FAITINELLI, Pietro, detto Mugnone
FAITINELLI (Faytinelli, Fatinelli, Fantinelli), Pietro, detto Mugnone (Muglione, Mugione, Mughione, Magnone,
Mucchio). - Di nobile famiglia lucchese, fu figlio del giudice Pagano ("Dominus Paganus iudex q.m Guilielmi Faytinelli de Faytinellis", come viene nominato in una pergamena del 1303), del quale si hanno notizie fino al 1304 e che forse è lo stesso Pagano presso cui fu a servizio come fantesca la famosa Zita, poi santificata. Nacque nell'ultimo quarto del sec. XIII, con tutta probabilità tra il 1280 e il 1290. Notizie certe su di lui si hanno solo a partire dal 1314, data di inizio del suo lungo esilio da Lucca. Il soprannome di Mugnone, rimasto sinora oscuro, sarà certamente da mettere in relazione con le voci "mugghio" e "muglio", "muggito" o "lamento, piagnucolio", sicché "mugnone" equivarrebbe a "brontolone", appellativo che ben si accorda col colore dei versi del Faitinelli.
Le sue vicende biografiche sono inscindibilmente legate alle vicende politiche lucchesi, che lo videro partecipe e protagonista. Nel periodo a cavallo tra i secoli XIII e XIV la florida Lucca era saldamente dominata dalla parte guelfa, e pertanto fida alleata dì Firenze e tradizionalmente ostile alla ghibellina Pisa. Le più cospicue famiglie della nobiltà lucchese, tra cui quella del Faitinelli, aderivano al partito guelfo. Ma già nel primo decennio del sec. XIV cominciarono a verificarsi eventi sfavorevoli per esse e per il F., che si avviava all'esercizio della professione notarile. Infatti il popolo minuto riusciva in quegli anni ad avere la meglio sulla parte nobiliare e con lo statuto del 1308 imponeva a questa gravose restrizioni, inducendo non pochi nobili ad abbandonare la città: tra di essi anche alcuni parenti del F., che invece rimase a Lucca e prese parte ai più dolorosi eventi successivi.
Le vicende della discesa in Italia dell'imperatore Enrico VII (1311-1313), che tante speranze suscitò nei ghibellini italiani e nello stesso Dante, videro Lucca, solidale con Firenze, confidare nella protezione di Roberto d'Angiò, re di Napoli dal 1309. Ma Enrico VII, dopo l'incoronazione imperiale a Roma (1312), batté i Fiorentini all'Incisa e arrivò ad accamparsi alle porte di Firenze. Questa ebbe l'aiuto di molte città guelfe, tra le quali Lucca, ma non di Roberto d'Angiò. Il F. ebbe accenti di riprovazione per la condotta del re, ma anche per lo scarso valore dei Fiorentini.
Dopo la morte di Enrico VII (1313) il comando delle forze ghibelline e imperiali, riunite intorno a Pisa, passò ad Uguccione Della Faggiuola, vicario di Enrico a Genova. Le minacce dell'abile condottiero furono rivolte immediatamente contro Lucca, alla quale chiedeva la restituzione di alcuni castelli e la riammissione in città dei fuorusciti ghibellini. La città accettò di trattare le condizioni, ma l'accordo non fu raggiunto. Ebbero così inizio vittoriose scorrerie dell'esercito di Uguccione in territorio lucchese.
In tali tristi frangenti, nel 1313 il F. sposava Becchina di Coluccio della Volpe. Non è certo che da questa unione siano nati dei figli, ma è possibile che fosse figlia del F. una Pina che risulta vedova di un Gherardo Sabolini nel 1332 e che morì prima del 1339.
Intanto Lucca, come già aveva fatto Firenze, decideva di darsi in signoria a Roberto d'Angiò, che vi inviò un suo vicario, Ghelardo di San Lupidio. L'Angioino preferì poi concludere la pace con Pisa. Uguccione a sua volta concluse un accordo con Lucca (aprile 1314) che permise ai ghibellini lucchesi fuorusciti di ritornare in patria: tra essi era l'ambizioso Castruccio Castracani degli Antelminelli. Nonostante ciò vi furono trattative tra Firenze, Siena e Lucca per la formazione di un'alleanza antighibellina e antipisana. Questo fatto e il presunto mancato rispetto degli accordi precedenti indussero Uguccione a muovere contro Lucca, mentre la città era sull'orlo della guerra civile tra la fazione guelfa degli Obizi e quella ghibellina capeggiata da Castruccio Castracani. In tale situazione fu facile per Uguccione, con la complicità di Castruccio, impadronirsi della città e devastarla orribilmente mettendola a ferro e fuoco per tre giorni (orrori ricordati anche nella Cronica di G. Villani).
Alle devastazioni seguirono le proscrizioni; trecento famiglie guelfe, spontaneamente o colpite da bando, dovettero lasciare la città. Tra gli altri venne bandito e privato di tutti i suoi beni anche il Faitinelli.
