COLONNA, Fabrizio
Nacque con ogni probabilità tra il 1450 e il 1460 da Odoardo, duca dei Marsi, e da Covella (Jacovella) di Celano.
Nel 1465, alla morte del padre, Ferdinando d'Aragona, re di Napoli, gli confermò insieme ai cinque fratelli il ducato dei Marsi. Destinato, a detta di tutti i genealogisti, alla carriera ecclesiastica, nel 1481 il C. fuggì di casa per unirsi alle truppe napoletane che fronteggiavano i Turchi a Otranto. Con l'inizio delle ostilità nella primavera del 1482 fra Venezia alleata di Sisto IV, e gli Este, sostenuti dal re di Napoli oltre che da Firenze e Milano, il pontefice richiamò al suo servizio i baroni romani al soldo del sovrano napoletano. Aderirono all'invito soltanto gli Orsini, Mentre la maggior parte dei Colonna, fra cui il C., e i Savelli rimasero nel Napoletano prima e seguirono subito dopo Alfonso, duca di Calabria, in armi nella Campagna romana. Il 26 ottobre il papa colpì con la confisca dei beni il C., insieme con due fratelli e il cugino Prospero. Il rovesciamento delle alleanze, che portò alla pace fra il pontefice e la lega nel dicembre 1482, e il soggiorno in Roma del duca di Calabria come alleato, indussero alla pacificazione i Colonna e gli Orsini.
Si stipulò un accordo per cui il protonotario Lorenzo, fratello del C., sarebbe rientrato in possesso di Lavinio, purché avesse ceduto il coontado di Albe e Tagliacozzo a Virginio Orsini, ricevendo da questo la somma di 14.000 ducati. Le trattative per la cessione di questo contado, che era stato riconfermato dal re di Napoli al C. e ai fratelli con diploma del 15 nov. 1480, si prolungarono per parecchio tempo, e, mentre Lorenzo era propenso a non rompere le trattative, il C. era contrario ad accettare la cessione del contado.
Nel 1483 il C. fu in Abruzzo per organizzare la difesa delle terre sue e dei fratelli, ma nel gennaio 1484 era di nuovo in arme a Roma contro gli Orsini. Fallita nei mesi successivi ogni ipotesi di una nuova pacificazione, nonostante che ora il C. fosse disposto a cedere il contado di Albe e Tagliacozzo, nel maggio fu preso prigioniero Lorenzo, le case dei Colonna furono distrutte e il C. fuggì a Marino, difendendola strenuamente dagli attacchi delle truppe pontificie, guidate da Paolo Orsini e da Gerolamo d'Estouteville. Nel tentativo di salvare il fratello, che venne invece ugualmente ucciso dopo cinque giorni, il 15 giugno il C. cedette la rocca della cittadina. Alla fine di luglio, arresesi Cave, Capranica, Montecompatri, il C. si assoggettò al pontefice e il giorno 29, insieme con Antonello Savelli, prestò giuramento di fedeltà alla Chiesa nelle mani del camerlengo.
La strenua difesa di Paliano e soprattutto la morte di Sisto IV capovolsero la situazione e, mentre Gerolamo Riario e gli Orsini abbandonavano il campo precipitosamente, i Colonna, compreso il C., rientrarono a Roma con uno stuolo di armati, mentre le loro terre nel Lazio tornavano sotto la loro potestà. Il conclave fu rimandato fino a che venne concluso il 25 agosto un accordo fra le varie fazioni.
