FACCIO, Francesco Antonio, detto Franco
Nacque a Verona l'8 marzo 1840 da Giovanni, albergatore, comproprietario dell'albergo Riva S. Lorenzo di Verona, e da Teresa Carezzato. Ferventi cattolici, i genitori desideravano avviare il figlio alla vita sacerdotale, ma le spiccate attitudini musicali di questo indussero la famiglia ad affidarlo all'organista della chiesa di S. Lorenzo con cui studiò teoria musicale e pianoforte. Dopo esser stato allievo di G. Costalunga, il 31 ott. 1855 entrò nel conservatorio di Milano, dove ebbe a maestro S. Ronchetti Monteviti e compagno di studi Arrigo Boito, al quale rimarrà legato da una salda e sincera amicizia.
A questi anni risale la composizione di due opere mai rappresentate, Il fornaretto del 1857 e Ines de Castro del 1859. L'8 sett. 1860, in collaborazione con A. Boito, presentò al saggio di composizione la cantata Il quattro giugno che riscosse successo per l'originalità della forma e la ricchezza della strumentazione; e i consensi si rinnovarono il 4 sett. 1861 per il mistero Le sorelle d'Italia con cui concluse il corso di studi. Conseguito il diploma nello stesso anno insieme col Boito, ottenne al pari di Boito un sussidio ministeriale di 2.000 lire: i due poterono così recarsi a Parigi per perfezionare gli studi e ampliare gli orizzonti culturali. Giunti nella capitale francese con varie lettere di raccomandazione per Verdi e per Rossini - che accolse il F. nella sua casa della chaussée d'Antin -entrarono in contatto con H. Berlioz, Ch. Gounod e furono introdotti negli ambienti artistici più vivaci e stimolanti della città.
Nello stesso anno il F. fece ritorno in Italia e si stabilì a Milano, dove entrò in contatto con Giulio Ricordi, che si impegnò a pubblicare i suoi primi lavori e che favorì il suo esordio al teatro alla Scala con l'opera I profughi fiamminghi, su libretto di Emilio Praga, andata in scena l'11 nov. 1863 sotto la direzione di A. Mazzuccato, avendo quale protagonista A. Cotogni.
L'opera, con cui il F., nel tentativo di emanciparsi dalle convenzioni più stereotipate del teatro musicale, aveva cercato di realizzare una sua concezione unitaria del dramma, ottenne soltanto un successo di stima. Il F. dimostrava comunque di aderire alla nuova estetica proposta dalla scapigliatura, rappresentata oltre che dal Boito, da E. Praga, E. Fano, F. Filippi, P. Ferrari, P. Fambri e L. Fortis.
L'opera fu considerata come una sorta di manifesto della nuova concezione del dramma e il F. venne visto come l'esponente di primo piano della nuova corrente e dell'opposizione antiverdiana. Fu soprattutto Boito a trascinarlo in una polemica che coinvolse il F. suo malgrado, identificandolo nel protagonista della infelice ode saffica (pubblicata nel Museo di famiglia del 22 nov. 1863, pp. 25-34), colui che "sovra l'altare rizzerà l'arte verecondo e puro. Su quell'altar bruttato come un muro di lupanare". Verdi, che tra l'altro aveva preso sotto la sua protezione il F., presentatogli dalla contessa Clara Maffei, e che si era espresso in termini benevoli nei confronti del lavoro, si risentì dell'offesa e interruppe i suoi rapporti col Faccio. Inoltre Boito, in un articolo apparso il 13 sett. 1863 su La Perseveranza, presentò il F. come restauratore della musica italiana e si scagliò contro gli operisti che, arroccati nelle loro posizioni, non avvertivano la necessità di rinnovare il proprio linguaggio e di pervenire alla totale obliterazione della formula e alla conquista della forma, volta alla perfetta incarnazione del dramma concepito quale fusione totale tra musica e poesia.
Frattanto il F. proseguiva nella sua attività di compositore e il 30 maggio 1865 faceva rappresentare al teatro Carlo Felice di Genova l'opera Amleto, ancora su libretto del Boito.
Il lavoro, diretto da A. Mariani e interpretato da M. Tiberini e A. Cotogni, ottenne un buon successo anche se non mancarono le polemiche rivolte alle innovazioni da lui proposte.
