GUICCIARDI, Fabrizio
Di nobile famiglia reggiana, forse di origini valtellinesi, il G. nacque nel 1662, probabilmente l'8 settembre, a Reggio nell'Emilia, da Orazio e da Laura Bisi. Fu battezzato il 13 dello stesso mese; padrino del G. - in virtù degli stretti legami paterni con gli ambienti di corte - fu il governatore di Reggio Giacomo Boschetti.
Nel giro di pochi anni il padre del G. era riuscito a impiantare, insieme con il cugino Fabrizio, una solida attività imprenditoriale fondata sulla tessitura e il commercio di sete e altri tessuti preziosi. La filanda, situata nel centro della città, esportava a Parigi, Lione, Roma, in Germania e nelle Fiandre.
I frequenti viaggi d'affari compiuti da Orazio avevano finito per renderlo un prezioso e insospettabile collaboratore dei duchi di Modena e Reggio, che usavano affidargli delicate missioni diplomatiche. Egli si guadagnò la stima della duchessa reggente Laura Martinozzi, vedova di Alfonso IV d'Este (il duca Francesco era ancora bambino); Orazio fu dunque nominato consigliere di Stato, gentiluomo di camera e oratore ducale. La sua ascesa gli attirò l'invidia di altre potenti famiglie reggiane, penalizzate dai suoi privilegi. Fu in questo clima che maturò l'assassinio di Orazio, avvenuto la sera del 15 luglio 1665: uscito a tarda ora dal palazzo ducale, cadde nell'agguato di due sicari nei pressi della propria abitazione. Le tempestive indagini individuarono l'esecutore nel bandito Jannella, il quale, sottoposto a tortura, rivelò il mandante, il conte Giovanni Maria Crispi, la cui colpevolezza tuttavia non fu mai provata.
Dopo la morte del padre, l'educazione del G. e di suo fratello Giovanni Orazio (di tre anni più giovane) fu seguita dalla madre, che li affidò a precettori. All'età di dodici anni il G. fu mandato a studiare a Roma in uno dei migliori convitti del tempo, il collegio dei padri somaschi, dove ebbe modo di intrecciare rapporti con giovani patrizi provenienti da tutta la penisola. Terminati gli studi umanistici, il G. rientrò per un breve periodo a Reggio e fu quindi inviato dalla madre in Francia per imparare le arti cavalleresche all'Accademia di Blois. L'educazione del giovane fu infine completata da un grand tour attraverso l'Europa: accompagnato da un precettore, insieme con il fratello visitò l'Italia, la Francia, l'Olanda, l'Inghilterra, la Germania, l'Austria e la Polonia, e fu presentato alle diverse corti; prima di rientrare in patria, si trattenne a lungo in Francia. A Reggio non sarebbe rimasto molto tempo: dopo pochi mesi, infatti, il G. partì di nuovo per la Francia e si arruolò nel reggimento Magalotti, l'unità italiana aggregata all'esercito di Luigi XIV, che combatteva nelle Fiandre contro Guglielmo d'Orange avvalendosi anche di truppe raccolte, oltre che in Italia, in Ungheria e in Irlanda. Il G. ebbe così modo di mettere in mostra le proprie doti, segnalandosi per valore e coraggio in occasione della vittoriosa battaglia di Fleurus del 30 giugno 1690).
Promosso al grado di capitano, il G. tornò a Reggio e di lì a poco, nel 1694, gli morì la madre. Fu poi chiamato a Parma dal duca Francesco Farnese, appena salito al trono, che gli offrì l'incarico di scudiero; da allora il G. prese a parteggiare per l'Impero, allineandosi sulle posizioni dei duchi di Modena e di Parma. Dopo pochi mesi trascorsi alla corte dei Farnese, il G. lasciò nuovamente l'Italia, desideroso di viaggiare in Francia, Olanda e Inghilterra, paesi nei quali incontrò importanti poeti e filosofi.
Alla fine dell'anno rientrò in Italia e pochi giorni dopo, acquistato dal duca di Modena il piccolo feudo di Cervarolo insieme con il fratello Orazio, fu investito del titolo di conte. I due fratelli intendevano così propiziare il proprio ingresso a corte - prerequisito all'avvio di una carriera diplomatica di alto livello -, alleviando allo stesso tempo parte dei carichi fiscali da cui erano oppressi.
