Locuzione inglese (lett. notizie false), entrata in uso nel primo decennio del XXI secolo per designare un’informazione in parte o del tutto non corrispondente al vero, divulgata intenzionalmente o inintenzionalmente attraverso il Web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione, e caratterizzata da un’apparente plausibilità, quest’ultima alimentata da un sistema distorto di aspettative dell’opinione pubblica e da un’amplificazione dei pregiudizi che ne sono alla base, ciò che ne agevola la condivisione e la diffusione pur in assenza di una verifica delle fonti. Corrispondente grosso modo all’italiano bufala mediatica - sebbene quest’ultima espressione faccia generalmente riferimento a notizie del tutto prive di veridicità - e utilizzato prevalentemente in ambito politico, il neologismo ha conosciuto amplissima diffusione a partire dal 2016, ed è entrato prepotentemente nel lessico giornalistico grazie all’impiego fattone l’anno successivo dal neoeletto D. Trump per sostanziare le sue campagne contro i mezzi di informazione. Al 2018 numerosi studiosi di comunicazione hanno criticato il suo impiego, sottolineandone la genericità e l’eccessiva diffusione, e hanno posto in connessione il fenomeno che essa designa con il più ampio concetto di postverità, intesa come pseudoverità costruita attraverso scelte individuali e collettive che fanno perno sull’emotività e le convinzioni condivise dall’opinione pubblica prescindendo del tutto o in parte dalla conformità con il reale.