Innocenzo VIII non si mostrò sfavorevole ai Colonna, ma già nel marzo 1485 erano risorte le contese. Dopo un tentativo del papa di interporsi per indurre i contendenti alla pace, cui più palesemente si opposero gli Orsini, in giugno i Colonna e i Savelli intrapresero una spedizione contro Frascati, dove catturarono Gerolamo d'Estouteville, conducendolo prigioniero a Rocca di Papa. Si portarono quindi a Nemi, ove era la moglie dell'Estouteville, prendendo prigioniera anch'essa. In questa operazione il C. fu ferito da una freccia. Dopo questi episodi favorevoli ai Colonna le sorti della guerra parvero rovesciarsi in favore degli Orsini, che avevano preso le difese degli Estouteville, e Solo il 20 luglio i Colonna furono in grado di riorganizzarsi, dopo un rovescio subito ad opera di Paolo Vitelli. A questo punto il papa convocò il C. con il cugino Prospero e con Virgilio Orsini, riuscendo a far cessare le ostilità e a farsi consegnare i castelli.
Poco prima che la ribellione dell'Aquila accendesse la miccia della rivolta dei baroni del Regno contro Ferdinando d'Aragona, che provocò la guerra fra quest'ultimo, sostenuto da Milano e Firenze, ed il pontefice, alleato di Venezia e di Genova, i Colonna che avevano combattuto contro gli Estouteville, insieme ai Savelli ed ai Caetani, si strinsero in un patto con questi ultimi e il 5 sett. 1485 il C. con il cugino Prospero firmò un accordo secondo il quale le due famiglie si promettevano aiuto reciproco e i due Colonna si impegnarono a non militare se non nello stesso campo di Nicola Caetani. E in effetti, mentre gli Orsini si schieravano con Ferdinando, gli altri tre furono assoldati dal papa.
Il C. dapprima fu inviato a presidiare l'Aquila, dove era, insieme con Prospero, con Giovanni Savelli e con il legato pontificio quando scoppiò la rivolta, ma poi fu richiamato nella Campagna romana, ove i Colonna e gli Orsini avevano ripreso la lotta, mentre Alfonso di Calabria si dirigeva a Roma e Roberto Sanseverino era posto a capo dell'esercito pontificio. Il C. partecipò quindi alla battaglia di Montorio (7 maggio 1486), che vide l'esercito pontificio comandato dal Sanseverino sconfitto di stretta misura.
Prima e dopo di essa, il C. tentò invano di riconquistare Albe e Tagliacozzo, concesse agli Orsini da Ferdinando. Non riebbe però la contea neanche alla fine della guerra (11 agosto) e si dovette accontentare di avere in cambio Lavinio. Il papa volle anche che si giungesse ad una riconciliazione e, ottenuta la consegna delle terre occupate dai Colonna, nominò una commissione di quattro uditori di Rota per definire le questioni pendenti fra gli Estouteville e i Colonna stessi.
Successivamente il C. tornò ai servizi di Ferdinando d'Aragona, che mostrava di tenerlo in gran conto e nel marzo del 1492 gli mandò in regalo un cavallo. Nello stesso anno, mentre a Roma era riunito il conclave successivo alla morte di Innocenzo VIII, il re ordinò al C. e al cugino Prospero di avvicinarsi discretamente all'Urbe e di tenersi a disposizione del cardinale Della Rovere.
Ritiratosi quest'ultimo nel castello di Ostia, dopo l'elezione di Alessandro VI, il C. prese posizione in suo favore, ma nella primavera fu richiamato da re Ferdinando nei suoi feudi napoletani, mentre il papa, Milano e Venezia si stringevano in lega.
Nel febbraio del 1494 erano in atto le trattative per la riconferma della condotta del C. e del cugino. Alfonso II, successo al padre un mese prima, si diceva deciso ad averli ambedue o almeno uno al suo servizio, mentre anche Ludovico il Moro era desideroso di assoldarli. Il C., allora a Napoli, pareva propenso a porsi agli stipendi dell'Aragonese, ma nel maggio gli ambasciatori di Carlo VIII a Roma lo assoldarono insieme col cugino Prospero Colonna. Il mese prima il C. si era interposto con successo, dopo la fuga del card. Della Rovere in Francia, fra il papa e i difensori del castello di Ostia; il che gli era valso l'acquisto di Grottaferrata.
