BOSSI, Fabrizio
Politico e diplomatico di nobile famiglia milanese, figlio di Simone, giureconsulto collegiato e magistrato, e di Angela Calvi, ne ignoriamo la data di nascita; seguì la carriera del padre concludendo il corso normale degli studi giuridici, entrando infine, nel 1596, nel collegio dei giureconsulti di Milano. Quattro anni dopo, nel gennaio 1600, il B. assumeva l'incarico di regio luogotenente dell'ufficio di provvisione sotto Marco Antonio Tosi e, l'anno successivo, era nominato vicario di provvisione dal nuovo governatore spagnolo conte di Fuentes. A questo lo raccomanderà ancora nell'aprile 1605, per il conferimento di altri incarichi di fiducia, lo stesso Filippo III, il quale gli accorderà successivamente, con un diploma del 3 luglio 1620, il feudo, con il titolo marchionale, di Castel Musso nel territorio di Como.
Il B., del resto, aveva trovato modo già da tempo di porsi in luce presso la monarchia spagnola per la pubblicazione nel 1599, presso lo stampatore milanese A. Ponzio, di una Oratio in funere Philippi II Potentissimi Hispaniarum Regis, che vide almeno tre edizioni sempre nello stesso anno (di cui una a Pavia presso la tipografia degli eredi di Girolamo Bartolo) e altre ancora nel 1600. Per altra parte, egli aveva curato in quegli anni di rafforzare il peso della sua famiglia nell'ambito della vecchia aristocrazia lombarda, cercando di integrare il prestigio e il decoro di recente conseguito dal casato (appartenente alla nobiltà di toga, arricchitasi e salita ai fasti del patriziato attraverso l'esercizio di uffici pubblici e di negozi diplomatici di fiducia) con pretese prove documentarie sulle antiche origini gentilizie dei Bossi. In particolare il B. rivendicò l'appartenenza del vescovo milanese s. Benigno, del 460, alla propria famiglia e non già a quella dei Bensi di Como. E nel 1617 i giudici romani, cui era stata deferita la vertenza, avevano finito - nonostante gravi incertezze di interpretazione, quando non esplicite obiezioni di falso - per autenticare le richieste del Bossi. Nel 1640 egli pubblicherà, a maggiore convalida della tesi, una memoria apologetica dal titolo Alla Santità di N. S. Papa Urbano VIII informazione,e documenti sopra il sigillo di ferro di S. Benigno Bosso,ed indulgenza,contro Francesco Benzio da Como, cui seguirà nel 1647 De Bossiis Viris Sanctis Benigno,et Ansperto Archiepiscopis in Compendium redacta monumenta. All'anno 1617 risale l'opera Origines Bossiae Gentis, che venne compilata dal B. per poter rendere noti i "restauri" apportati all'albero genealogico della sua famiglia.
Con questi nuovi titoli di merito e la concessione in quegli stessi anni di un proprio feudo nel Comasco, il casato si era venuto a collocare di fatto fra le più insigni famiglie della vecchia nobiltà lombarda; e anche le ambizioni del B. di ascesa alle più alte cariche pubbliche ne avevano tratto vantaggio. A lui riteneva anzi di ricorrere, a metà settembre del 1624, la stessa cittadinanza di Milano per una legazione straordinaria presso Filippo IV a Madrid, intesa ad alleviare i carichi fiscali nello Stato previsti in coincidenza con le ingenti spese di fortificazione di Alessandria, Novara e Cremona e della guarnigione di Soncino. Missione particolarmente difficile e delicata, tanto più che le istruzioni date dal vicario Lattuada e dal Consiglio generale di Milano al B., articolate in cinque punti, erano perentorie, giustificate dal progressivo peggioramento delle condizioni economiche locali: di ristagno degli affari commerciali e bancari, di impoverimento della finanza pubblica, di aggravamento degli oneri di soggiorno e di quartiere in città e nelle campagne di crescenti forze militari.
