ELFITEO, Fabrizio (Genesio)
Nacque nella prima metà del sec. XV, forse ad Ancona.
Le notizie che ci sono giunte si riferiscono prevalentemente alla sua attività cancelleresca, politica e diplomatica presso la corte degli Sforza, a Milano, e alla sua opera di letterato, umanista e calligrafo. L'appellativo Elfiteo fu, probabilmente, un soprannome assunto secondo l'uso umanistico: in calce ad alcune sue opere e trascrizioni egli si firma infatti "Fabricius, Genesius Elphiteus". Le lettere del Filelfo ci danno notizia del padre dell'E., l'anconetano "Venantius Genesius", "vir gravis et modestus", il quale, in più occasioni, fece da tramite tra il Filelfo stesso e i suoi amici di Ancona (cfr. il cod. 873 della Bibl. Trivulziana di Milano, Lettere di F. Filelfo, c. 443 e passim).
L'attività dell'E. come cancelliere e scriba presso la Cancelleria segreta del duca di Milano ebbe inizio almeno dal maggio del 1470, quando la sigla Fabritius compare per la prima volta nel registro delle lettere patenti (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, Registri ducali, reg. 105, c. 361r). Fece rapidamente carriera e già nel 1473 divenne segretario ducale, a fianco del potente primo segretario, Cicco Simonetta. In quegli anni l'E. partecipò ad alcuni importanti eventi pubblici: nel marzo del 1471 fece parte del sontuoso corteo che accompagnò il duca a Firenze (Ibid., Carteggio interno, cart. 898, "Lista de la andata delo Ill.mo S. Duca a Fiorenza"). Nel 1472 rogò la promessa di matrimonio tra l'erede del Ducato, Gian Galeazzo, e Isabella d'Aragona; nel 1473 presenziò al matrimonio tra Caterina Sforza e Girolamo Riario, come ricordano i Diari di Cicco Simonetta.
Nel luglio del 1473 l'E. era diventato segretario ducale con il compito particolare di attendere agli affari penali e alla materia delle entrate straordinarie (Ibid., Missive, reg. 112, cc. 93v-94r, 154r, e C. Santoro, p. 156). La sua partecipazione ai più importanti affari dell'amministrazione dello Stato è ampiamente documentata dalle fonti edite degli atti del governo ducale, a cominciare dalle raccolte di decreti (cfr. ad esempio gli Antiqua ducum Mediolani decreta, Mediolani 1654, pp. 377, 389, 381), e ancor più dalla gran massa di documenti inediti dell'Archivio Sforzesco, più volte citato.
Nel 1474 l'E. fu il tramite tra il duca e il Consiglio segreto nell'elaborazione di un decreto ducale che confermava e rendeva definitiva un'addizionale sui dazi assai sgradita e impopolare, il cosiddetto "inquinto".
Poiché innovava in materia fiscale, il decreto doveva essere sottoposto ai Consigli generali delle città del Ducato per la ratifica. Le lettere dell'E. danno conto delle modalità delle "pratiche di persuasione" che furono condotte in modo capillare presso i notabili delle città, i mercanti e i rappresentanti delle parrocchie per preparare il terreno all'accettazione del provvedimento. L'operazione, nel complesso, fu coronata da successo: il decreto passò, e l'inconsueta convocazione dei Consigli cittadini non risvegliò, come si temeva, fermenti di autonomia né consistenti opposizioni ai voleri del principe.
Altri più impegnativi incarichi attendevano l'E. nel difficile momento politico seguito all'assassinio del duca Galeazzo Maria, negli ultimi giorni del 1476. Il 17 gennaio del 1477 fu nominato tra i segretari del Consiglio segreto, organo al quale, dopo la morte del duca, erano riservati i più importanti affari di Stato. La lettera di nomina richiama le doti di ingegno, la rettitudine e la dottrina dell'E., nonché la sua pluriennale esperienza "in rebus criminalibus". Questa attività ebbe però breve durata, poiché, ben presto, gli furono affidati alcuni incarichi diplomatici. Fin dal marzo 1477 fu dotato di un cifrario in vista di una missione presso il re di Napoli, che si svolse ai primi di aprile.
