LUNA, Fabricio (Fabrizio)
Non si conoscono data e luogo di nascita del Luna; nella Bibliotheca Sicula di A. Mongitore figura quale "nobilis Panormitanus, poeta egregius, Petri Gravinae poetae Siculi Panormitani discipulus", ma a smentire la notizia di un'origine siciliana e a dare qualche ragguaglio sulla sua biografia interviene l'opera alla quale si deve la sua sia pur circoscritta notorietà: il Vocabulario di cinquemila vocabuli toschi non men oscuri che utili e necessarj del Furioso, Bocaccio, Petrarcha e Dante nuovamente dichiarati e raccolti da Fabricio Luna per alfabeta ad utilità di chi legge, scrive e favella (Napoli, G. Sultzbach, 1536). Alla voce Calavria, il L. precisa che suo padre era nato per l'appunto in tale regione, figlio di un Guerriero da Luna, di origine spagnola (c. H1v). Alla voce Parthenope definisce invece Napoli "patria tanto da me amata" (c. X2v): lì infatti visse e fu allievo di P. Summonte e di Gravina. Altrove ricorda di avere avuto Dragonetto Bonifacio coetaneo e "socio", "anci S[ignore], nella schola del gran Summontio" (c. H1r). Poiché la nascita di Bonifacio risale ai primi anni del XVI secolo, entro il primo decennio vanno collocati anche i natali del L.; una conferma viene dall'introduzione al Vocabulario, nella quale il L. dichiara di essere nei suoi "anni giovenili" (c. B4v). Prive di fondamento sono invece le notizie tramandate circa viaggi del L. a Milano, Ferrara, Venezia e in Toscana, in occasione dei quali avrebbe incontrato tra gli altri P. Bembo e L. Dolce.
Tra il 1535 e il 1536 il L. fu bersaglio di due componimenti satirici in versi latini di N. Franco (editi da A. Altamura). Franco, stabilitosi a Napoli, dove aveva esordito con la raccolta di epigrammi latini Hisabella (Napoli, G. Sultzbach - M. Cancer, 1535), prese di mira il L. per i suoi modesti versi latini e per il Vocabulario. Le poesie in questione potrebbero essere quelle raccolte in un Sylvarum, elegiarum et epigrammatum libellus (Napoli, M. Cancer, 1534), che Minieri Riccio attribuisce al L. e che Manzi (1972, p. 36) accoglie negli Annali del Cancer, sebbene del libro non risulti conservato alcun esemplare.
Un qualche ruolo non proprio marginale del L. nella cultura napoletana è provato dalla presenza di suoi componimenti poetici latini in opere di scrittori contemporanei, tutte uscite dai torchi di Cancer: nello Speculum iuventutis di M. Biondo (1534, c. 52v), nel De Resurrectione et Ascensione Christi di V. Manerio (1545, c. 2v), nella Oratio di C. Martirano Recitata MDLIIII XXV novemb. coram prorege et Vasti marchione pro ipso rege nuntio in capiundo Regno( Nec non F. Lunae regium epithalamium, ad reges suos ser. et eiusdem hymnus ad Vasti principem (1555; l'epitalamio è per le nozze di Filippo d'Asburgo con Maria Tudor: Epithalamium sereniss. Maria Angliae reginae, et sereniss. regis Philippi Austrii, quod fuit XVIII Aug. MDLIIII Fabricius Luna fidelis servus). Il fatto che Manerio e Martirano erano calabresi parrebbe confermare l'origine del L. da quella regione.
Non è noto altro della vita del Luna; secondo Spera egli era già morto nel 1559.
Il Vocabulario ha generato perplessità tra gli studiosi per i frequenti errori e stravaganze nelle etimologie, per l'impiego di voci napoletane nelle definizioni (come appicciare per accendere, in coppa per in cima ecc.), per la ripresa di termini e definizioni da altri autori (per es. dal Vocabulario del Decamerone di Lucilio Minerbi, Venezia 1535), per la presenza di raggruppamenti arbitrari sotto un'unica voce, o ancora per l'inserzione di numerose voci enciclopediche e di materiale aneddotico e autobiografico (alla voce iota, c. R1v, un sonetto acrostico rivela il nome della donna amata dal L.: Isabella Pietramala). Tuttavia, proprio per il numero e la qualità dei riferimenti a letterati del tempo, il Vocabulario "resiste a ogni condanna, esiste cioè come documento ricchissimo e vivacissimo, di cui nessuno mai studioso della letteratura napoletana di quell'età ha potuto o può fare a meno" (Dionisotti).
