VIII (1920) pp. 563-690; id., Nuovi appunti sui Giudei di Abissinia, in Rendiconti Lincei, sc. mor., 1923.