La situazione politica del Ducato era gravemente minacciata dalla rivolta di Genova e dai primi tentativi di sedizione dei fratelli Sforza e di Roberto Sanseverino. Ferdinando di Aragona si presentava come arbitro tra le contese e protettore del Ducato, ma nello stesso tempo coltivava pericolose mire su Genova e incoraggiava le ambizioni dei fratelli Sforza. Il fatto che l'E. fosse inviato in tutta segretezza e che non portasse proposte concrete, ma solo "buone parole", fece comprendere all'Aragonese che i duchi non intendevano aderire alla lega che a lui faceva capo e che tenevano in maggior conto l'alleanza con Venezia. Il re, dunque, rese pubblica la missione dell'E. e protestò formalmente perché di essa era stato tenuto all'oscuro il suo oratore a Milano.
Nel dicembre del 1477 l'E. fece parte, in veste di segretario, di una rappresentanza diplomatica inviata presso il re di Francia, composta dal vescovo di Como Branda Castiglioni, da Gianluigi Bossi e da Alessandro Visconti. Il re si era mostrato disponibile al rinnovo della lega del 1473 e alla nuova infeudazione di Genova ai duchi di Milano, ma esigeva preliminarmente una presa di posizione del governo milanese a, favore di Roberto Sanseverino, che si trovava a Tours, e degli altri oppositori milanesi. Al contrario, le istruzioni ricevute dagli oratori ducali erano assolutamente rigide su questo punto e la missione si concluse senza esito prima del previsto.
Poco dopo il ritorno da Tours, l'E. fu inviato a Genova. Lo scopo ufficiale della missione era quello di incontrarsi con il governatore Prospero Adorno e con i rappresentanti dell'ufficio di Balia per sollecitarli ad adottare misure di difesa della Riviera, e "per dare expedicione como più presto sia possibile a l'armare de le galee". Tuttavia, il vero scopo della missione fu ben presto divulgato a Genova, dove si diceva "Fabricio essere venuto per rimuovere il governatore" (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, cart. 977, lettera di Nicodemo Tranchedini del 25 febbr. 1478). Effettivamente l'Adorno, inviato a Genova nell'aprile 1477, dopo una lunga detenzione nelle carceri sforzesche, era sospettato di voler estromettere i duchi dalla città e di mantenere segreti contatti con Ferdinando d'Aragona. La deposizione del governatore si presentava però piuttosto rischiosa e, dopo essersi consultato con i sostenitori degli Sforza in città, l'E. avvisò il Consiglio segreto "di non tentare subito la rimozione perché è pericoloso, e che occorre trovare una via più sicura" (Acta in Consilio secreto…, p. 207).
Alla missione a Genova seguì immediatamente l'invio dell'E. presso l'imperatore "pro facto privilegiorum". La questione del riconoscimento imperiale si trascinava da anni: Francesco Sforza aveva conquistato il Ducato con la forza delle armi, e la concessione dei privilegi imperiali avrebbe dato più saldi fondamenti giuridici al suo dominio. Le trattative si erano succedute senza esito nel corso del tempo, fra mercanteggiamenti e reciproche diffidenze. La questione si ripropose nel 1478 in relazione a una precisa circostanza: il conte Ugo di Monfort, vicino a Massimiliano d'Asburgo, aveva fatto giungere alla reggenza milanese l'offerta di intercedere presso l'imperatore per ottenere i sospirati privilegi, un riconoscimento non privo di interesse in un momento delicato per la successione dinastica del giovane Gian Galeazzo. L'E. si recò dunque a Vienna presso il Monfort, il quale gli riservò un'accoglienza deludente e dopo molti rinvii gli fece capire "ch'el se vergognava manifestamente" e che non aveva modo di mantenere le sue promesse (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, cart. 574, l'E. ai duchi, 12 maggio 1478). Il segretario ducale decise allora di recarsi a Graz presso Federico III, benché la missione si rivelasse già compromessa.
