BOSCHI, Fabrizio
Nacque a Firenze intorno al 1570 da una famiglia in cui la disposizione al dipingere fu molto frequente. Secondo il Baldinucci, che lo conobbe personalmente, fu allievo del Passignano, ma l'assenza pressoché continua da Firenze di questo pittore dal 1579 al 1589, e quindi proprio negli anni della formazione del B., restringe entro limiti assai esigui l'effettiva consistenza di questo alunnato. È probabile tuttavia che il B. all'inizio della sua attività (nel 1590 veniva iscritto all'Accademia del disegno) si sia affiancato proprio al Passignano: questi, dopo il suo lungo soggiorno a Venezia, appariva nell'ambiente artistico fiorentino, fondamentalmente caratterizzato nell'ultimo quarto del secolo dall'adesione alla riforma antimanieristica e a suo modo naturalistica di Santi di Tito, il promotore di un nuovo interesse per una più duttile e fusa materia pittorica, volto a superare la rigorosa impostazione disegnativa tradizionale. Mancano però opere che possano documentare il primo aspetto del B. in questo importante ultimo decennio del secolo che vedeva a Firenze, accanto alle novità del Passignano e a quelle parallele del Ligozzi, veronese già da anni al servizio dei Medici, pur sempre deferenti nelle loro composizioni alla semplicità esemplare di Santi di Tito, le ricerche più impegnate e aperte a notevoli sviluppi del Cigoli e del Pagani, studiosi del Correggio e del Barocci. Il tabernacolo sull'angolo del palazzo del podestà in via Ghibellina con L'elemosina di s. Bonoventura, dipinto secondo il Baldinucci nella prima giovinezza, è troppo rovinato per poter essere valido elemento di giudizio e la Gloria di angeli che circondava un'antica immagine della Vergine in S. Marco non è più al suo posto.
È stato recentemente accertato (Gregori, 1959) che il B. dal 1602 al 1606 fu a Roma, meta in quel periodo di molti Toscani, tra cui proprio il Cigoli e il Passignano che vi ricevettero commissioni importanti. Neppure di questi anni romani si conoscono opere del B., ma la tela assai significativa con S. Pietro e s. Paolo condotti al martirio, che fu dipinta subito dopo il ritorno a Firenze, nel 1606, per la certosa del Galluzzo (oggi agli Uffizi) apre anche uno spiraglio sui suoi più antichi interessi e sulle sue più probabili frequentazioni romane.
La composizione complessa e movimentata, con passaggi di bella scioltezza pittorica, mostra chiaramente come il B. avesse ben meditato l'aspetto più nuovo del Cigoli sullo scorcio del secolo (negli angeli recanti le palme del martirio già il Venturi aveva notato qualche affinità con i risultati contemporanei del Rubens), mentre l'accentuazione espressiva di certi volti, la brusca energia del gioco luministico suggeriscono rapporti con il toscano Commodi che già da tempo lavorava a Roma. Il fatto più clamoroso di quegli anni romani, l'attività del Caravaggio, non gli passava inosservato, se non nel suo senso più riposto di totale rifiuto della tradizione figurativa, almeno nel suo aspetto più immediato di contrastata impostazione luministica; ma di questo offriranno testimonianza più chiara le opere successive, pur entro un contesto legato ai modi della cultura fiorentina.
Al secondo decennio del secolo, oltre le due lunette non particolarmente significative in una stanza dell'ex convento di S. Apollonia con la Salita al Calvario e la Preghiera nell'orto, datate 1613, e gli affreschi perduti della cappella grande di S. Pier Maggiore dove aveva ripetuto nel 1615 il soggetto del citato quadro della certosa, spettano forse gli affreschi della cappella Usimbardi della chiesa di Santa Trinita con Storie di s. Pietro e Virtù, il Martirio di s. Sebastiano di S. Felicita (cfr. Thiem, 1969) e soprattutto la tela della galleria commemorativa di casa Buonarroti con Michelangelo che presenta a Giulio II il modello del palazzo per il tribunale di Rota in via Giulia (1615-17).
Quest'opera, con le vicine tele di A. Fontebuoni e di F. Tarchiani, ben rappresenta, nella sua più decisa accentuazione luministica e nella calda intonazione cromatica, lo svolgersi e l'arricchirsi delle tendenze naturalistiche locali al lume delle esperienze romane, comuni a questi pittori, rinforzate anche dalla presenza a Firenze e nella stessa galleria della pittrice Artemisia Gentileschi, più direttamente partecipe della problematica caravaggesca. Anche in seguito le opere più meditate del B., molto attivo e ricercato, si fanno notare per una particolare chiarezza luminosa, entro la quale trovano vivido risalto le spettacolari stoffe damascate cui indulge il gusto locale, per una più libera disposizione della fantasia nell'invenzione, su cui già il Lanzi aveva posto l'accento e prima di lui più generosamente, ma non a caso, il Baldinucci quando vi scorgeva "un non so che del Maestro grande", "tocco galante e brioso, colpi franchissimi e spediti".
Il B. morì a Firenze nel 1642.