Nel medesimo periodo la ricca e pia zia paterna, Giacoma Guicciardi, diseredò il G. a causa delle sue mai celate idee libertine e per la sua aperta avversione nei confronti del vincolo matrimoniale. Il breve soggiorno reggiano del G. terminò nel luglio 1698; nei mesi precedenti aveva partecipato al vivace dibattito negli ambienti intellettuali modenesi sull'ingerenza politica e culturale francese in Italia, schierandosi su posizioni nettamente antifrancesi. Insieme con il fratello Giovanni Orazio, tra l'altro, egli era stato fra i più assidui frequentatori del marchese Gian Giuseppe Felice Orsi e di Ludovico Antonio Muratori.
Nel 1698 il G. lasciò Reggio per assistere al passaggio dello zar Pietro il Grande, atteso in territorio veneto: non ci riuscì, ma si trattenne alcuni mesi in quello Stato, visitò le principali città e soggiornò lungamente a Venezia. Nel maggio del 1700 una missiva del fratello lo invitò a recarsi al più presto a Roma per recuperare crediti che i Guicciardi vantavano presso alcuni nobili romani; il G. giunse a Roma il 26 maggio 1700, nell'anno del giubileo. Al suo arrivo in città era ancora papa Innocenzo XII Pignatelli, anziano e malato; si avvertiva prossima, ormai, l'apertura del conclave e si ordivano intrighi intorno alla successione. Sino ad allora il papa aveva apertamente sostenuto la Francia e assecondato le mire di Luigi XIV sulla corona spagnola: ora la prossima elezione del papa permetteva di riaprire i giochi. Innocenzo XII morì il 27 sett. 1700 e il conclave si aprì l'8 ottobre: il pontificato era conteso tra le fazioni francese e austriaca. Il G., ben inserito nell'alta società romana, entrò in relazione con gli informatori dei duchi di Parma e di Modena. Stese un'acuta e accurata relazione sull'ambiente, lo stile di vita e gli intrighi della corte pontificia, sui candidati alla tiara e sulle più potenti famiglie aristocratiche romane, che ben conosceva e di cui poteva criticare la condotta con piena cognizione di causa. Fra l'altro, il G. era in rapporti amichevoli con il futuro papa, il cardinale Giovanni Francesco Albani, ed era certo che l'ascesa di costui al soglio pontificio avrebbe favorito il duca di Modena nelle sue mai sopite speranze di recuperare i domini devoluti alla S. Sede alla fine del Cinquecento. La morte di Carlo II, re di Spagna, accelerò le cose: con il consenso francese, il 23 nov. 1700 fu eletto Albani, considerato "aderente" dei Farnese, con il nome di Clemente XI. Nella sua relazione - rivolta al fratello ma probabilmente destinata alla corte di Modena - il G. notava i sistemi di pressione messi in atto dalle varie fazioni e il diffuso prevalere, a scapito dei valori religiosi, di concreti interessi politici orientati "secondo le condizioni che ai cardinali favoriti impongono le Corone". Il G. riferiva della profonda corruzione che coinvolgeva i massimi vertici della Chiesa, e della difficoltà di dare attuazione alla normativa antinepotistica di Innocenzo XII. La testimonianza del G. offre un impietoso ritratto della nobiltà romana, in cui preponderante rimaneva - nonostante l'ormai evidente decadenza - il ruolo delle famiglie Orsini e Colonna, considerate alleate dalle corti di Francia e Spagna, che ne seguivano le vicende e ne tutelavano gli interessi.
Nel frattempo la morte di Carlo II faceva esplodere la guerra di successione spagnola e il G. rilevava come conflitti, catastrofi e carestie non alterassero in nulla lo stile di vita della corte pontificia e dei cardinali, che vivevano con lusso immutato senza curarsi minimamente della miseria che li circondava.
Il G. entrò in rapporti con il conte Leopold Joseph von Lamberg, ambasciatore imperiale, che gli propose un delicato incarico per conto della corte di Vienna: insieme con l'ufficiale siciliano Vassallo Vassalli, egli avrebbe dovuto imbarcarsi su una nave anglo-olandese, giungere in Sicilia e lì provocare una sommossa popolare contro il regime spagnolo. Nominato capitano dei cavalli, il G. lasciò Roma il 13 ag. 1703 e partì per Livorno, da dove, insieme con il Vassalli, salpò per la Sicilia. Fallito il progetto di sollevare le popolazioni locali, i due fecero ritorno a Livorno e di lì salparono, il 13 ottobre, alla volta del Portogallo per unirsi alle truppe imperiali. In seguito il G. partecipò con valore all'assedio e alla conquista di Gibilterra e poi di Barcellona, agli ordini del pretendente asburgico arciduca Carlo d'Austria (Carlo III re di Spagna); Filippo di Borbone - re Filippo V di Spagna - aveva intanto conquistato Madrid. Nel 1706 la Francia subì varie sconfitte: il G., che comandava allora una compagnia di corazze, prese parte alla guerra combattendo valorosamente in varie battaglie, fra cui quelle di Almanza e di Villaviciosa, e fu quindi promosso sergente maggiore.
