SERBELLONI, Fabrizio
– Nacque a Milano il 4 novembre 1695 (Milano, Registro della parrocchia di S. Maria alla Passarella), terzo dei sei figli di Giovanni (1665-1732), duca di San Gabrio, e di Maria Giulia Trotti (morta nel 1752). Ebbe i titoli di conte di Castiglione, cosignore di Castelnuovo Belbo e patrizio milanese.
Nel 1710, assieme ai fratelli Gabrio, Giovan Battista e Galeazzo, fu inviato a Roma per compiere gli studi presso il collegio Clementino sotto la direzione del cardinale Bernardino Scotti (Archivio storico civico di Milano, ASCMi, Archivio Sola Busca, carte Serbelloni, cart. 28). Dopo aver ricevuto, il 19 marzo 1714, la prima tonsura clericale e aver conseguito nel 1718 la laurea in utroque iure all’Università di Pavia, ritornò a Roma dove proseguì la carriera ecclesiastica. Durante il papato di Innocenzo XIII fu nominato vicelegato a Ferrara, carica che esercitò dal 1714 al 1725. Ricevette nel frattempo la nomina a prelato domestico (1719) e poi a referendario di entrambe le Segnature (27 agosto 1721). Dal 1728 al 1730 fu inquisitore generale a Malta. Nel 1729 scrisse una supplica all’imperatore affinché gli fosse concesso un beneficio ecclesiastico di nomina regia in patria, in particolare quello di S. Maria Floriana «fondato nella Chiesa de’ Santi Nazaro, e Celso di Milano, di recente vacato per morte di monsignor Lucini». Per motivare la propria richiesta Serbelloni rimarcava la fedeltà all’Impero che aveva caratterizzato la vicenda secolare della sua famiglia e spiegava di essere mosso dalla necessità di «potersi meglio assistere ne’ dispendiosi suoi impieghi, e viaggi, e sollevare il Duca Giovanni Suo Padre nel grave peso di numerosa famiglia» (ibid., cart. 24).
Non ottenne il beneficio richiesto, ma negli anni successivi la sua carriera ecclesiastica ebbe ulteriori sviluppi: tra il 1730 e il 1731 fu protettore di Loreto. Nominato consultore della congregazione dell’Inquisizione, prese gli ordini minori il 22 giugno 1731, il 24 giugno divenne suddiacono e il 29 giugno dello stesso anno diacono. Il 6 agosto 1731 fu nominato arcivescovo di Patrasso e il 9 dicembre divenne assistente al soglio pontificio. Sempre nel 1731 Clemente XII lo inviò nunzio apostolico a Firenze; a partire da questo incarico fu prevalentemente chiamato a mansioni diplomatiche: dal 2 febbraio 1734 fu nunzio apostolico a Colonia e poi in Polonia. Quindi ebbe la nomina più prestigiosa prima del cardinalato: papa Benedetto XIV lo nominò nunzio apostolico a Vienna, dove si trattenne dal 1° maggio 1746 al mese di giugno del 1754.
Durante la nunziatura nella capitale dell’Impero la sua attività diplomatica fu dedicata principalmente all’affare del feudo di Carpegna e a quello dell’Alta Slesia. Nella copiosa corrispondenza intercorsa tra Benedetto XIV e il cardinale Pierre-Paul Guérin de Tencin si fa spesso riferimento al conflitto sorto tra la S. Sede e la corte di Vienna a proposito del feudo imperiale di Carpegna che era stato infeudato nel 1685 da Leopoldo I a Ulderico di Carpegna, principe di Sano (Archivio di Stato di Milano, ASMi, Feudi Imperiali, cartt. 107-111).
In seguito alla morte del conte Francesco di Carpegna, avvenuta nel 1749, era nato un contenzioso in quanto, non avendo il conte eredi maschi legittimi, aveva lasciato in eredità la propria signoria al nipote Antonio Gabrielli, figlio di sua figlia Laura, mentre il feudo di Scavolino era passato al marchese Emilio Orsini de’ Cavalieri. Il plenipotenziario imperiale Carlo Francesco Stampa, basandosi sul sia pur recente legame di quei luoghi con l’Impero, aveva applicato il diritto feudale e considerando devoluto il feudo per la morte del vassallo, aveva fatto occupare i feudi di Carpegna e Scavolino dalle truppe del granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa d’Asburgo e dal 1746 imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.
