GALLETTI, Fabrizio
Nobile romano vissuto nel sec. XVI, le cui scarse notizie biografiche si intrecciano con le alterne vicende della Stamperia del Popolo romano, fondata da papa Pio IV nel 1561 per contrastare le pubblicazioni dei protestanti. Non è noto in quale anno sposò la nobildonna Lucia d'Aragona, dalla quale ebbe dei figli. Come altri patrizi romani nella seconda metà del Cinquecento, intraprese, probabilmente senza alcuna esperienza, l'attività di libraio, ma si scontrò ben presto con concorrenti professionalmente più preparati.
Membro della commissione incaricata di analizzare la controversa situazione della Stamperia del Popolo romano, il 30 marzo 1570 (in seguito a una gara d'appalto) divenne "governatore" della metà della tipografia che apparteneva alla città. Il contratto di affitto aveva la durata di sette anni. L'altra metà dell'officina rimaneva in possesso di Paolo Manuzio che, chiamato in precedenza a Roma dal papa per occuparsi dell'impresa, aveva deciso di tornare a Venezia per problemi di salute, ma, non è escluso, anche a causa della difficile condizione economica in cui versava la Stamperia. Col G. parteciparono all'impresa due soci, un gentiluomo fiorentino e uno genovese: di essi non furono resi noti i nomi nella lettera inviata dal Popolo romano al nuovo governatore (Roma, Arch. Capitolino, Cam. cap., arm. VII, vol. 78, cc. 97-100). Il 7 agosto dello stesso anno Manuzio decise però di vendere al G. anche la sua parte (ibid., arm. VI, vol. 60, cc. 26-28: "Copia publici instrumenti venditionis ratae stampae…"), cedendogli contemporaneamente le matrici dei caratteri e la marca utilizzata sotto la sua direzione (lo scudo di Roma attraversato da una fascia trasversale con le iniziali "S.P.Q.R." e, in basso, un'ancora con delfino).
Dal 1570 al 1577 la Stamperia avrebbe dunque dovuto essere sotto il diretto controllo del G., che si dimostrò però imprenditore non abile. I suoi rapporti col Campidoglio furono infatti immediatamente complicati da un dissidio riguardante la destinazione della provvigione che doveva essere pagata alla Stamperia, che il G. tentò inutilmente di recuperare. La lite fu fomentata da Domenico Basa, tipografo veneziano inizialmente giunto a Roma per affiancare Manuzio nella sua attività e ansioso di sostituirsi al Galletti. Il Basa inviò infatti ai Conservatori un memoriale che poneva in cattiva luce l'attività del concorrente romano: il documento trovò un terreno favorevole nella sfiducia dei Deputati alla stampa verso chiunque gestisse tale attività e nelle necessità economiche in cui si trovava il Comune.
La produzione della Stamperia negli anni in cui essa fu effettivamente sotto il controllo del G. si restringe a pochi titoli, per lo più riguardanti l'ambito teologico-ecclesiastico. Tra questi si ricorda il Breviarium Romanum (1571) e il Catechismo… secondo il decreto del concilio di Trento… in lingua volgare (ristampa del 1571 di un'edizione del 1566 di Paolo Manuzio); tra il 1571 e il 1572 furono inoltre pubblicati in latino alcuni tomi delle opere di s. Girolamo (tomi V-IX e Indice) e nel 1573 gli Statuta nobilis artis agriculturae Urbis.
Il discredito gettato sull'operato del G. portò nel 1573 alla stipula di una convenzione tra il Popolo romano e una compagnia di librai guidata dal Basa. La società avrebbe avuto l'esclusiva per lo smercio dei libri editi dalla Stamperia, con una provvigione del 12% sulle vendite. Intanto il G. continuava le sue dispute legali, che culminarono con la sentenza arbitrale dell'11 dic. 1574. La soluzione del dissidio lasciò insoddisfatte entrambe le parti in causa: il Popolo romano fu condannato a rifondere all'imprenditore le spese per l'affitto e le mercedi, nonché il valore dei libri e dei breviari giacenti nei depositi di Roma e di Lisbona, e il G. dovette pagare le rate non corrisposte all'autorità comunale.
Intanto, per la Stamperia si era avviato un periodo di declino che, nonostante i tentativi di gestione affidati di nuovo a Domenico Basa e, successivamente, a Giorgio Ferrari, avrebbe portato alla cessazione dell'attività, anche per lo scarso interesse del pontefice, il quale con la Tipografia vaticana disponeva in quel momento di un'azienda efficiente.
Non è noto l'anno di morte del G.: da un invito indirizzato l'8 marzo 1576 alla vedova del patrizio romano affinché riprendesse i libri stampati dal marito si può però collocare l'avvenimento tra l'estate del 1575 (il 15 giugno di quell'anno il G. si era accordato con Giulio di Bernardo Giunti, libraio a Madrid, sulle modalità di vendita delle giacenze presenti a Lisbona) e i primi mesi del 1576.
Fonti e Bibl.: F. Barberi, Paolo Manuzio e la Stamperia del Popolo romano (1561-1570), Roma 1942, pp. 90-93, 193-196, 201-204; A.M. Giorgetti Vichi, Annali della Stamperia del Popolo romano (1570-1598), Roma 1959, pp. 15-17; A. Cioni, Basa, Domenico, in Dizionario biografico degli Italiani, VII, Roma 1965, pp. 45-49,; G.L. Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento. Documenti inediti, Roma 1980, pp. 169-174, 199, 216; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del Cinquecento in Italia, Firenze 1989, pp. 118 s.