Dall'esilio i guelfi lucchesi, e tra loro il F., si organizzarono per rientrare in città, ma la disfatta di Montecatini (29 ag. 1315) mise presto fine alle loro speranze, tanto più che Roberto d'Angiò preferì concludere la pace con tutti i ghibellini toscani. Il F. tuttavia sperò ancora nella possibilità di una rivincita guelfa.
Poco dopo Montecatini, nel '17, Lucca, liberatasi di Uguccione, elesse il Castracani capitano e difensore della città; nel 1325, con la conquista di Pistoia e la sconfitta di Firenze ad Altopascio, il suo dominio si estese a quasi tutta la Toscana. Nella speranza di ottenere il ritorno in patria, il F. ebbe in questo periodo parole di lode per "il nobile Castruccio", attribuendogli il merito di aver liberato Lucca dalla tirannide del popolo minuto: ma il Castracani morì nel 1328 senza aver esaudito le sue speranze. Solo nel 1331, quando Lucca passò a Giovanni e Carlo di Lussemburgo e quest'ultimo con un atto di clemenza decise di richiamare gli esuli guelfi, il F. poté finalmente ritornare in patria e rientrare in possesso dei suoi beni. A tal fine egli prestò giuramento il 12 ag. 1331 (Arch. di Stato di Lucca, Capitoli, n. 52, c. 2) e presentò alla Curia de' rebelli un'istanza per riavere le proprie sostanze (Ibid., Curia de' Rebelli, n. 2, cc. CCXXXIV-CCxXXVIIII).
Del periodo di esilio del F. non si hanno notizie certe. È pressoché sicuro che in un primo tempo egli rimase in Toscana, organizzando, come si è detto, la rivincita guelfa insieme con gli altri fuorusciti, che avevano la loro sede principale a Fucecchio. È molto probabile che in questo primo periodo soggiornasse qualche tempo a Firenze, come attesta la viva partecipazione alle vicende della città che emerge dai suoi versi. Diversi indizi fanno poi ritenere che il F. possa essersi successivamente recato nel Veneto, restandovi non poco tempo. Il Del Prete dà notizia della presenza di un Pietro del Faitinelli tra i fuorusciti lucchesi a Venezia nel sec. XIV, ma non precisa le sue fonti e si dice incerto sull'identità del personaggio. Di certo c'erano dei Faitinelli a Venezia, parenti del poeta. A ciò si aggiunga il fatto che la maggior parte dei sonetti del F. si trova nel codice Barb. lat. 3953 della Bibl. apost. Vaticana, sicuramente di area veneta e tradizionalmente ritenuto parzialmente autografo di Nicolò de' Rossi, trevigiano, notaio e poeta contemporaneo del Faitinelli. Di recente A. Petrucci (La scrittura del testo, in Letteratura ital. [Einaudi], IV, Torino 1985, p. 290 n. 5) ha revocato in dubbio che il Barb. lat. 3953 possa essere parzialmente autografo del de' Rossi.
La dolorosa esperienza dell'esilio maturò nel F. un deciso distacco dalla politica attiva; dopo il suo ritorno risulta che egli si occupasse soltanto della sua professione di notaio, ricavandone stima e fiducia generale. Venne infatti nominato più volte ufficiale della Curia degli esecutori, tra il 1333 e il 1339. Non sopravvivono suoi documenti notarili successivi al 1340, ma certo egli continuò a far versi oltre quella data, come attestano i riferimenti storici di alcuni suoi sonetti.
Nel 1348, mentre imperversava la pestilenza, il F. redasse il proprio testamento, in cui lasciava i suoi beni all'ospedale di S. Luca, facendone usufruttuaria la moglie. L'anno seguente volle modificarlo; il documento notarile di modifica, del 22 nov. 1349, lo descrive molto malato, sorretto dalla moglie e appena in grado di esprimere il suo assenso. È verosimile che il F. morisse di lì a poco.
Le rime del F. sono contenute per la maggior parte nel cod. Barb. lat. 3953 della Biblioteca apostolica Vaticana (che raccoglie i sonetti: I, p. 176; II, p. 129; III, p. 175; IV, p. 107; V, p. 188; VI, p. 152, VII, p. 150, VIII, p. 151; IX, p. 152; X, p. 114; XI, p. 177; XII, p. 177; XIII, p. 110; XIV, p. 183; XV, p. 152). Altri codici contengono un solo sonetto: il IV è anche nel codice Laurenziano pl. XLI, 15, c. 36r; nel Riccardiano 1088, c. 62v; nel Laurenziano Rediano 184, c. 81r; nel Riccardiano 1156, c. 2r; nel codice della Biblioteca nazionale di Firenze II. 11. 40, già Magliabechiano VII, 1010, cc. 19r e 164r. Il codice Riccardiano 1103 ha il sonetto V alla c. 148r; il Chigiano L, IV 131, il sonetto XVI alla c. 668, mentre il Laurenziano Med. Pal. 119 alla c. 164v ha il sonetto XVII. Il son. XVIII è nel Chigiano A, VII 217, alle cc. 680-681.
