SPADA, Fabrizio
– Nacque a Roma il 17 marzo 1643, da Orazio e da Maria Veralli.
Fabrizio non poteva venire al mondo in famiglia migliore. Il nonno paterno, originario di Brisighella, aveva fatto fortuna attraverso l’appalto di una serie di uffici finanziari culminati con la Tesoreria di Romagna. Il prozio paterno Bernardino, cardinale dal 1626, era una delle figure eminenti della Curia romana. Il padre Orazio era stato destinato a dare origine al ramo romano della famiglia sposando una ragazza proveniente da un’illustre famiglia locale. La madre Maria aveva portato in dote, oltre a una cospicua somma di denaro, anche altre due preziose risorse: il feudo di Castel Viscardo, che avrebbe consentito al marito di ricevere l’investitura feudale e il titolo di marchese, e l’appartenenza a una famiglia da cui erano usciti almeno due cardinali.
Se il padrino di battesimo del piccolo Spada era stato il prozio paterno Bernardino, il nome che fu scelto per lui si rifaceva palesemente al prozio materno Fabrizio Veralli e prefigurava fin dall’inizio quella che doveva essere la sua carriera. Per prepararsi a questa a 17 anni il ragazzo fu mandato ad addottorarsi in legge civile e canonica presso lo studio di Perugia dove conseguì i gradi nel 1664. È a questo periodo che risale l’inizio della fitta corrispondenza con suo padre, che sarebbe continuata negli anni successivi.
Tornato a Roma e superato con successo il ‘processo’ per ottenere il titolo di referendario delle due Segnature – prima tappa per l’ingresso in prelatura e l’accesso alla carriera di Curia – cominciò ad attivarsi per ottenere qualche carica, sostenuto in questo dalla mobilitazione di tutta la famiglia, compresi i parenti di secondo grado come monsignor Bernardino Rocci, in quel momento prefetto del palazzo apostolico. Nel 1669 lo stesso Rocci lo ordinò sacerdote e alla fine del 1672 Spada ottenne finalmente il primo incarico con la nunziatura di Savoia. Contemporaneamente fu ordinato vescovo di Patrasso. A Torino rimase comunque per un periodo piuttosto breve perché all’inizio del 1674 fu promosso alla nunziatura di Francia.
Per Parigi il nunzio partiva con un plico di istruzioni pubbliche, provenienti dalla segreteria di Stato e dalle memorie dei nunzi precedenti. Le questioni più suscettibili di creare tensioni tra il re di Francia e la S. Sede, e soprattutto di pregiudicare le prerogative di quest’ultima, erano in quel momento la controversia sull’unificazione di alcuni ordini religiosi e luoghi pii, con conseguente requisizione da parte della Corona di diverse loro proprietà non più utilizzate, e quella sulla trasformazione delle regole sulla corrispondenza tra la Francia e gli Stati del papa, recentemente imposta da Jean-Baptiste Colbert con la creazione di un apposito ufficio venale. A queste si aggiungeva la richiesta di concedere al re una pensione perpetua sui benefici ecclesiastici di nomina regia.
Anche il padre aveva raccolto per lui un insieme di istruzioni, che andavano da un elenco di nomi di persone che potevano considerarsi vicine alla S. Sede a una serie di consigli dettagliati sul modo di affrontare il cerimoniale delle visite e dei titoli con i quali rivolgersi ai propri interlocutori. Il padre inoltre si impegnava a tenerlo costantemente informato sugli umori e i desideri dei ‘padroni’ e per il giovane nunzio questo sarebbe stato sicuramente assai utile «perché le istruzioni mandatemi non servono che per una succinta informatione del passato ma non per regola del futuro» (Ago, 1990, p. 113). Sulle materie oggetto di disaccordo entrambe le istruzioni, sia quelle pubbliche sia quelle segrete e private, raccomandavano la prudenza se non addirittura la reticenza. Il nunzio era infatti invitato a non rispondere alle richieste che la S. Sede considerava irricevibili, evitando il più possibile di farsi trascinare nel discorso e, qualora non fosse riuscito a sottrarsi, sostenendo che non erano materie di sua competenza.