Intanto, nello stesso anno, a F. M. Piave, che aveva fatto domanda per ottenere la cattedra di letteratura poetica e drammatica al conservatorio milanese, veniva preferito M. Praga e ciò inasprì ulteriormente la polemica e l'ostilità nei confronti degli "scapigliati" anche da parte di Verdi, che non aveva dimenticato l'affronto subito.
Nel 1866 il F. si arruolò tra i garibaldini insieme con Boito, E. Praga, A. G. Barrili e molti altri della cosiddetta "brigata del conservatorio", come l'aveva definita A. Ghislanzoni (Graziosi). Al termine della campagna, il F. fece ritorno a Milano e riprese a frequentare assiduamente il salotto della contessa Maffei, che aveva preso sotto la sua protezione la sorella Chiarina, allieva di canto nel conservatorio; nello stesso anno fu scritturato per la stagione di carnevale al teatro La Fenice di Venezia, ove diresse Un ballo in maschera di Verdi; subito dopo l'impresario A. Lorini lo ingaggiò quale direttore dell'opera italiana al Victoria Theater di Berlino.
Qui nel dicembre 1867 diresse opere di Verdi (Trovatore, Ernani, Rigoletto, Un ballo in maschera), Donizetti (Don Pasquale) e Rossini (Il barbiere di Siviglia), facendosi apprezzare per le straordinarie qualità direttoriali che si sarebbero rivelate clamorosamente di lì a breve tempo, collocandolo nella schiera dei più grandi direttori dell'ultimo Ottocento.
A Berlino era tra l'altro venuto a contatto con R. Wagner e poté assistere alla rappresentazione del Lohengrin e del Tannhäuser, che destarono in lui una profonda impressione. Dopo una breve tournée a Copenaghen, tornò a Milano e alla fine del 1867 ancora con il Lorini fu in Svezia, Norvegia e Danimarca, ove diresse opere di Verdi e Donizetti. Nel 1868 Giulio Ricordi gli affidò la stagione al teatro Carcano in sostituzione di A. Mazzuccato; qui, oltre ad opere di repertorio, diresse Dinorah di G. Meyerbeer e Zampa di F. Herold, riesumato con i recitativi originali. Nello stesso anno vinse la cattedra di armonia nel conservatorio milanese, superando numerosi concorrenti tra cui A. Ponchielli. L'anno seguente fu nominato sostituto di A. Terziani al teatro alla Scala, ma non volle rinunciare alla composizione e, riavvicinatosi a Verdi, fu da questo sostenuto nel tentativo - peraltro fallito - di ottenere attraverso Camille du Locle i diritti per musicare Patrie di V. Sardou. Nel 1869, ormai noto come abile direttore, il F. fu chiamato da Alcibiade Gerardi, direttore del teatro Grande di Brescia, a dirigere le stagioni della Fiera ove si presentò in pubblico con Dinorah di Meyerbeer, Don Giovanni di Mozart (1870), Roberto il diavolo ancora di Meyerbeer e L'ebrea di J. F. Halévy, partecipando inoltre all'attività della neonata Società dei concerti (1871). Le stagioni proseguirono negli anni successivi, dal trionfale esito de La forza del destino di Verdi (1872) sino al fiasco clamoroso del Mefistofele di Boito (10 ag. 1878), rappresentato alla presenza di Umberto e Margherita di Savoia.
Il disastroso insuccesso riportato dall'Amleto nella rappresentazione scaligera del 9 febbr. 1871 indusse il F. a rinunciare per sempre alla carriera di compositore, sebbene il Boito tentasse di farlo desistere dalla sua decisione.
A mitigare l'amarezza della delusione subita sopraggiunse nello stesso anno la nomina a direttore e concertatore dell'orchestra scaligera quale successore del Terziani dimissionario. Nell'aprile il F. affrontò brillantemente il pubblico milanese con un concerto alla Società del quartetto in cui diresse in prima esecuzione il preludio del Lohengrin di Wagner, quindi trionfò alla Scala nella prima rappresentazione italiana dell'Aida (8 febbr. 1872), riscuotendo l'ammirazione di Verdi e i riconoscimenti unanimi del pubblico e della critica. L'opera fu poi ripetuta a Parma e a Padova con rinnovato successo; quindi il F., ormai considerato erede diretto di A. Mariani e godendo della completa stima di Verdi, diresse a Brescia La forza del destino. Subito dopo, su incarico di Ricordi e dello stesso compositore, si recò a Vienna per allestirvi una rappresentazione dell'Aida: ma l'iniziativa non andò in porto per difficoltà sorte con la direzione del teatro.