Mentre Carlo VIII discendeva trionfalmente l'Italia, il C. e il cugino posero il campo vicino Frascati con 4.000 uomini e 600 cavalli. Il 18 settembre il C. assaltò il castello di Ostia, occupandolo in nome del re di Francia. Il 6 ottobre il pontefice intimò al C. e agli altri baroni romani partigiani dei Francesi di tornare all'obbedienza entro sei giorni. Naturalmente nessuno di loro si presentò e Alessandro VI fece distruggere le case dei Colonna. Nella città i due cugini tornarono soltanto con Carlo VIII, quando questi entrò nell'Urbe l'ultimo giorno del 1494. Prima di riavviarsi verso il Regno, il re inviò il C. in Abruzzo, dove i Francesi furono accolti dalla sollevazione dei contadini contro gli Aragona. Dopo l'ingresso di Carlo VIII a Napoli (22 febbr. 1495) al C. fu resa la contea di Albe e Tagliacozzo, da lui preventivamente occupata.
Mentre stava terminando la breve avventura del sovrano francese in Italia e questi ripassava per Roma ai primi di giugno del 1495. il C. era al suo seguito, ma molto probabilmente non fu presente alla battaglia di Fornovo (5-6 luglio). Il 5 agosto era in Abruzzo e militava ancora nelle file francesi. Fu probabilmente nel mese successivo che si pose al soldo di Ferrandino.
Era a Napoli presso il re, quando il 10 ottobre questi affrontò il d'Aubigny, prima che i Francesi si rinchiudessero a Gaeta. Il 20 ottobre il sovrano francese dichiarava il C. decaduto dalla contea di Albe e Tagliacozzo, che passava a Virginio Orsini. Nel gennaio 1496 il C. combatteva davanti a Gaeta contro il presidio francese con centoventi uomini d'arme, trecento svizzeri e molti fanti, agli ordini del principe di Altamura, Federico d'Aragona. Nel marzo era in campo contro Marzano e Conca e davanti a Pietra Melara il principe Federico, chiamato a Napoli, gli lasciò il comando dell'esercito ed egli conquistò il castello della cittadina. Si preparò quindi ad affrontare Virginio Orsini, che nel Regno sosteneva i Francesi. Nell'aprile. il C. assolse all'incarico di condurre a Foggia, ov'era il re, seicento tedeschi, che erano a Troia; costoro però non vollero ubbidirgli e, presa la via di Nocera, vi incontrarono l'esercito nemico, che li annientò. Dopo aver partecipato nel giugno-luglio al decisivo vittorioso assedio di Atella, il C. nell'agosto fu di nuovo utilizzato contro Gaeta. Il 10 sett. 1496 era all'Aquila, che ridusse sotto il dominio degli Aragonesi.
Intanto Alessandro VI, che subito dopo il ritiro di Carlo VIII aveva infierito contro i Colonna, confiscando al C. la rocca di Ardea, con tutta l'artiglieria che conteneva, nella sua avidità di arricchire i figli si era volto contro gli Orsini, di cui nel giugno aveva confiscato tutti i beni. Il 26 ottobre il papa celebrò, dopo la decisione di iniziare una spedizione guidata dal figlio Giovanni e da Guidubaldo da Montefeltro contro i baroni romani suoi nemici, una messa cui era presente anche il C., postosi al suo servizio. In breve caddero nelle mani dell'esercito pontificio Anguillara, Formello, Cesano, Campagnano, Sacrofano, Blera, Bassano di Sutri, ma resistette Bracciano e il 23 genn. 1497 avvenne la battaglia di Soriano, che vide i Pontifici - ed il C. - nettamente sconfitti dagli Orsini. Tornato evidentemente al servizio degli Aragonesi, nell'aprile il C. ebbe da re Federico l'incarico di ricondurre all'Aquila i fuorusciti.