Ulteriori problemi nascevano dalle pressioni sempre più insistenti, soprattutto da parte di Luigi XIV, di procedere alla nomina dei cardinali ‘nazionali’ proposti dalle Corone. La questione divenne particolarmente spinosa nell’estate del 1674 quando il neoeletto re di Polonia Giovanni Sobieski indicò come suo candidato il vescovo di Marsiglia Toussaint de Forbin-Janson. Per varie ragioni, e in particolare per non creare malcontento presso le corti di Vienna e di Madrid, Clemente X decise di eludere la questione e il cardinale Paluzzo Altieri raccomandò al nunzio Spada di fare altrettanto. Questa tattica dilatoria non impedì però a Luigi XIV di alzare il tiro e di cercare di strappare la promessa di una promozione dei candidati di tutte e quattro le Corone cattoliche – Francia, Spagna, Impero e Polonia – nel prossimo concistoro. Ai fratelli François-Hannibal e César d’Estrées – rispettivamente ambasciatore e cardinale protettore della Francia – si associarono prontamente i cardinali spagnolo Johann Eberhart Nithard e imperiale Friedrich von Hesse, seguiti da quello di Venezia. Le insistenze dei d’Estrées a Roma furono accompagnate da pressioni altrettanto forti su Spada a Parigi.
Nel bel mezzo di queste schermaglie il cardinale Altieri, a Roma, decise di abolire le franchigie doganali di cui godevano gli ambasciatori stranieri, suscitando una loro vibrata protesta e reiterati tentativi di scavalcare il cardinal nepote per rivolgersi direttamente al papa. E fu proprio in questo clima di crescente tensione che prese forma la fortuna di Spada. Per uscire dall’angolo in cui i sovrani cercavano di chiuderlo il papa si decise a procedere alle nomine che dovevano colmare i posti vacanti nel collegio cardinalizio, ma invece di promuovere i candidati delle Corone nominò i tre nunzi in Spagna, Francia e presso l’imperatore. Il 27 maggio 1675 Clemente X creò dunque Spada cardinale conferendogli poi il titolo di S. Callisto. «La promozione fu inaspettata e non creduta» (Ago, 1990, p. 101), scrisse suo padre qualche anno dopo, e in effetti Fabrizio aveva solo 32 anni e una lunga carriera ancora davanti.
Il primo incarico di rilievo di questa seconda fase della sua vita fu la Legazione di Urbino, alla quale fu nominato nel 1681 e dove rimase fino al 1688, quando fu richiamato a Roma come camerlengo del Sacro Collegio. Ma il culmine della sua carriera politica fu toccato nel 1691, quando Innocenzo XII lo nominò segretario di Stato. Fino allora la figura del segretario di Stato era stata abitualmente messa in ombra dall’ingombrante presenza del cardinal nepote. Un primo rafforzamento della carica si era avuto con la nomina di Fabio Chigi nel 1651, quando essa era diventata un effettivo punto di riferimento per la Curia. Il processo si era poi arrestato, per ragioni diverse, sotto i successivi pontificati ma nel 1692 la bolla contro il nepotismo, emanata da Innocenzo XII, ridefinì i ruoli dell’ufficio, conferendo a Spada un potere decisamente superiore a quello dei suoi predecessori. Non stupisce quindi che l’ambasciatore veneziano Domenico Contarini scrivesse che «la maggiore aspettatione è stata di vedere in chi dovesse cadere la carica di Segretario di Stato» (Relazioni..., 1879, p. 436; Menniti Ippolito, 1999, p. 53).
Entrando più nei dettagli Contarini spiegava che Spada «Diede principio alla sua fortuna sotto il pontificato di Clemente X, Altieri; mentre per la parentela che tiene con quella casa fu dal cardinale nipote mandato noncio in Savoia e poco dopo in Francia, ottenendo in breve corso d’anno il cardinalato. In questa congiuntura il cardinal Altieri suddetto li procurò et ottenne con facilità il posto di secretario di stato con fine d’havere un confidente appresso il Papa. Gode il concetto di animo moderato e di costumi, composto, facile et alla mano, di cuore sincero et ingenuo […] suole soddisfare ogn’uno con espressioni e cortesie, non riscaldandosi gran cosa in particolare per alcuno» (Relazioni..., 1879, p. 440).