Il sonetto in morte di Dante, "o spirto gentil, o vero Dante", è stato tolto al F. da Del Prete (pp. 71 ss.) e da M. Barbi (Studi sul Canzoniere di Dante, Firenze 1915, p. 488 n. 1); e il sonetto "Amico alcun non è che altrui soccorre", forse di Antonio Pucci, dal Del Prete (p. 67) e da A. Massera (Ancora dei codici di rime volgari adoperati da G. M. Barbieri, in Studi medievali, II [1905], pp. 32, 34). Il Gerunzi rivendicava invece al F. tre sonetti di Folgore ("Così faceste voi o guerra o pace", "Guelfi per fare scudo de le reni" e "Eo non ti lodo Dio e non ti adoro"); ma l'attribuzione fu ritenuta arbitraria dal Morpurgo e dal Del Prete.
Lontani dal clima stil-novistico e da ogni accento amoroso, lontani sotto altri aspetti anche dalla poesia realistico-giocosa, i versi del F. si caratterizzano soprattutto per l'impronta forte e personale della sua passione politica, partecipata e veemente.
Nel sonetto VIII il F. inveisce contro la plebe che si è impadronita del potere e loda Castruccio. Nel I, "Non speri 'l pigro re di Carlo erede", si mostra indignato contro Roberto d'Angiò, che non ha aiutato in tempo i guelfi (l'ultimo verso, "or sermoneggi e dica prima e tersa", riferito a re Roberto, è da confrontare con Dante, Par., VIII, 148: "E fate re di tal ch'è da sermone", posteriore e sempre riferito all'Angioino). Dall'entusiasmo per i preparativi della battaglia di Montecatini (son. IV) il F. passa allo sconforto dopo la sconfitta (son. VII): non si trattiene dal dileggiare la mancanza di coraggio dei Fiorentini, ma trova ancora la forza di invitare i guelfi a tentare la rivincita (son. V). Altro tema vibrante nella poesia del F. è ovviamente quello dell'esilio, toccato su registri diversi: amaro e sconfortato nel sonetto IX, ironico, quasi scherzoso, ma ugualmente venato di amarezza nel sonetto II; nel sonetto X prevale invece la speranza prepotente del ritorno.
Tre altri sonetti, infine, sono rivolti contro le donne, e uno è indirizzato ad un certo Lionardo del Gallacon da Pisa, non meglio identificato.
Edizioni: L. Del Prete, Rime di ser Pietro de' Faytinelli detto Mugnone, poeta lucchese del sec. XIV, Bologna 1874; A. F. Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (nuova ediz. riv. e aggiorn. da L. Russo, Bari 1940); P. Galletti, Canzone inedita di ser Pietro Faytinelli detto Mugnone da Lucca (nozze Sant'Albano-Galletti), Firenze 1898; Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a c. di M. Vitale, Torino 1968, pp. 645-681 (ediz. integrale pp. 653-681); Rimatori del Trecento, a c. di G. Corsi, Torino 1969, pp. 960 ss.
Bibl.: E. Gerunzi, P. de' Faytinelli detto Mugnone e il moto di Uguccione della Faggiola in Toscana, in Il Propugnatore, XVII (1884), 2, pp. 325-375, e, in risposta, L. Del Prete, Osservazioni sopra uno scritto di E. Gerunzi..., ibid., XVIII (1885), 1, pp. 134-148 (il lavoro del Gerunzi è anche in volume, Bologna 1885: siveda la recens. di S. Morpurgo in Rivista critica della lett. ital., 11 [1885], pp. 23 ss.); V. Cian, La satira, I, Milano 1924, pp. 226ss.; C. Previtera, La poesia giocosa e l'umorismo, Milano 1939, pp. 163 ss.; Poeti minori del Trecento, a cura di N. Sapegno, in La letteratura italiana. Storia e testi, Milano-Napoli 1952, pp. 307 ss.; M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1954, pp. 153, 169; Id., Poeti giocosi del tempo di Dante, Milano 1956, pp. 415-440; N. Sapegno, Il Trecento, Milano 1955, pp. 95 ss.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, Firenze 1960, pp. 676, 680, 777, 806; Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, a cura di M. Vitale, Torino 1968, pp. 645-652; Poesia del Duecento e Trecento, a cura di C. Muscetta-P. Rivalta, Torino 1968, pp. 721 ss.; Il Trecento, I, R. Amaturo, Dalla crisi dell'Età comunale all'umanesimo, in La letteratura italiana. Storia e testi, (Laterza), diretta da C. Muscetta, Bari 1971, pp. 447 ss.; F. Brugnolo, I toscani nel Veneto e la cerchia "toscaneggiante", in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, ad Ind.; Letteratura italiana (Einaudi), diretta da A. Asor Rosa, Gli Autori. Diz. bio-bibl., I, Torino 1990, p. 756.