CASTELLO, Fabrizio
Figlio di Giov. Battista, il Bergamasco, pittore ed architetto ben noto per la sua attività nei palazzi e nelle chiese di Genova, e di una Margherita, passò appena adolescente in Spagna insieme con il padre e con il fratellastro Niccolò Granello, che vi erano stati chiamati nel 1567 in vista dei lavori di decorazione dell’Alcázar di Madrid e del palazzo del Pardo ordinati da Filippo II. Alla morte del padre, nel 1569, il C. fu affidato per il mantenimento e l’istruzione professionale al fratellastro, diventato a sua volta “pittore del re”. Nel 1576 sono registrati nei documenti d’archivio i primi 5 scudi mensili, aggiunti allo stipendio del Granello, per la parte dovuta al fratello Fabrizio che lo aiutava nei lavori all’Escorial (cfr. Zarco Cuevas; G. de Andrés). Dal 1584 il C. fu assunto, a sua volta, stabilmente al servizio del re con uno stipendio di 6.000 maravedì pur restando il rapporto di collaborazione con il Granello ben solido, fino alla morte di questo (30 nov. 1593: Ferrarino).
Con il Granello, Francesco da Urbino, e, dopo la morte di quest’ultimo, Lazzaro Tavarone e Orazio Cambiaso, figlio di Luca, a loro volta giunti da Genova, il C. attese all’Escorial alla decorazione di un gran numero di ambienti: la volta del coro della chiesa, della sagrestia, la “sala delle battaglie”, i soffitti delle sale capitolari, della libreria, del collegio, un complesso di opere registrato attentamente dai documenti, già pubblicati da Zarco Cuevas e più recentemente integrati da G. de Andrés, dove tuttavia non è precisata la parte di ciascuno.
Si tratta del lavoro di un’équipe specializzata soprattutto in decorazioni a grottesche (“pintura del brutesco” traducono spesso le fonti spagnole, a partire da Fray José de Sigüenza nella sua descrizione dei lavori dell’Escorial stesa nel primissimi anni del Seicento), secondo una ormai corrente tradizione manieristica che dall’Italia, anzi dalle logge di Raffaello, si stava diffondendo in tutta Europa e la cui introduzione in Spagna viene appunto riferita dalle fonti a Niccolò Granello e al C., ma un po’ troppo semplicisticamente dati i precedenti dei grandi pittori spagnoli, Berruguete e Machuca, formatisi proprio nell’ambiente romano raffaellesco e poi dei Bacerra, collaboratore di Daniele da Volterra. Qualche notizia archivistica può essere più indicativa e utile al fine di individuare più particolarmente il contributo del C. nel complesso dei lavori. Nel 1582 infatti viene registrato un pagamento a lui fatto per una grande tela con La battaglia di Granada e nello stesso anno è ricordata anche un’altra sua tela rappresentante L’insieme della fabbrica del monastero, del collegio e del palazzo reale, che doveva essere mandata al re a Lisbona e della quale fu eseguita dallo stesso C. una seconda versione più grande l’anno successivo (lo stimatore, Diego de Urbina, precisa che il complesso architettonico vi appare “in perspectiba” come se si mirasse dall’alto); ancora Vincenzo Carducci nei suoi Diálogos ricorda nel palazzo del Pardo “cuadra de perspectiva” del C., condotti certamente dopo il 1607, quando un gruppo dì pittori, fra i quali erano anche i due Carducci e i due Cascese, si trovò a riprendere le decorazione del palazzo distrutto nel 1604 da un incendio. Queste citazioni fanno supporre che tocchi al C. una parte preponderante nell’elaborazione di quel genere di veduta a carattere insieme puntualmente documentario e decorativo cui si conformano le Battaglie nella sala che da esse prende il nome e per le quali è noto che venivano forniti da Rodrigo de Hollanda disegni con precise indicazioni riguardanti i colori e i contrassegni degli squadroni partecipanti agli scontri. Esse risultano condotte secondo un modulo cronachistico ma anche inseguendo una visione panoramica che trova un parallelo cronologicamente significativo negli affreschi eseguiti nella Biblioteca Sistina a Roma per ricordare i principali interventi urbanistici di Sisto V, opere legate più o meno direttamente alla presenza e alle indicazioni di Antonio Tempesta. Per il resto il lavoro del C. all’Escorial, allo stato attuale delle conoscenze, si perde entro la fioritura di decorazioni a grottesche che rivestono i soffitti degli ambienti citati.
Di altri lavori del C. per servizio della corte sia all’Escorial sia a Madrid sia a Valladolid, dove soggiornò durante il primo decennio del Seicento, si hanno solamente notizie documentarie: si tratta spesso di compiti modesti come, per l’Escorial, quello della doratura di stemmi o delle figure in gesso di Carlo V e dei suoi familiari che furono collocate nella chiesa al posto dei simulacri in bronzo dorato cui Pompeo Leoni stava lavorando; e, ancora, dei soliti apparati provvisori in occasione di feste e funerali cui collaboravano tutti i pittori del re. Anche di lavori più cospicui, ricordati dai docunienti, non è rimasta traccia: disegni per le nicchie dei monumenti funebri che il duca di Lerma faceva costruire in S. Paolo a Valladolid, per il retablo della chiesa del Salvatore nella stessa città (ma qui la sua partecipazione è incerta perché i documenti pubblicati da Marti y Monsó parlano di un Fabrizio “scultore”), le pitture del retablo del Cardoso (1593-1603), di un altro per la duchessa di Melito (1615), di una Morte di s. Alberto per i carmelitani di Madrid (1610).
Probabilmente sulla base del suo intervento nella “sala delle battaglie” il Ponz e il Ceán Bermúdez gli avevano riferito le scene della Battaglia di Mühlberg del castello di Alba de Tormes che poi i documenti hanno rivelato essere opere di Cristoforo Panni e di suo figlio Giovan Battista.
Morì il 30 marzo 1617 a Madrid (Ferrarino) lasciando libero il posto sempre assai ambito di pittore del re, immediatamente ma inutilmente richiesto dal figlio Felix avuto dalla prima moglie Catalina de Mata: questi, nato nel 1595 e morto nel 1651, si mostra ormai influenzato dalla pittura di Vincenzo Carducci di cui le fonti antiche lo dicono allievo. Nel 1614 il C. si era risposato con Inés da Vergara.
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