L'8 dello stesso mese il sovrano, alla cui incoronazione il C. avrebbe di lì a poco assistito, gli concesse la riconferma della contea di Albe e Tagliacozzo, la baronia di Valle Roveto con il castello di Capistrello ed inoltre una pensione annua di 6.000 ducati, con l'obbligo di mantenere quaranta soldati al suo servizio.
A metà agosto però riprese la lotta fra gli Orsini, desiderosi di vendetta, ed i Colonna; i Conti, infatti, partigiani degli Orsini, occuparono allora Torre Mattia, riaccendendo la miccia fra le due fazioni. Dopo un fallito tentativo di riconciliazione fatto dal papa nel gennaio 1498 i Colonna, con alla testa Fabrizio e Prospero, riconquistarono Torre Mattia e Zancato, misero a sacco Segni, Gavignano, Valmontone, Ariccia. La lotta culminò con la vittoria dei Colonna nellabattaglia di Palombara (12 aprile). L'8 luglio 1498 le due parti, addivennero ad un altro patto diconcordia; furono restituite le terre conquistate da una parte e dall'altra e fu eletto arbitro per l'assegnazione della contea di Albe e Tagliacozzo Federico d'Aragona, il quale il 3 febbraio dell'anno dopo l'assegnò al Colonna.
Dopo la conquista del Milanese da parte di Luigi XII e la conclusione del minaccioso trattato di Granada (11 nov. 1500), la spedizione transalpina controil Regno si fece imminente. Mentre i Francesi cominciavano a dirigersi al Sud, i Colonna, compromessi con gli Aragona, dovettero affidare al papa ed al Sacro Collegio le loro terre nel Lazio, ed il 22 giugno il C., dietro pagamento di 2.000 ducati, consegnò Marino, Rocca di Papa ed altre località a Alessandio VI, che insisteva per avere anche Ardea. Infatti come il pontefice si mostrava antiaragonese, dichiarando il 25 giugno 1501 Federico decaduto, così era divenuto contrario ai Colonna.
Contemporaneamente il C. faceva uccidere a Roma i messi di alcuni baroni napoletani, che venivano a parlamentare con il d'Aubigny e questi rispose facendo mettere a ferro e a fuoco Marino, Cave ed altre località dei Colonna e requisire poi la contea di Albe e Tagliacozzo, concedendola a Gian Giordano Orsini, mentre Cesare Borgia si impadroniva di Rocca di Papa.
Affidatagli da re Federico la difesa di Capua, non poté impedire, che la città, dopo quattro giorni di bombardamento, fosse conquistata e saccheggiata, il 10 luglio; egli stesso fu, fatto prigioniero da François de La Trémoille, che pretese per il riscatto 14.000 ducati.
Il suo nemico personale, Gian Giordano Orsini, ebbe modo di agire secondo i dettami della cavalleria, offrendogli i denari per pagare il riscatto, ma il C. non accettò e, fatta vendere la sua argenteria, chiuse, pagando il riscatto, questo episodio poco glorioso della sua carriera.
Nell'agosto del 1501, insieme al cugino Prospero, il C. accompagnò ad Ischia re Federico quando questi vi si trasferì, prima di abbandonare definitivamente il Regno per il suo esilio francese. In quello stesso mese il papa, sempre desideroso di acquistare beni per i figli e ormai nemico giurato dei Colonna, li bandì, insieme ai Savelli, agli Estouteville ed ai Caetani, e ne confiscò i beni, in attesa di volgersi l'anno dopo contro gli Orsini.
Dopo questi episodi il C. associò le sue fortune a quelle degli Spagnoli e al soldo di questi entrò a far parte dell'esercito comandato da Consalvo di Cordova.