La prima spinosa questione che il nuovo segretario di Stato dovette affrontare fu quella del droit de régale, cioè del diritto del re di supplire all’assenza del vescovo nella nomina ai benefici ecclesiastici che non avessero cura d’anime, che Luigi XIV aveva esteso anche alle regioni a sud della Loira, dove fino a quel momento non era stato in vigore. Strettamente connesso a questo era il problema del rifiuto da parte di Innocenzo XI di concedere le bolle di istituzione canonica ai vescovi che avessero sottoscritto i quattro articoli del clero gallicano e della quarantina di diocesi francesi che di conseguenza erano rimaste vacanti (Blet, 1994, pp. 337 s.). Nel clima più disteso del nuovo pontificato, di cui si era avuto un segnale con la nomina a segretario di Stato dell’ex nunzio in Francia Fabrizio Spada, e nonostante le resistenze di una parte della Curia, fu possibile trovare un compromesso, con «gioia singolare» (Blet, 1994, p. 340) di Spada stesso che si era molto adoperato per raggiungerlo. Alla fine del 1692 il papa aveva già provveduto a 28 diocesi vacanti (p. 343). Anche l’emanazione dell’editto del 1695 sulla giurisdizione ecclesiastica, che estendeva il controllo dei vescovi a tutti i religiosi, abolendo esenzioni e privilegi, non fu osteggiata da Spada nonostante l’aperta avversione dei cardinali filoasburgici e di alcuni ‘zelanti’.
Più tese furono le relazioni con Leopoldo d’Asburgo, sia a causa delle reiterate provocazioni del suo ambasciatore Georg Adam von Martinitz per ottenere la precedenza sul governatore di Roma, sia soprattutto per la questione dei feudi imperiali in territorio pontificio. Facendo affiggere, nell’aprile del 1697, a fianco al portone del suo palazzo romano, l’editto con il quale si ingiungeva ai detentori di feudi dell’Impero di far riconoscere al più presto i propri titoli e ricevere nuova investitura, l’ambasciatore e, dietro di lui, l’imperatore, violavano pesantemente i diritti giurisdizionali del pontefice e le autorità romane non potevano non reagire. La soavità di modi che aveva caratterizzato le relazioni di Spada con la Francia venne qui accantonata e forti e reiterate furono le pressioni sul nunzio a Vienna perché manifestasse a Leopoldo d’Asburgo la ferma opposizione della corte di Roma. «Chi è vestito in quest’habito – dichiarò un po’ melodrammaticamente Spada – è strettamente obligato ancora a difendere jura Petri, e io eseguirò questa parte fino all’ultima goccia di sangue» (Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato - Germania, vol. 219, c. 240r) e invitò più e più volte il nunzio a «dolersi dell’affissione» (c. 251r) dell’editto e a parlare «altamente e con forza» (ibid.) contro di esso e più in generale contro i molti eccessi dell’ambasciatore.
Dopo settimane di trattative l’imperatore prese finalmente le distanze dall’editto, senza però richiamare Martinitz, e l’incidente rientrò: il nunzio fu promosso e il segretario di Stato rimase al suo posto fino alla morte di Innocenzo XII, nel settembre del 1700. Alla fine di quello stesso anno il nuovo papa Clemente XI lo nominò prefetto della Segnatura di giustizia, cui aggiunse nel 1716 la carica di segretario della congregazione del S. Uffizio. Nel frattempo aveva cambiato il titolo cardinalizio in quello di S. Prassede (1708) e da ultimo in quello della diocesi suburbicaria di Palestrina (1710).
Morì a Roma, dopo quarantadue anni di cardinalato, il 15 giugno 1617 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Vallicella, cui la sua famiglia era legata fin dalla prima generazione romana.