Benché dispersioni, trasformazioni di chiese e trasferimenti di opere, difficili, da rintracciare dopo numerosi cambi di sede, abbiano decimato il lungo elenco di opere del B. ricordate dal Baldinucci e da fonti antiche, la giustezza della sua buona fama è ancora solidamente documentata. Ricorderemo L'Ultima Cena, del 1619, a Careggi, probabilmente un tempo nell'ospedale di San Bonifazio, e soprattutto le due lunette di mano del B. entro la lunga serie degli affreschi dell'ex casino di S. Muco, oggi Corte d'assise - celebranti le Glorie di casa Medici, fatti dipingere intorno all'anno 1622-23 ai pittori più in vista a Firenze -, con il Ricevimento di un ambasciatore persiano e un'Allegoria in cui Cosimo II appare tra la Fama e la Pittura addormentata e imbavagliata, e ancora due lunette del chiostro grande di S. Marco con Storie di s. Antonino. L'alta qualità distingue fra le opere verisimilmente del terzo decennio il S. Bernardino da Siena e angeli e il S. Bonaventura comunicato dagli angeli entrambi nella chiesa di Ognissanti, opere preziose in cui l'accostamento al gusto più fiorito e profano dell'ambiente che si muove intorno al Coccapani e al Rosselli è sostenuto sempre da una lucida e calda sostanza pittorica. In seguito ancora opere come l'Apparizione della Vergine a s. Bernardo della chiesa di S. Frediano, stilisticamente abbastanza vicina ai quadri laterali della cappella Bonsi in S. Gaetano, databili intorno all'anno 1640, documentano un ulteriore svolgimento che, tenendo presenti soluzioni già implicite nell'opera del Cigoli, porta avanti la ricerca di una più sciolta e ariosa legatura sintattica, probabilmente in rapporto con le prime affermazioni del barocco nella pittura locale. Altre opere del B. si trovano in S. Giovannino degli Scolopi, nel conservatorio della Quiete presso Quarto, nella certosa del Galluzzo, nell'oratorio della SS. Annunziata presso Argiano.
Una insopportabile scontrosità di carattere, a detta del Baldinucci, rese impossibili i rapporti del B. non solo con gli aspiranti allievi come il Pignoni e il Chiavistelli, ma anche con i figli Francesco e Giuseppe, di cui non si ha altra notizia fuorché l'accenno brevissimo del Baldinucci e quello dello Zani; solamente Giovanni di Angelo Rosi resistette più a lungo. Furono fratelli del B.: Giuseppe Maria, morto giovane ma anch'egli iniziato all'attività artistica, Giovan Battista, orafo celebre e padre di Giacinto, egli pure orafo e incisore, e di Alfonso e Francesco entrambi pittori, infine Benedetto, incisore e pittore di paesaggi "bellissimi sulla maniera del Falgani" (Baldinucci). Nessuna opera è però oggi collegabile con l'attività dei fratelli del B., dei quali non si hanno neppure dati cronologicì salvo la data di morte di Giuseppe Maria (1653) e la notizia dello Zani che Benedetto "viveva nel 1620". Di un altro Boschi, citato anche dallo Zani, ha trovato traccia il Colnaghi nei registri dell'Accademia del Disegno dove si sarebbe immatricolato, nel 1585, supponendo che si tratti di un fratello più anziano dello stesso Fabrizio: un Antonio di Francesco Boschi, fu autore di una Impresa di Gerusalemme che nel 1638 era nella Galleria Palatina.
Fonti eBibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno ..., III, Firenze 1845-47, pp. 638 s., VII, p. 450; D. Moreni, Notizie istoriche dei contorni di Firenze, II, Firenze 1792, pp. 132, 145, 151; IV, ibid. 1793, p. 156; L. Lanzi, Storia pittorica dell'Italia, Firenze 1822, I, p. 196; P. Zani, Enciclopedia metodica... delle Belle Arti, I, 4, Parma 1820, pp. 217 s.; Catalogo della Raccolta di disegni autografi... donata dal prof. E. Santarelli, Firenze 1870, pp. 164 s.; D. E. Colnaghi, A Dictionary of Florentine painters, London 1928, p. 47; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, 7, Milano 1934, p. 717; W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I, Frankfurt a. M. 1940, pp. 218, 399 s., 417, 458, 486; II, ibid. 1941, pp. 71, 154, 332, 334, 603; III, ibid. 1952, pp. 32, 42; IV, ibid. 1952, pp. 18, 161, 174 s., 423, 425; V, ibid. 1953, p. 298; L. Marcucci, Catalogo di disegni d'arte decorativa, Firenze 1951, p. 10; M. Gregori, in Mostra del Cigoli e del suo ambiente (catal.), San Miniato 1959, pp. 215 s.; Id., Avant-propos sulla pittura fiorentina del Seicento, in Paragone, XIII (1962), n. 145, pp. 34 s.; A. R. Masetti, Il Casino mediceo e la pittura fiorentina del '600, in Critica d'arte, IX (1962), n. 50, pp. 1-27(passim), 53 s., 77-109 (passim);Id., Cecco Bravo..., Venezia 1962, p. 87; F. Sricchia, Lorenzo Lippi nello svolgimento della pittura fiorentina..., in Proporzioni, IV (1963), pp. 252 s.; G. e C. Thiem, Toskanische Fassadendekoration (catal.), München 1964, n. 100, ill. 196;U. Procacci, La casa Buonarroti a Firenze, Milano 1965, pp. 11, 33, 36, 171, 174, 181, 220; K. Andrews, Catalogue of Italian drawings (National Gallery of Scotland), Cambridge 1968, I, p. 22; II, p. 30;S. Jacob, Florentinische Elemente in der Spanischen Malerei, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XIII (1967-68), pp. 147-49;Ch. Thiem, F. B. and Matteo Rosselli: drawings relating to the theme of the Martyrdom of St. Sebastian, in Master Drawings, VII (1969), pp. 148-151;A. Petrioli Tofani, Feste e apparati medicei... (catal.), Firenze 1969, p. 94 n. 47;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlex., IV, p. 392.