Frattanto, da tempo interessato al teatro wagneriano, diresse la prima italiana del Lohengrin alla Scala (20 marzo 1873), che tuttavia fu accolta sfavorevolmente dal pubblico milanese. Considerato il primo direttore italiano, a partire dal 1872, oltre al Macbeth di Verdi, diresse alla Scala opere di numerosi compositori spesso in prima rappresentazione italiana, tra cui Der Freischütz di C. M. von Weber, in cui al parlato sostituì i recitativi da lui stesso composti, Fosca di C. Gomes, I Lituani, Gioconda, Il figliol prodigo, Marion Delorme di A. Ponchielli, Gustavo Wasa di F. Marchetti, Viola Pisani di E. Perelli, La contessa di Mons di L. Rossi, La Lega di G. M. Josse, le prime italiane di Cinq-Mars di Ch. Gounod, Carlo VI di J. F. Halévy e Mattia Corvino di C. Pinsuti, Creola di G. Coronaro (Bologna 1878), Bianca da Cervia di A. Smareglia, Dejanice ed Edinea di A. Catalani, Salambò di N. Massa, Nestorio di G. Gallignani, Le Villi ed Edgar di G. Puccini e Hérodiade di J. Massenet. Il 26 e il 27 maggio 1874 diresse con successo la Messa di requiem di Verdi alla Scala che portò prima in varie città italiane e poi nel 1875, suincarico dello stesso Verdi, a Vienna, ove, per il temperamento appassionato ed esuberante, venne definito "der kleine itanienische Teufel" (Graziosi). Si dedicò contemporaneamente anche al repertorio sinfonico e trionfò anche in questa veste in varie città italiane. Nel 1878 si recò a Parigi per l'Esposizione universale con l'orchestra della Scala e nel palazzo del Trocadero diresse soprattutto composizioni di musicisti italiani tra cui: Boccherini, Cimarosa, Rossini, Donizetti, Verdi, Foroni, Bazzini, Coronaro, Bottesini, Ponchielli, Mazzuccato, Catalani, Smareglia e sue proprie, contribuendo così anche alla diffusione della produzione della giovane scuola italiana. Tornato in Italia, diresse per la Società del quartetto la IX Sinfonia di Beethoven (1878) e, dopo una serie di concerti a Bologna e Ravenna, consolidò la sua fama anche all'estero e contribuì al successo del Mefistofele di Boito che, caduto clamorosamente alla Scala il 5marzo 1868, fu da lui diretto trionfalmente a Venezia (13 maggio 1876), Trieste, Verona e Brescia, quindi nel 1880a Barcellona, sino alla totale rivalutazione scaligera del 5 maggio 1881.
Il 24 maggio 1881 diresse alla Scala il Simon Boccanegra di Verdi modificato nel libretto da Boito e con l'aggiunta di nuovi pezzi. Fondatore e direttore artistico della Società orchestrale della Scala fin dal 1879, si esibì oltre che in Italia a Zurigo (1882) e nel 1884 fu tra i protagonisti delle manifestazioni all'Esposizione generale italiana di Torino, ove riorganizzò l'orchestra dei concerti popolari. Nominato direttore dell'orchestra sinfonica, compose per l'occasione una cantata per coro, orchestra e banda su testo di E. A. Berta (Milano, Ricordi, 1884, spartito per canto e pianoforte). Sempre nel 1884 al teatro Regio di Torino diresse La favorita di Donizetti e I puritani di Bellini e presentò nei concerti sinfonici composizioni di Wagner, Liszt, Beethoven accanto a lavori di autori contemporanei come G. Sgambati, G. Martucci, R. Strauss, E. Chabrier e le proprie. L'attività concertistica proseguita fino al 1890 lo portò, oltre che nelle maggiori città italiane, a Parigi, Zurigo e Madrid; tra l'altro nel novembre 1883 inaugurò a Parigi il risorto Théâtre des Italiens con il Simon Boccanegra, seguito nel 1884 dal Don Carlos. Il 25 marzo 1886 diresse la prima esecuzione italiana de Ipescatori di perle di G. Bizet al teatro alla Scala. Nel 1887 fu al centro di una polemica con A. Franchetti che, dissuaso dal Ricordi e dallo stesso F. a dirigere la sua ultima opera Asrael, accettò poi di affidare la sua ultima fatica al direttore veronese che la portò al successo. Frattanto in questo periodo cominciarono a manifestarsi i primi sintomi della malattia mentale che lo avrebbe portato a morire precocemente.