Anche alla corte imperiale l'E. dovette attendere diversi giorni prima di ottenere udienza, "seguendo el costume de qua, dove se va molto adasio". Nell'incontro l'imperatore ribadì le precedenti richieste di un pesante censo annuale e non diede una risposta chiara all'offerta di dare in moglie la propria figlia a uno degli Sforza, forse allo stesso Gian Galeazzo. La missione non conseguì dunque alcun esito: mentre riallacciavano i rapporti con il re di Francia, i duchi milanesi non potevano accettare una dipendenza troppo stretta dall'Impero, né concedere un contributo finanziario- equivalente a un sostegno indiretto - agli Asburgo nella guerra per l'eredità borgognona. Queste cautele spiegano l'invio del solo E. a Graz, al posto di una più impegnativa rappresentanza diplomatica.
Nel corso del 1479 cessò la pensione di "famigliare ducale" dell'E., poiché egli prese il posto e le funzioni del defunto oratore sforzesco in Romagna. La sua attività diplomatica diventava così stabile. Tuttavia, contro ogni aspettativa, proprio da quest'epoca le notizie relative alla sua biografia si interrompono.
Una plausibile spiegazione della scomparsa dell'E. dalla scena milanese va ricercata nelle narrazioni di due storici contemporanei, Bernardino Corio (Storia di Milano, p. 1425) e l'anonimo autore del Diarium Parmense, che ci danno notizia di un Fabrizio di Ancona vittima, insieme con alcuni personaggi di spicco della Cancelleria sforzesca, degli eventi che seguirono all'epurazione di Cicco Simonetta e dei suoi fautori, nel settembre del 1477. È dunque molto probabile che si tratti dell'E., poiché le sue origini picene sono attestate dal Filelfo.
Fin dagli anni precedenti al suo ingresso nella corte sforzesca l'E. aveva coltivato gli studi umanistici. Sono note due sue opere: una raccolta di elegie latine e un trattatello De gloria comparanda. La raccolta di poesie, conservata in un codice aragonese presso la Biblioteca universitaria di Valencia, è stata pubblicata, in parte, da T. de Marinis nel 1952 (La biblioteca…, p. 109), e integralmente dallo stesso de Marinis e da Alessandro Perosa nel 1970 (Nuovi documenti…, pp. 147-166), con l'aggiunta di alcune brevi notizie biografiche relative all'autore. L'opera, dedicata ad Alfonso duca di Calabria, fu composta quando sia il duca, sia l'autore erano in età giovanile, il che ci consente di datarla negli anni attorno al 1470. Le dediche delle singole liriche sono rivolte in gran parte a una donna, Leucia, e ad alcuni umanisti e letterati del tempo (Cola Montano, Antonio Campano, Antonio Gherardini, l'anconetano Nicolò Cressio, un certo Marco Calabro). Il trattatello De gloria comparanda fu dedicato dall'E. a Federico di Montefeltro in anni anteriori al 1474. Se ne conservano una copia presso la Biblioteca Estense di Modena e due copie presso la Vaticana; una di queste fu eseguita a Milano nel 1487: è dunque possibile che a quest'epoca l'E. vivesse ancora nella capitale lombarda, lontano dalla vita pubblica. Alcuni stralci del trattatello sono stati editi in un articolo di F. Sica (L'ideale umanistico); l'autore sembra però ignorare che parte della produzione dell'E. è già stata pubblicata.
Le dediche delle sue opere lasciano intuire un'intensa partecipazione dell'E. alla vita letteraria e culturale del tempo, e lo avvicinano ad altri più conosciuti personaggi della Cancelleria sforzesca di cui sono noti gli interessi umanistici. Sono ben documentate, soprattutto, le sue relazioni con Francesco Filelfo, amico anche del padre Venanzio, che tra il 1471 e il 1476 gli indirizzò diverse lettere. In una missiva dell'aprile 1476 il Filelfo corrisponde a una richiesta dell'amico e gli fornisce la lezione di due parole di origine greca che l'E. aveva incontrato nella lettura dei Padri. L'E. conosceva questa lingua, e in alcune occasioni il Filelfo gli diresse lettere in greco.
