CERRI, Facino
Nacque a Torino intorno al 1500, in una famiglia che godeva della cittadinanza torinese. Nel 1534 il C. si trovava a Roma, come risulta da documenti della Camera apostolica che gli attribuiscono la qualifica di chierico. A Roma il C. era in contatto con il banco fiorentino di Bindo Altoviti, poiché ne risulta concessionario, insieme con un Giacomo "Piochetti" (probabilmente De Piochet), di un credito di cento scudi d'oro del sole nei riguardi del savoiardo Giovanni Amedeo di Beaufort.
Nel 1536 il C. partì da Roma per compiere un pellegrinaggio a Gerusalemme, con l'intenzione di visitarvi i luoghi santi: di questo viaggio egli lasciò notizia in un suo Memoriale mei Facini Cerri clerici Thaurinensis confectum die vigesima secunda mensis aprilis 1536; ne dava notizia il Patetta nel 1922, asserendo di conservarlo in proprio possesso insieme con altri documenti riguardanti il Cerri.
Nonostante il titolo in latino, il Memoriale è redatto quasi completamente in volgare: privo di qualsiasi interesse letterario, a detta del Patetta e a giudicare dai brevi estratti che questi ne dava, esso ha però un notevole interesse quale testimonianza di costume. Il C. partì da Roma alla volta di Venezia, dove contava di imbarcarsi per l'Oriente, in compagnia di un conterraneo, "il Magnifico signor Carlo Grosso di Riva apresso Cuneo". Le modalità dell'imbarco dei pellegrini, illustrate dal viaggiatore piemontese, sono quelle tipiche di simili viaggi: attesa di un congruo numero di pellegrini che permettesse il noleggio di una nave (se ne raccolsero una cinquantina), laboriose trattative con il capitano della nave veneziana, cerimonie pubbliche disposte per solennizzare la pia circostanza dal doge Andrea Gritti, incidenti vari, tra i quali un accoltellamento nella chiesa di S. Marco, "in modo che cessoron li divini officii per quel giorno in epsa". Finalmente, munito di specchi, sapone, guanti, calze, stivali, di una mapa mundi e di una Descriptio Terrae sanctae, nonché di vari libri di devozione, con i suoi compagni, che erano a quanto pare in prevalenza non italiani, ma tedeschi e fiamminghi, il C. iniziò il suo pellegrinaggio, fortunoso per l'esosità dei marinai veneziani e delle autorità cristiane e poi turche, per la pari minaccia delle navi corsare del Barbarossa o di quelle del "capitano Molica ciciliano, generale corsaro", per le difficoltà stesse della navigazione e degli itinerari terrestri (i pellegrini in circa quattro mesi di navigazione si portarono dapprima per nave da Venezia a Candia, poi, con una nuova imbarcazione, sino a Giaffa, di qui a cavallo sino a Gerusalemme; fecero ritorno attraverso Gaza, Giaffa, quindi per nave a Durazzo, Parenzo e finalmente Venezia). Il C. si mostra particolarmente interessato alle notizie dell'agricoltura delle regioni attraversate o costeggiate via mare, delle loro difese militari e della loro storia religiosa.
La personalità del viaggiatore piemontese, quale risulta dalle pagine del Memoriale, appare piuttosto incolore: la sua cultura non doveva andare molto al di là del Guerrin Meschino, del Mambriano del Cieco da Ferrara e della Divina Commedia, le fonti ricorrenti della sua non spropositata erudizione. In ogni caso le indicazioni autobiografiche scarseggiano in questo breve libro di appunti, che si conclude con la relazione di un rapido viaggio a Ravenna, "ove sonno molte chiese antichissime, et sepolture, et molte altre cose vecchie": tra le quali il C. mostra di prediligere il sepolcro di Dante.
Fatto ritorno a Roma, per cinque anni si perdono le tracce del Cerri. Lo si ritrova a Torino nel 1541, dove, avendo abbandonato l'abito ecclesiastico, era entrato al servizio dei Francesi, che governavano provvisoriamente il ducato sabaudo, nell'ufficio di segretario della Camera regia computorum.
Con tale qualifica egli infatti firmava un documento del 14 dicembre di quell'anno, col quale la novarese Giacoma Maria Rozate, figlia di Angelo, che era stato controllore della Camera del ducato di Milano durante l'occupazione francese di questo, e di Veronica Ferrero, dei signori di Gaglianico, veniva istituita dal padre erede universale. Questo documento probabilmente venne redatto in vista delle nozze del C. con Giacoma Maria, che in effetti dovettero avvenire di lì a poco, non oltre comunque il 1546. Da questo matrimonio nacque una figlia, Semidea.
Passato al servizio di Carlo II di Savoia, il C. ricoprì la carica di segretario ducale: il documento dell'ottobre 1545, che gli attribuiva l'incarico, stabiliva tuttavia che egli poteva esercitare tale ufficio e riceverne il relativo soldo soltanto in assenza del titolare di esso, il segretario Giovanni Antonio Marrucco.
Non è nota la data della morte.
Bibl.: F. Patetta, Il viaggiatore torinese F. C. e la sua descrizione del sepolcro di Dante, in Giorn. stor. d. lett. ital., LXXX (1922), pp. 133-144.