Gli ultimi anni di carriera furono particolarmente intensi e impegnativi e furono segnati soprattutto dalla prima rappresentazione dell'Otello di Verdi diretto alla Scala il 5 febbr. 1887, interpretato dalla Pantaleoni e da F. Tamagno sotto la costante supervisione del compositore; l'opera, andata in scena dopo una preparazione massacrante, fu per il F. un ulteriore successo, replicato poi a Roma e al Lyric Theatre di Londra con la compagnia scaligera. Sempre nello stesso anno con G. Ricordi e G. Puccini si recò a Bayreuth per assistere ai Meistersinger di Wagner allo scopo di concertarne la messa in scena in previsione di una rappresentazione scaligera. Questa ebbe luogo il 26 dic. 1888 dopo una sfibrante preparazione coronata da un immenso successo, che segnò anche la definitiva affermazione di Wagner presso il pubblico milanese.
Alla seconda replica del capolavoro wagneriano il F. si sentì male e dovette essere sostituito da G. Coronaro; i segni di squilibrio psichico che si erano già manifestati nell'87 e si erano riacutizzati durante il viaggio a Bayreuth tornarono a manifestarsi in tutta la loro gravità anche per il peggiorare dei suoi rapporti con la Scala, deteriorati dopo lo scontro con il Franchetti. Perciò quando il sindaco di Roma, A. Torlonia gli offrì la nomina a direttore stabile del teatro Apollo per dieci anni il F. l'accettò immediatamente, per rifiutarla subito dopo non essendo disposto ad abbandonare Milano. Tornò a dirigere ancora alla Scala una rappresentazione del Simon Boccanegra e fu questa la sua ultima apparizione in pubblico. Ormai incapace di proseguire l'attività direttoriale, gli venne in aiuto l'amico Boito, che in una accorata lettera a Verdi del 22 ag. 1889 si adoperò perché intercedesse per fargli ottenere la direzione del conservatorio di Parma. Il F. poté però assumere l'incarico solo nominalmente: di fatto fu il Boito a sostituirlo. Dopo un apparente miglioramento, la malattia tornò ad aggravarsi e il F. fu portato a Graz ed affidato alle cure del famoso psichiatra R. Kraft Ebing, che lo dichiarò incurabile; tornato a Milano, fu ricoverato nella Villa dei Boschetti di Monza e assistito amorevolmente da R. Pantaleoni, che per stargli vicino rinunciò ad ogni scrittura. Nella clinica psichiatrica ove trascorse l'ultimo periodo della sua vita, per ironia del destino, era ricoverato anche il padre del F., da anni demente e che il direttore non fu in grado di riconoscere. La morte sopraggiunse per paralisi cerebrale il 21 luglio 1891, forse causata da una infezione d'origine luetica non dissimile da quella che aveva colpito G. Donizetti, L. Ricci e H. Wolf.
Della sua attività di compositore, oltre alle opere citate, si ricordano: Cantata d'inaugurazione, testo di E. A. Berta, per voci e orchestra, composta per l'inaugurazione dell'Esposizione di Torino, 1884 (ms. autografo, Milano, Archivio stor. Ricordi); liriche per voce e pianoforte: Gondoliere veneziano (1862); Sotto il salice piangente (1862); L'ultima ora di Venezia, (1863); album melodico: Ad un bambino, Il destino, Mezzanotte, I re magi (1868 circa); cinque canzonette veneziane: El dubio, Ma bada!, La nana, El tropo xe tropo, La gelosia (1869 circa); Vado di notte (1870); Tecla, notturno a due voci (1873); La pescatrice (testo di H. Heine), notturno (1875). Non databili ma composte dopo il 1875 ed edite presso Ricordi: Rispetti toscani; cinque romanze su testo di P. Ferrari; Ad una rondine e altri pezzi a una e più voci; musica strumentale: tre sinfonie, di cui una in fa maggiore arrangiata per pianoforte a 4 mani; Scherzo in re maggiore, arrangiato per pianoforte a 4 mani; Scherzo in re maggiore, arrangiato per pianoforte a 4 mani (1884); interludi sinfonici per la Maria Antonietta di Giacometti (s.d.); Contemplazione, preludio. Musica da camera: preludio per arpa (186-364); quartetto per archi in sol maggiore (1884); Sul Baltico, due melodie per violino e pianoforte (1869-70).