Nel 1711, tuttavia, mentre le sorti della guerra sembravano ancora mutare, l'imperatore Giuseppe I morì; gli successe il fratello Carlo, che salì al trono come Carlo VI.
Nel 1713 il G. raggiunse la corte imperiale; si fermò a Vienna fino al 1714, quando il duca Rinaldo d'Este pregò l'imperatore di concedergli di rientrare in patria poiché intendeva assegnare al proprio suddito un'importante missione. Le condizioni politiche dell'Europa lasciavano presagire imminenti cambiamenti: declinavano la potenza e la vita del vecchio re Luigi XIV, mentre Filippo V era ormai certo di conservare il trono di Spagna; sorgeva l'astro inglese, ed era perduta la causa degli Stuart, come quella del cattolicesimo in Inghilterra, Germania e Olanda; impallidivano i fasti delle piccole corti italiane, che dopo l'annessione di Mantova all'Impero sentivano minacciata la loro sopravvivenza.
Temendo per la sorte del suo Stato, al duca Rinaldo parve opportuno affidarsi al neoeletto re d'Inghilterra Giorgio I e avere a Londra un uomo di fiducia, esperto dei giochi della diplomazia europea e in grado di patrocinare la causa estense; per questo incarico così delicato il duca aveva scelto il G., che accettò il mandato e giunse a Londra, insieme con il nipote Giovanni, nel febbraio 1715. Aveva il compito di convincere il sovrano inglese ad appoggiare la restituzione agli Estensi dei territori aviti allora compresi nella Legazione di Ferrara; inoltre, doveva tenere il duca costantemente aggiornato sulla situazione politica inglese e, in particolare, sull'eventuale intrecciarsi di alleanze con la Corona francese.
A Londra il G. frequentò assiduamente Isaac Newton: assistette a numerose sedute della Royal Society e si convinse della validità delle nuove teorie proposte dallo scienziato inglese. Nella diatriba sorta fra Newton e Leibniz sull'invenzione del calcolo infinitesimale, il G. sostenne attivamente il primo, coinvolgendo anche l'amico Muratori. Questo suo comportamento non fu apprezzato dal duca Rinaldo d'Este, che gli vietò di occuparsi della vicenda e lo criticò aspramente, negandogli da quel momento la sua benevolenza.
Nella primavera del 1717 il G. svolse ancora incarichi diplomatici a Parigi per rientrare, poi, in giugno, a Londra, dove morì il 20 dicembre, in seguito a un attacco di gotta.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Archivio Guicciardi, b. 1; Carteggi di principi e signori, filza 1313; Modena, Biblioteca Estense e universitaria, Archivio Muratoriano, Sez. VII, Corrispondenza del Muratori, f. 54 (lettere del G.); 55 (lettere di Giovanni Orazio Guicciardi); 56 (lettere di Orazio Guicciardi); D. Silvagni, Un capitano di ventura in Roma nel 1700, in Nuova Antologia, 16 apr. 1889, pp. 638-660; 16 maggio 1889, pp. 329-355; 1° giugno 1889, pp. 530-558; O. Rombaldi, Gli Estensi al governo di Reggio. Dal 1523 al 1859, Reggio Emilia 1959, passim; A. Balletti, Storia di Reggio nell'Emilia, Roma 1968, pp. 466, 472, 513, 659, 705; A. Barbieri, Modenesi da ricordare, Modena 1973, pp. 13 s., 64 s., 68, 72; M.V. Mazza Monti, Le duchesse di Modena, Reggio Emilia 1977, pp. 91-108; C. Barigazzi, La vita avventurosa del colonnello F. G. (1662-1717), ambasciatore estense alle corti inglese e francese. Il suo contributo alla querelle Leibniz-Newton sul calcolo infinitesimale, in Contributi, IX (1985), 17, pp. 105-143; Id., I Guicciardi. La dinastia di Giulietta, l'amata da Beethoven, Reggio Emilia 1986, ad ind.; L. Simeoni, L'assorbimento austriaco del Ducato estense e la politica dei duchi Rinaldo e Francesco III, a cura di O. Rombaldi, Modena 1986, pp. 9-18; O. Rombaldi, Aspetti e problemi di un secolo di governo estense a Modena e a Reggio Emilia. Da Alfonso IV a Rinaldo I, 1658-1737, Modena 1995, pp. 105-128.