FAIDA (corrispondente al tedesco Fehde "inimicizia, ostilità, lite")
Parola d'origine germanica, usata nelle leggi longobarde e in altre fonti latine medievali. Le stesse leggi longobarde la traducono con la parola latina inimicitia: altre fonti con vindicta parentum. In origine, analogamente a quanto accade nelle altre società primitive, fra gruppi familiari autonomi, è l'inimicizia, l'ostilità, la guerra di tutta la parentela dell'ucciso, del leso, dell'offeso, contro tutta la parentela di chi è ritenuto responsabile del fatto che si vuol vendicare. La faida s'inizia allora per una causa, la cui natura e gravità sono esclusivamente valutate dai parenti del leso; e può quindi derivare anche da un fatto involontario, dal danno arrecato da un servo, da un animale domestico. Deliberata la faida, nessuno della parentela può sottrarsi all'obbligo di parteciparvi e di continuare nell'impresa fino a che il torto, che si considera fatto a tutto il gruppo familiare, non sia pienamente vendicato, o il gruppo nemico non si pieghi a dare soddisfazione mediante un indennizzo fissato di comune accordo. La graduale trasformazione della faida non vincolata da norme consuetudinarie o legislative in faida regolata dalla consuetudine e in seguito riconosciuta o tollerata dal legislatore, coincide con l'unione dei gruppi familiari in associazioni politiche più complesse, e quindi con l'affermarsi e l'estendersi del potere giurisdizionale dello stato. Viene quindi esclusa la faida nei reati di minima e di massima gravità. I primi dànno luogo ad azioni giudiziarie e quindi alla condanna dei colpevoli al pagamento di piccole somme di denaro per le cosiddette composizioni. I secondi (attentato alla vita del re, accordo coi nemici esterni dello stato, sedizioni nell'esercito e altri delitti pubblici inespiabili, la cui serie tende ad accrescersi con corrispondente diminuzione della serie dei reati considerati come delitti privati), sono considerati offesa a tutto il popolo, non a un solo gruppo familiare e spezzano anzi il vincolo del reo col gruppo familiare a cui apparteneva, lo pongono fuori della legge, esponendolo alla pubblica vendetta e rendendo delittuoso il soccorso che gli sia dato da qualsiasi persona. Per l'illimitato e addirittura tirannico potere attribuito al re dalle leggi longobarde non possono inoltre legittimamente dar origine alla faide gli omicidî, ferimenti e atti di violenza commessi per ordine del re. Solo nei delitti privati il diritto longobardo riconosce la facoltà di scelta tra la faida e il ricorso all'autorità giudiziaria, a malincuore però e per l'impossibilità di sradicare una consuetudine inveterata. Prescindendo infatti dalla considerazione dell'interesse del fisco, al quale spettava una parte delle composizioni, era impossibile non avvedersi del turbamento della pace pubblica, delle scissioni e dell'indebolimento della compagine statale che dalle faide derivavano. Perciò Rotari dichiarò d'aver posto nelle sue leggi per i singoli reati composizioni maggiori di quelle fissate precedentemente dalla consuetudine. Il sentimento popolare germanico tendeva invece a considerare la rinuncia alla faida come disonorevole. Restrizioni notevoli al diritto di faida vennero inoltre imposte dal legislatore longobardo in seguito all'importanza che si cominciò a dare all'elemento intenzionale, mentre l'antico diritto penale germanico guardava soprattutto al fatto materiale. Venne infatti esclusa la faida nei reati colposi, contro il padrone per il reato commesso, non per suo ordine, dal servo, o per il danno dato da un animale o da una cosa inanimata. S'imposero parimenti limitazioni temporanee all'esercizio del diritto di faida per considerazioni d'interesse pubblico o di natura religiosa.
Cadute in desuetudine le leggi che ammettevano la legittimità della faida, non venne meno per secoli, e dura tuttora in alcune regioni, l'antico preconcetto, che fa della vendetta un debito d'onore per tutta la parentela. La faida si trasformò quindi in vendetta del sangue considerata dal legislatore come delittuosa.
Bibl.: P. Del Giudice, La vendetta nel diritto longobardo, in Studi di storia e diritto, Milano 1889, p. 246 segg.; A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., V, Torino 1892, p. 1 segg.; A. Solmi, Storia del diritto italiano, 3ª ed., Milano 1930, p. 200 e 318; H. Brunner, Grundzüge der deutschen Rechtsgeschichte, 2ª ed., I, Lipsia 1903, p. 221 segg. (con ricca bibliografia); II, passim; R. His, Geschichte des deutschen Strafrechts bis zur Karolina, Monaco 1928, pp. 51 segg. e 58 segg.; e in generale qualsiasi storia del diritto penale germanico e dei diritti che ne subirono l'influenza.