Come è spiegato nella dedica a Bernardino Ventimiglia, il L. intende occuparsi di "questa lingua con la quale negotiamo, scriviamo e continuamente parliamo" (c. A2r). Rivolgendosi poi ai lettori, specifica: "la quale [lingua] io non contrasto come Toscha ma come la comune Italiana che come sapeti ogni lingua da sé è men buona ma la mescolata è la bella e la perfetta, in questo favorendom'il cortigiano e molti altri spirti degni d'[i]stima" (A3v). La proposta del L., riecheggiante le posizioni di G.G. Trissino e B. Castiglione, appare in realtà priva di indicazioni circa le regole e i meccanismi di un processo giudicato in fieri: dopo avere formulato infatti un elenco di oltre quaranta nomi di autori "antiqui e [(] moderni" (c. A2r), il L. demanda l'apprendimento della lingua "mescolata" direttamente alla lettura delle loro opere. Non privo di interesse è parso tuttavia l'accostamento di scrittori di provenienza eterogenea, viventi e non: eccezion fatta per taluni "antiqui" (Dante, Petrarca, Boccaccio, Cino da Pistoia, Guido da Pistoia, Arnaut Daniel, A. Fregoso), diversi autori figuravano in precedenza tra i "nobilissimi ingegni" presenti alle "disputazioni" tenute nella corte di Urbino e ricordate nel Cortegiano (come Ottaviano e Federico Fregoso, Giuliano de' Medici, P. Bembo, Cesare Gonzaga, Ludovico da Canossa, Gaspar Pallavicino, Morello da Ortona, Pietro da Napoli, Roberto da Bari, B. Dovizi da Bibbiena, B. Accolti ecc.), oppure erano citati nell'opera di Castiglione. Pur senza tentarne una classificazione, il L. segnalò personalità di rilievo di altre aree (A. Poliziano, N. Machiavelli, M.M. Boiardo, E.S. Piccolomini, Trissino, G.F. Fortunio, N. Liburnio ecc.), inserendo inoltre figure come Giovanni Pollio Lappoli, G.G. Calandra, Vittore Fausto: nomi, questi ultimi, fatti da P. Aretino nel Marescalco (atto V, sc. III, vv. 7 ss.), che costituì con ogni probabilità, anche per altri autori in elenco, una fonte del Luna.
Il Vocabulario documenta d'altro canto l'"abitudine ormai diffusa di rimare in volgare e dà conto della stretta relazione, chiaramente avvertita, tra la preoccupazione che conduceva alla ricerca di una lingua letteraria e la produzione poetica" (De Blasi - Varvaro). Significativa in tal senso è la menzione, nel corpo dell'opera, di componimenti di poeti sconosciuti o quasi (Mascambruno di Venafro, Celio Frisca, Ganimede Panfilo della Marca, Marco Antonio Magno di Santa Severina, di cui L. cita un epigramma volgare Charon Charon alla fine della lettera Q, ecc.). Tra costoro, un posto a parte merita Dragonetto Bonifacio, di cui il libro del L. conserva alcuni madrigali, studiati da E. Percopo sul finire del secolo XIX.
Considerato esempio di una resistenza napoletana al modello bembiano - ai sostenitori della favella toscana il L. rispondeva polemicamente che, dopo Dante, Petrarca e Boccaccio, "ristoratore" della lingua era stato il napoletano Sannazaro -, il Vocabulario costituisce un tentativo di catalogazione dei poeti in volgare attivi a Napoli, in cui significativamente sono inclusi i nomi di Alfonso d'Avalos, L. Tansillo, Vittoria Colonna: sicché, nel complesso, se pure "in ritardo rispetto al suo tempo", l'opera "appare la registrazione [(] del persistere, ancora nel 1536, di una linea municipale, ostentata fin nella patina vernacolare del dettato, aggregata a ridosso di casa d'Avalos, ancorché alla vigilia di un definitivo smantellamento per effetto anche del passaggio di Alfonso a Milano" (Toscano, p. 119).
In appendice al Vocabulario, oltre a una serie di componimenti poetici tra cui l'Epistola in terzine scritta nel 1512 dalla Colonna e una corona di ottave moraleggianti di Veronica Gambara, si leggono alcuni Fermagli dello stesso Luna. Si tratta di una silloge di brevi unità narrative che spiegano l'origine e il significato di altrettanti gioielli che, appuntati sui capi di abbigliamento, comunicavano, attraverso figure e iscrizioni cifrate, messaggi per lo più d'amore.
Fonti e Bibl.: P. Spera, De nobilitate professorum grammaticae(, Neapoli 1641, p. 356; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, I, Panormi 1707, p. 192; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 185; E. Percopo, Dragonetto Bonifacio marchese d'Oria, rimatore napoletano del sec. XVI, in Giorn. stor. della letteratura italiana, X (1887), pp. 197-233; Madrigalisti napolitani anteriori al 1536(, a cura di E. Percopo, Napoli 1887, passim; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1902, p. 138; O. Olivieri, I primi vocabolari italiani fino alla prima edizione della Crusca, in Studi di filologia italiana, VI (1942), pp. 98-109; A. Altamura, F. L. e due invettive inedite di Niccolò Franco, in Samnium, XXIII (1950), pp. 100-105; C. Dionisotti, Appunti sulle rime di Sannazaro, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXL (1963), p. 203; P. Manzi, Annali di Giovanni Sultzbach (Napoli 1529-1544 - Capua 1547), Firenze 1970, pp. 69 s.; Id., La tipografia napoletana nel '500. Annali di Mattia Cancer ed eredi (1529-1595), Firenze 1972, pp. 34, 36, 42, 63, 105; P. Sabbatino, Il modello bembiano a Napoli nel Cinquecento, Napoli 1986, pp. 38-42; N. De Blasi - A. Varvaro, Napoli e l'Italia meridionale, in Letteratura italiana (Einaudi), Storia e geografia, II, L'età moderna, 1, Torino 1988, p. 310; C. Vecce, La parola e l'icona: dai rebus di Leonardo ai "fermagli" di F. L., in Achademia Leonardi Vinci, VIII (1995), pp. 175 s.; T.R. Toscano, Letterati, corti, accademie. La letteratura a Napoli nella prima metà del Cinquecento, Napoli 2000, pp. 117-120.