facolta
Capacità fondamentali dell’anima, da cui vengono fatte dipendere attività e funzioni fra loro essenzialmente distinte. La prima classificazione risale a Platone, che distinse una «parte» concupiscibile, una irascibile e una razionale dell’anima. Nell’ambito della concezione ilemorfica dell’anima come «atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza» (De anima, II, 1), cioè come forma e principio di organizzazione del corpo e del suo movimento, Aristotele stabilì il carattere logico, non fisico, della distinzione tra le diverse parti o potenze dell’anima (anima nutritiva o vegetativa, anima sensitiva e anima razionale, De anima, III, 4). La dottrina subì una drastica riformulazione con Descartes: l’anima perde le funzioni vegetative e sensitive, che vengono attribuite al corpo, e rimane titolare dei soli poteri di intendere e di volere, cui corrispondono le facoltà dell’intelletto e della volontà. Per l’una e per l’altra, si porrà tuttavia il problema di collegare e ordinare le attività inferiori a quelle superiori, la prestazione dei sensi a quella dell’intelletto. Tale problema è attestato in specie in Kant, per l’esigenza di riconoscere una certa autonomia all’immaginazione senza ricondurla alla sensibilità o all’intelletto. Kant modificherà inoltre la bipartizione cartesiana (generalmente accolta, con la rilevante eccezione di Spinoza, che identificava intelletto e volontà) affiancando alle prime due facoltà una terza, il «sentimento di piacere o di dispiacere». La problematica delle f. si mantenne fino al deperimento della psicologia di impronta filosofica e al prevalere di indirizzi empirico-sperimentali. Nella ricerca attuale, il termine trova tuttavia ancora impiego nell’ambito delle discussioni circa l’esistenza di una «f. di linguaggio umana, determinata dal nostro patrimonio genetico» (Chomsky).