Personaggio di rilievo nel panorama della scapigliatura milanese, sin dagli esordi rivelò una personalità spiccata che, anche sotto l'influsso di Boito, lo spinse a farsi vessillifero del rinnovamento musicale che avrebbe dovuto ricondurre l'Italia sulla strada della cultura europea sottraendola al provincialismo in cui era caduta. Accusato dalla stampa più conservatrice di dissacrare la tradizione operistica italiana, assecondò una sorta di sperimentalismo che, sotto l'influsso dell'estetica wagneriana, veniva a sconvolgere l'equilibrio delle arti che erano così sottratte ai loro specifici confini espressivi. Si aggiungeva a questo iniziale atteggiamento di iconoclasta esasperato un modus vivendi da bohémien che, come del resto i suoi compagni di fede, lo spingeva a scagliarsi senza esitazione contro ogni ordine prestabilito e destava nel mondo culturale una sostanziale diffidenza verso iniziative innovative spesso suggerite da motivazioni tutto sommato giustificate. Il F., tuttavia, musicalmente più preparato e in definitiva più moderato del Boito, non portò avanti la polemica essendosi reso conto che la carriera d'operista non faceva per lui e preferì dedicarsi a quella direttoriale in cui diede prova di avere molte frecce al suo arco e di esprimere più compiutamente il suo straordinario talento musicale. Se la sua produzione operistica va collocata nell'ambito della tradizione tardo-romantica di stampo verdiano e meyerbeeriano, peraltro caratterizzata da accentuate tendenze sinfoniche di carattere coloristico, come - direttore d'orchestra fu personalità di primo piano nel rinnovato clima culturale dell'Italia dell'ultimo Ottocento. Poté infatti assistere alla meravigliosa evoluzione del teatro verdiano, alla diffusione in Italia del teatro wagneriano, cui contribuì attivamente, e soprattutto alla trasformazione e al miglioramento delle orchestre italiane che gli consentirono di promuovere un concertismo sinfonico di particolare impegno, sino ad allora pressoché sconosciuto in Italia; non a caso per la prima volta in Italia diresse per la Società del quartetto la IX Sinfonia di Beethoven (1878). Il prestigio di cui godeva gli permise di contribuire alla diffusione dell'opera italiana all'estero e in particolare alla notorietà della Scala. Direttore energico ed esigente, fu guidato da un istinto straordinario che gli consentì sempre di concertare al meglio le opere da lui dirette; rigoroso nella scelta dei cantanti e dei diretti collaboratori, che non esitava a protestare, curò sempre con estremo impegno tutti i particolari dell'allestimento scenico, sorretto come fu da un innato senso dello spettacolo. Dotato d'una memoria prodigiosa, fu particolarmente versatile ed ebbe un repertorio vastissimo in cui trovarono posto lavori di giovani compositori che si giovarono del suo incoraggiamento e del suo aiuto, come A. Smareglia, G. Coronaro, Puccini, Catalani e tanti altri.
Sulla sua personalità di direttore rimane un eloquente giudizio di M. Battistini, che così si espresse dopo una rappresentazione del Lohengrin alla Scala nel 1888: "Era energico, severo, ma non terrorista. Oltremodo preciso, ma non sino alla pedanteria. Esercitava un dominio assoluto sull'orchestra, sugli artisti e sul pubblico" (De Rensis). Con G. Ricordi riuscì a convincere Verdi a uscire dal suo isolamento e a musicare l'Otello, che diresse in prima rappresentazione assoluta e rimase l'avvenimento più importante della sua carriera artistica.
La sorella Chiarina, nata a Verona il 15 giugno 1846, dopo essere stata allieva del conservatorio di Milano, esordì come soprano al teatro Comunale di Trieste nel ruolo del paggio nel Conte Ory di G. Rossini nella stagione di carnevale 1869-70 e apparve poi ne La figlia del reggimento di Donizetti; il 10 marzo 1870, sempre a Trieste, partecipò alla prima rappresentazione italiana di Mignon di A. Thomas, ruolo in cui riscosse grandi consensi e il grato riconoscimento del compositore che in una lettera del 25 marzo si congratulò per la splendida interpretazione (Schmidl). Tuttavia, nonostante il lusinghiero esordio, dopo il matrimonio con Pietro Fabrici, abbandonò la carriera e si ritirò a vita privata.
Chiarina morì a Trieste il 23 apr. 1923.
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