Seguendo le orme dei suoi prozii Bernardino e Virgilio, fin dal suo rientro a Roma, nel 1690, Spada affiancò agli impegni politici anche un attivo interessamento al mondo dell’arte, frequentando stabilmente l’Accademia di S. Luca che nel 1695 lo nominò accademico d’onore. Intervenne anche sul palazzo dei Capodiferro, restaurando la galleria esistente e allestendone una nuova, più piccola, adiacente a una biblioteca da lui stesso messa insieme e sistemata. Le sue ‘entrate ecclesiastiche’ non erano particolarmente cospicue, perché ammontavano complessivamente a poco meno di 6500 scudi annui, suddivisi tra una decina di pensioni, quattro abbazie e un priorato. A questa cifra erano da aggiungere le retribuzioni connesse all’esercizio della carica che, nel caso, per esempio, della Segnatura di giustizia, ammontavano a 2000 scudi l’anno (Ago, 1990, p. 136). Inoltre, essendo rendite ecclesiastiche, erano tutte solo vitalizie. Ai suoi eredi egli riuscì nondimeno a lasciare un patrimonio di 92.250 scudi, nonché diversi beni mobili più o meno preziosi, tra cui 350 quadri che andavano ad aggiungersi a quelli acquistati dal cardinal Bernardino. Infine, seguendo l’esempio di tanti altri ecclesiastici di alto rango utilizzò le rendite di una tenuta acquistata per 22.000 scudi per creare un vitalizio a favore del «prelato che vi sarà nella discendenza mascolina della chiara memoria del signor marchese Orazio mio padre» (p. 167).
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato - Francia, voll. 382-384; Segreteria di Stato - Germania, voll. 41-43 e 219; Archivio di Stato di Roma, Spada Veralli, bb. 119, 285, 365, 454, 487, 611, 613, 614, 631-634, 889, 907, 947.
L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della S. Romana Chiesa, VII, Roma 1793, pp. 235 s.; A. Lazzari, Memorie istoriche dei conti, e duchi di Urbino, delle donazioni, investiture e della devoluzione alla Santa Sede, Fermo 1795, p. 339; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, LXVIII, Venezia 1854, pp. 20 s.; Relazioni degli stati europei lette in Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimosettimo, s. 3, Relazioni di Roma, II, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, Venezia 1879, pp. 436-440; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, Roma 1932, 1, pp. 664, 675, 682, 2, pp. 4, 387, 423, 466, 500, 505, XV, Roma 1933, pp. 5, 48, 183, 323; Hierarchia catholica medii aevi, V, a cura di R. Ritzler - F. Sefrin, Padova 1952, p. 9; S. de Dainville-Barbiche, Correspondence du nonce en France F. S. (1674-1675), Rome 1982; R. Ago, Carriere e clientele nella Roma barocca, Roma 1990, passim; P. Blet, Innocent XII et Louis XIV, in Riforme, religione e politica durante il pontificato di Innocenzo XII (1691-1700), Lecce 1994, pp. 335-352; E. Garms Cornides, Scene e attori della rappresentazione imperiale a Roma nell’ultimo Seicento, in La corte di Roma tra Cinque e Seicento “Teatro” della politica europea, a cura di G. Signorotto - M.A. Visceglia, Roma 1998, pp. 509-535; A. Menniti Ippolito, Note sulla Segreteria di Stato come ministero particolare del Pontefice Romano, ibid., pp. 167-188; Id., Il tramonto della Curia nepotista, Roma 1999, passim; A. Karsten, Gepflegtes Mittelmaß. Die interessante Karriere des langweiligen Kardinalstaatssekretärs F. S. (1643-1717), in Jagd nach dem roten Hut. Kardinalskarrieren im barocken Rom, Göttingen 2004, pp. 205-215; M.L. Vicini, Il collezionismo del cardinale F. S. in Palazzo Spada, Roma 2006. Si veda inoltre: http://www.catholic-hierarchy.org/bishop/bspadafa.html (15 settembre 2018).