La posizione che l'E. rivestiva alla corte ducale gli consentì più volte di fare favori e soccorrere l'amico, al quale era legato da una devozione filiale, da allievo a maestro. Nel 1475 assistette a Milano la famiglia del Filelfo, mentre questi era a Roma, e nel 1476 intercedette presso il duca per la concessione di una dote a sua figlia. Un salvacondotto del 1472, che consente al Filelfo di muoversi liberamente nel Ducato per sfuggire ai suoi creditori è siglato dall'E. (Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, Registri ducali, reg. 107, c. 265v). L'E. trascrisse inoltre la Sforziade del tolentinate, in un codice attualmente conservato presso la Biblioteca nazionale di Parigi, e alla morte dell'amico compose alcuni versi in sua memoria, che si possono leggere in calce al ritratto del Filelfo a Tolentino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, cartt. 543, 573, 574, 898, 977; Ibid., Missive, reg. 112, cc. 93v-94r, 154r; Milano, Bibl. Trivulziana, cod. 873: Lettere di F. Filelfo, cc. 405v, 443, 489, 508, 510, 513v, 519v, 523, 534, 538, 540v, 542v; Diarium Parmense, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXII, 3, a cura di G. Bonazzi, p. 55; Antiqua ducum Mediolani decreta, Mediolani 1654, pp. 377, 381, 389; F. Filelfo, Epist. famil. libri XXXVII, Venetiis 1502, f. 237r; Cent-dix lettres grecques de F. Filelfe, a cura di E. Legrand, Paris 1892, pp. 186 s.; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1948, p. 31 e n.; I registri delle lettere ducali, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 156; I diari di Cicco Simonetta, a cura di A. R. Natale, Milano 1962, p. 5; Acta in Consilio secreto…, a cura di A. R. Natale, I, Milano 1963, pp. 13, 27, 47, 125, 172, 207, 236, 239, 241; II, ibid. 1964, pp. 95, 141, 158, 169, 194, 215, 279; III, ibid. 1969, pp. 89, 256; Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, a cura di T. de Marinis-A. Perosa, Firenze 1970, pp. 144-166; Lorenzo de' Medici, Lettere, a cura di R. Fubini, II (1474-1478), Firenze 1977, pp. 347-349, 354, 446; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, p. 1425; C. de Rosmini, Vita di F. Filelfo, II, Milano 1808, pp. 384, 387, 391, 404, 438; P. Ghinzoni, L'inquinto, una tassa odiosa del sec. XV, in Arch. stor. lombardo, s. 2, I (1884), pp. 501 ss.; A. Calderini, I codici milanesi delle opere di F. Filelfo, ibid., s. 5, II (1915), pp. 362, 364-66, 368 s.; R. Sabbadini. Classici e umanisti da codici ambrosiani, Firenze 1933, p. 4; F. Cusin, Irapporti tra la Lombardia e l'Impero, Trieste 1934, p. 100; L. Cerioni, La politica italiana di Luigi XI e la missione di Filippo di Commines, in Arch. stor. lomb., s. 8, II (1950), pp. 89 n., 96 s., 114 ss., 123 s.; T. de Marinis, La biblioteca italiana dei re d'Aragona, I, Milano 1952, pp. 104, 109, 178; II, ibid. 1947, p. 68; L. Cerioni, La diplomazia sforzesca nella seconda metà del Quattrocento, I, Roma 1970, ad Indicem; F. Sica, L'ideale umanistico della Gloria in F. E., in Misure critiche, XVI (1986), nn. 58-59, pp. 63-71; G. Albanese, Le raccolte poetiche latine di F. Filelfo, in F. Filelfo nel quinto centenario della morte Atti del XVII Convegno di studi maceratesi (Tolentino 27-30 sett. 1981), Padova 1986, p. 390 n.; H. Goldbrunner, F. Filelfo a Milano, ibid., p. 607; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 350, 364, 372; IV, p. 656a.