La posizione che Serbelloni difendeva si basava sulle convenzioni sottoscritte da Clemente XII con Carlo VI nel 1731 in cui, negando legittimità alla tutela imperiale, quelle località erano considerate possedimenti privati su territorio pontificio (Le lettere..., a cura di E. Morelli, I, Roma 1955, p. 314, 25 giugno 1749). Il rifiuto della corte di Vienna di ritirare le truppe causò un conflitto durato molti anni. Benedetto XIV chiese al nunzio Serbelloni di svolgere un’intensa azione diplomatica presso la corte e lo stesso imperatore, come emerge in modo chiaro dalle lettere del papa al cardinale de Tencin, che contengono un’interessante testimonianza sull’ostruzionismo opposto ai tentativi di Serbelloni di parlare della questione in corte imperiale e con l’imperatore stesso. Per ben tre volte infatti, nell’estate del 1749, il nunzio si era visto rinviare l’incontro per discutere l’affare di Carpegna e al quarto appuntamento aveva avuto di fronte il conte di Colloredo che lo aveva trattato con molta alterigia (ibid., II, 1965, pp. 190 s., 20 agosto 1749). Quest’episodio inasprì ulteriormente le relazioni tra Papato e Impero: si trattava di uno degli esiti estremi di quella politica giurisdizionalistica che sin dal 1708 aveva caratterizzato i rapporti tra Vienna e Roma. Se nella primavera del 1750 sembrava possibile una mediazione che avrebbe portato a un ritiro temporaneo delle truppe granducali dalla Carpegna, almeno fino a quando fossero rimasti in vita gli eredi del conte Francesco di Carpegna e Scavolino, in particolare il marchese Emilio Cavalieri suo nipote (ibid., II, p. 266, 22 aprile 1750), ancora in autunno il papa riferiva al cardinale de Tencin che la corte di Vienna trattava «molto male» il nunzio e gli interessi pontifici e che Serbelloni non aveva ottenuto nulla di quanto richiesto. Il nunzio, infatti, aveva avuto molte difficoltà a ottenere incontri con il conte di Colloredo (p. 328, 4 novembre 1750), pure più volte sollecitato, e tutta la questione era stata spostata nelle mani del maresciallo Lothar Josef Königsegg Rothenfels.
Nel frattempo, mentre era ancora a Vienna, in data 26 novembre 1753 Serbelloni fu nominato cardinale prete con il titolo di S. Stefano al Monte Celio che mutò più tardi con quello di S. Maria di Trastevere (ASCMi, Archivio Sola Busca, carte Serbelloni, cart. 24). Finalmente, all’inizio dell’estate del 1754 la questione di Carpegna trovò conclusione: fu emesso l’ordine cesareo che toglieva il sequestro ai feudi e ne conferiva la sovranità alle famiglie Gabrielli e Cavallini di Roma, come richiesto tramite il nunzio dalla corte pontificia (ASMi, Feudi Imperiali, cart. 14, 1754 / Specificazione / De’ Signori Vassalli Maggiori, e dei / Feudatari Minori come pure de’ Feudi / del Sacro Romano Imperio in Italia). L’obiettivo del papa era stato raggiunto e infatti Benedetto XIV, riferendo la notizia, poteva commentare con il cardinale de Tencin che Serbelloni terminava la sua «nunziatura a Vienna con tutta riputazione» (ASCMi, Archivio Sola Busca, carte Serbelloni, cart. 24, 12 giugno 1754).
Ritornato a Roma, il cardinale Serbelloni fu subito inviato a Bologna come legato a latere. Successivamente fu insignito da Benedetto XIV dei vescovati di Albano, Ostia e Velletri. Clemente XIII nel 1763 lo nominò vescovo di Albano, ma egli fu spesso a Roma: nel 1767 Alessandro Verri scriveva a Milano, al fratello Pietro, di essersi spesso incontrato con il cardinale Serbelloni che definiva «un uomo che ha un lato di buon senso e un altro di logica affatto suo, gran parlatore, ma che ha cuore e che con certe piccole attenzioni diventa amicissimo» (Carteggio..., I, Roma 2008).
Gli impegni cui fu chiamato presso la S. Sede non gli impedirono di seguire incessantemente gli affari di famiglia, intervenendo, assieme al fratello maresciallo Giovan Battista, nelle scelte matrimoniali dei nipoti (ASCMi, Archivio Sola Busca, carte Serbelloni, cart. 79, lettere da Roma 29 agosto 1761 e 22 luglio 1767). Nel frattempo proseguì la sua carriera: Pio VI il 18 aprile 1775 lo qualificò del titolo di vescovo di Ostia e Velletri (ibid., cart. 24; Moroni, 1853); fu membro delle congregazioni di Propaganda Fide, dell’Immunità, dei Vescovi e regolari; fu inoltre protettore dell’Ordine agostiniano e degli eremitani della Congregazione del beato Pietro da Pisa.
Fece testamento in data 7 dicembre 1775 presso il notaio Pietro Megliorucci di Roma e nominò suo erede il nipote duca Giovan Gabrio Serbelloni, mentre lasciò l’usufrutto al fratello maresciallo Giovan Battista (ASCMi, Archivio Sola Busca, carte Serbelloni, cart. 24).
Morì a Roma il 7 dicembre 1775 e fu sepolto nella chiesa di S. Carlo al Corso in Roma, lasciando un patrimonio che nel 1780 fu stimato ammontante a lire 175.531 (ASMi, Fondo Serbelloni, s. II, cart. 1).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano (ASMi), Feudi Imperiali, cartt. 107-111; Fondo Serbelloni, II serie, cart. 1; Archivio storico civico di Milano (ASCMi), Archivio Sola Busca, carte Serbelloni, cartt. 24, 28, 79; Milano, Registro della parrocchia di S. Maria alla Passarella; Le lettere di Benedetto XIV al cardinale De Tencin, a cura di E. Morelli, I-III, Roma 1955-1984, I, 1955, p. 314; II, 1965, pp. 11, 25, 83, 94, 170, 174, 179, 190-192, 196, 200, 203, 206 s., 211 s., 217, 231, 254, 260, 266, 271 s., 282 s., 300, 322, 324, 326, 328, 335-337, 339, 343, 405, 408 s., 428; III, 1984, pp. 11, 51, 89, 93 s., 122 s., 143, 146, 149, 152 s., 168, 170, 177, 380; Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, I, Roma 2008, p. 380.
G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, LXIV, Venezia 1853, s.v., p. 173; L. von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, XVI, Roma 1933, parte 1, pp. 423-462.