Mentre si svolgeva fra Francia e Spagna con alterne fortune la campagna in Calabria, Consalvo di Cordova si asserragliò a Barletta, mentre i Francesi, con alla testa il duca di Nemours, si disseminavano da Cerignola a Terlizzi. Nella guerra di colpi di mano che dinecessità si svolse allora, ebbe un ruolo importante il C. alla testa della sua cavalleria leggera. Ai primi di febbraio del 1503 i combattenti italiani della disfida di Barletta furono scelti nelle schiere del C., di Prospero Colonna e del duca di Termoli. Nello stesso mese era avvenuta una puntata offensiva di Consalvo di Cordova contro Ruvo di Puglia, che, lasciata indifesa dall'esercito francese spostatosi contro Castellaneta in rivolta, si lasciò sorprendere. Il C. si distinse nell'assalto della cittadina.
Il 27 aprile - avvenuta in Calabria l'ultima battaglia di Seminara, che aveva visto sgominato l'esercito francese - Consalvo di Cordova prese l'iniziativa e uscito da Barletta con tutte le truppe affrontò, il 28, i Francesi a Cerignola. Il C., che con la sua cavalleria leggera era all'ala sinistra, sostenne una parte secondaria nella vittoriosa battaglia, anche se alcune sue disposizioni difensive si rivelarono importanti nell'andamento dello scontro. Il giorno dopo il C. fu inviato dal condotticro spagnolo in Abruzzo.
Il 18 agosto, tre mesi circa dopo l'occupazione di Napoli da parte degli Spagnoli, morì Alessandro VI. Immediatamante gli Orsini ed i Colonna si portarono a Roma. Il C. vi giunse con molte genti d'arme, fornitegli da Consalvo di Cordova, rimanendovi finché le trattative che il cugino Prospero conduceva con Cesare Borgia non fallirono ed il Collegio dei cardinali il 1° settembre non ingiunse al Valentino e ai Colonna di lasciare la città entro tre giorni.
Alla medesima epoca Consalvo di Cordova aveva raggiunto Sessa, per muovere poi contro Gaeta, dove si erano concentrate le forze francesi. Unitosi alle avanguardie spagnole, il C. fu incaricato di occupare Montecassino con un colpo di mano, che però non riuscì. Quando, dopo l'accordo contro il Borgia stretto dagli Orsini e dai Colonna il 13 ottobre, i Francesi il 21 si accamparono a Pontecorvo, il C. compì con la sua cavalleria leggera azioni di disturbo, molestando la retroguardia nemica e impedendo ai Transalpini di passare il Garigliano presso Rocca d'Evandro. Ai primi di novembre i due eserciti finirono con l'attestarsi a Traetto, sulle opposte sponde del fiume; il C. ricevette l'incarico di disturbare i Francesi che mettevano il campo e fu inviato a contrastarli quando il 6 novembre essi riuscirono a costituire una testa di ponte dalla parte del Garigliano, dove era accampato l'esercito spagnolo. Ma quando il 28 dicembre Consalvo di Cordova, fatto costruire un altro ponte, portò le truppe sull'opposta riva del fiume, dando inizio alla battaglia che avrebbe risolto la guerra, il C., distaccato nel contado di Alvito, mancò un'altra occasione favorevole per distinguersi in una grande battaglia.
Quando il 23 marzo 1504 Francesco Maria Della Rovere, nipote di Giulio II, fece il suo solenne ingresso a Roma, il C., che aveva recuperato tutti i possedimenti nella Campagna romana sottrattigli da Alessandro VI, fu uno dei personaggi che lo accolsero nell'Urbe.
Nel novembre il C., a ricompensa del suo fedele servizio, ebbe da Ferdinando il Cattolico la riconferma del contado di Albe e Tagliacozzo, con altri feudi in Terra di Lavoro e in Abruzzo. Inoltre il 7 maggio 1507 ricevette la conferma dei 6.000 ducati annui, già concessigli da Federico d'Aragona, ed il 14 giugno altri feudi in Abruzzo. Nel 1506 il C., il cui nipote Marcantonio, giusta il disegno di Giulio II di amicarsi i baroni romani, sposò in quell'anno una nipote del papa, era stato ad accogliere a Napoli il sovrano spagnolo e nella cavalcata che questi compì nella città aveva avuto l'incarico di sorreggere lo stendardo.