In particolare, si dava mandato al B. di respingere l'assegnazione del nuovo carico tributario alla città di Milano. Egli avrebbe dovuto chiedere, anzi, che "totalmente si disarmi, conforme anche agli ordini più volte replicati da S. M. in modo che la soldatescha si riduchi all'antico solito, cioè ad un terzo ordinario di fanteria spagnola, alle otto compagnie di cavalleria leggiera, comprese le due della guardia del Governatore per rispetto della gente d'arme al consueto numero vecchio". In secondo luogo, il B. avrebbe dovuto proporre che la corte spagnola desse mandato "che si osservi la riforma del Re Filippo II di gloriosa memoria fatto l'anno 1560, con la quale resterà di maniera abbilanciato, et agiustato l'Erario R. e, che tanta sarà l'entrata, come l'uscita", così da rimuovere "in gran parte la cagione d'aggravare, et consumar inutilmente i popoli". Infine, l'ambasciatore milanese era incaricato di perorare" che per il disimpegno del Real patrimonio si mandi di Spagna l'opportuna provisione de danari, stando maggiormente la totale impossibilità di ricavar qui dallo Stato alcuna cosa per tal bisogno, né per via di partiti, ed arbitri, né per via d'impositioni o collette, che né agli uni, né alle altre resta hormai più luogo". Ma un'ultima richiesta il B. era impegnato ancora a esporre; ed era quella che più stava a cuore, per intanto, alla magistratura milanese: che il sovrano spagnolo "seguendo l'ordine, che diede agli anni passati così preciso, et giusto si degni comandare, che con effetti non solo si rimborsi lo Stato dei soccorsi, et delle paghe date alla soldatescha di che va egli creditore, ma ancor si ristori da tanti altri danni patiti, se non in tutto come converrebbe alla grandezza, et clemenza di sì potente Monarca; almen in parte, come richiede l'estrema necessità di così fedeli, et divoti Vassalli, et quando la soddisfazione sia difficile da ottenersi in contanti, si procurarà di agevolarla in altro modo col mezzo de partiti, che si proponeranno". E il B. avrebbe dovuto far presenti, in questo senso, gli espedienti cui far ricorso: "il dare in pagamento l'aumento dei daci poco fa introdotto, et insieme los Juros meyorados, cioè il vantaggio dei redditi camerali ridotti, et riducendo gli altri dal sette alli cinque per cento; i feudi devoluti a ragione di tre per cento con obbligo di alienarli per un tempo prefisso; che si compensa con parte del mensuale ogni anno il credito dei soccorsi pagati, potendosi poi con le rendite stesse dello Stato mantenere la gente necessaria per difenderlo; gli effetti camerali de confiscationi, heredità vacanti di tempo in tempo, condannationi pecuniarie, che non sono applicate ad altri usi; le banche, e notarie si civili, come criminali che si trovano presso la R. Camera, et particolarmente quelle, che dipendono dall'Ufficio di Provisione". Ma il B. era lasciato libero di avanzare anche altre proposte pratiche per assolvere il suo incarico.
Ammesso in udienza da Filippo IV l'8 nov. 1624, egli aveva ricapitolato le istanze della "povera città di Milano" e rinnovato più tardi la richiesta di urgenti sussidi per la restaurazione delle finanze dello Stato. Ma ancora nel marzo 1625 il B. attendeva precisi impegni da parte della corte spagnola, tanto che, ormai scoraggiato, aveva finito per chiedere al Consiglio generale di poter far ritorno in patria. Una nuova lettera del vicario di provvisione del 15 aprile l'aveva invitato, tuttavia, a rimandare la partenza e a tentare nel frattempo nuovi sondaggi presso i ministri spagnoli, a causa della situazione gravosa che si era andata verificando nello Stato sia per il gran numero di militari ivi riuniti sia per l'indisciplina dei soldati. Di fatto, il territorio dello Stato milanese si trovava circondato da due eserciti francesi, l'uno in Valtellina, l'altro nel Genovesato; e, all'interno, erano di stanza numerosi reggimenti di fanteria, il "mantenimento della quale - così illustrerà il B. - è di grandissima spesa allo Stato così per le paghe, come per le armi, che gli deve provvedere, oltre il danno, che sente di perdere gli homeni, che attendono alla coltura delle terre".
A sbloccare la situazione e ad alleviare gradualmente le penose condizioni economiche e finanziarie che affliggevano il Milanese interverrà, qualche mese dopo, l'avvio dei negoziati segreti fra Parigi e Madrid sulla questione della Valtellina, che porterà nel marzo 1626 alla pace di Monçon. Al B. (che pubblicherà a Milano alla fine del 1625 la sua Relazione dell'Ambasciata di Milano presso la Maestà del Re) Filippo IV conferirà in compenso, al suo ritorno in patria, la dignità di senatore.
Gli anni successivi sono in pratica senza storia: impegnato nelle querelles genealogiche con i Benzi, già ricordate, egli compilerà ancora una memoria De Obelisco Vaticano, edita nel 1647. Aveva sposato Maria Rivoli di Bergamo e, in seconde nozze, la marchesa Laura Fregoso.
Il B. morì il 9 genn. 1649. Una lapide fu posta a suo ricordo, con l'iscrizione a caratteri di bronzo "Fabricio Bossio, urbis praefecto", vicino all'orologio, sulla torre che sorge nella piazza dei mercanti a Milano.
Fonti eBibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Compendio delle guide e ordini della città di Milano fatti dalli signori Fabritio Bossi,vicario et Dodici di Provisione (1601); F. Piccinelli, Ateneo de' letterati milanesi, Milano 1670, p. 179; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, col. CCXI; G. M. Mazzuchelli, Gli Scritt. d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1850-1851; A. Salomoni, Memorie storico - diplomatiche degli ambasciatori,incaricati di affari,corrispondenti e delegati che la città di Milano inviò a diversi suoi principi dal 1500 al 1796, Milano 1806, pp. 292-297; F. Calvi, Il patriziato milanese, Milano 1865, p. 467; D. Sant'ambrogio, Di una lapide milanese recentemente venuta in luce, in Arch. stor. lomb., XXX, (1903), pp. 240 s.; F. Arese, Elenco dei magistrati patrizi di Milano, II, I vicari di provvisione, ibid., XCI-XCII, 4 (1964-1965), p. 16; X. Toscani, Indice dei libri impressi nel sec. XVI nella Biblioteca Civica "Bonetta", Pavia 1969, p. 42; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, I, tav. II.