Dopo la lega di Cambrai (10 dic. 1508) Venezia avrebbe voluto assoldare il C., che però non accondiscese e rimase al servizio della Spagna; peraltro, inviato in Puglia contro le città che i Veneziani avevano occupato otto anni prima, indusse il viceré a procedere con lentezza nelle operazioni militari. Dopo il rovesciamento delle alleanze operato da Giulio II, il C., alla testa di un contingente di truppe spagnole, fu inviato a dar man forte all'esercito pontificio. Così quando il 10 ott. 1510 i Francesi tentarono di impadronirsi di Bologna, il C. al comando di trecento spagnoli riuscì - per quella volta - a farli desistere. Partecipò quindi all'assalto vittorioso del castello della Mirandola, subendo poi però con l'esercito pontificio i rovesci che portarono alla perdita di Bologna (maggio 1511).
Dopo il tumulto sorto a Roma a metà agosto, alla falsa notizia della morte del papa, questi riuscì a mediare un ennesimo atto di concordia fra i Colonna e gli Orsini, firmato per sé e per i parenti e per gli aderenti Il 28 agosto dal C., che il giorno successivo partecipò nella chiesa romana dell'Aracoeli ad una cerimonia di pacificazione presente anche Giulio Orsini.
Conclusa il 5 ott. 1511 la lega santa, il C. fu nominato governatore generale dell'esercito della lega, alle dipendenze del viceré di Napoli Raimondo Cardona, capitano generale. L'11 apr. 1512 partecipò alla battaglia di Ravenna, tentando invano di modificare le disposizioni tattiche del Cardona, che costarono la disfatta agli Ispano-pontifici.
Fatto prigioniero dal duca di Ferrara, quando questi si recò a Roma per trattare direttamente con il pontefice la sorte del suo Stato, il C. fece parte del corteggio estense, libero sulla parola, ma con l'obbligo di tornare a Ferrara se le trattative fossero fallite. Accolto affettuosamente da Giulio II come "uno dei liberatori d'Italia", il C. si espose poi all'ira del papa tentando di perorare la causa di Alfonso d'Este; e, temendo l'arresto del duca, con lui e con Marcantonio Colonna fuggì da Roma forzando il passaggio a porta S. Giovanni.
Morto pochi mesi dopo Giulio II, il C. l'11 apr. 1513 si recò presso Leone X ad ossequiarlo e a congratularsi con lui per la sua elezione. Anche con questo papa pero i rapporti del C. non furono senza contrasti, poiché nel 1516, durante la guerra d'Urbino, il pontefice gli indirizzò contro dei monitori, perché aveva preso posizione in favore dei Della Rovere.
Nominato il 20 dic. 1515 gran connestabile del Regno di Napoli, il C. morì ad Aversa il 20 marzo 1520 e fu seppellito a Paliano.
Aveva sposato Agnese, figlia di Federico da Montefeltro, duca di Urbino; aveva avuto sei figli: Ascanio, Federico, che era morto diciannovenne al servizio di Massimiliano, Camillo, Sciarra, figlio naturale, la celebre Vittoria, moglie di Ferdinando d'Avalos, e Beatrice, moglie di Rodolfo da Varano.
Il C., un ritratto del quale è, secondo P. Colonna (I Colonna..., p. 105), nel palazzo Colonna a Roma, fu il protagonista dell'opera di A. Nifo, De regnandi peritia e a lui N. Machiavelli nell'Artedella guerra fece esporre le sue opinioni sull'arte militare. L'Ariosto lo cita nel XIV canto dell'Orlando furioso (4-5).
Il C., che, pur cadetto, divenne uno dei membri più importanti della sua potente famiglia, anche se non riuscì a compiere alcuna impresa bellica veramente considerevole, seppe dare il suo apporto alla tattica se non alla strategia dell'epoca e fu considerato uno dei maggiori capitani del suo tempo.
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