LAGONISSA, Fabio
Nacque a Napoli nel 1584 (o, meno probabilmente, nel 1585), figlio cadetto di Giovanni Battista, dell'antica e nobile famiglia campana dei La Gonessa (poi Leonessa) duchi di San Martino e principi di Sepino, e di Feliciana Caracciolo. Della sua prima giovinezza non si hanno molte notizie, se non che la trascorse a Napoli, dove si addottorò, poco più che ventenne, in diritto civile e canonico. Trasferitosi a Roma, pose le basi di una significativa carriera: già sotto il pontificato di Paolo V ebbe titoli, uffici e incarichi che gli permisero di assumere, in breve periodo, una posizione di rilievo in Curia. Già referendario della Segnatura di grazia e di giustizia, nel 1614 divenne inquisitore di Malta, dove il tribunale del S. Uffizio era stato istituito nel 1574 su disposizione di Gregorio XIII. Del S. Uffizio, ancora sotto Paolo V, il L. divenne consultore. Al 21 febbr. 1622, sotto il pontificato di Gregorio XV, risale la sua consacrazione, per mano del cardinale Ottavio Bandini, ad arcivescovo della diocesi di Conza, piccola città nel Napoletano con una rendita annua di medio valore, 5000 ducati, decurtati di 2000 ducati a titolo di pensioni. L'ascesa al soglio pontificio di Urbano VIII e la considerazione di cui il L. godeva presso il cardinale nipote e segretario di Stato, Francesco Barberini, determinarono il consolidamento delle sue posizioni in Curia e segnarono una svolta nella sua carriera. Nominato, nel 1626, vicedatario di Egidio Orsini de Vivariis - subentrato al datario Giacomo Cavalieri, nel frattempo diventato cardinale - il L. accompagnò, nello stesso anno, Francesco Barberini nella sua legazione in Spagna.
Malgrado la diffidenza suscitata, per la polemica innescata con le regole del cerimoniale della corte madrilena che lo poneva in posizione subordinata rispetto agli arcivescovi spagnoli, la missione in Spagna fu per il L. l'occasione per essere introdotto negli ambienti politici internazionali e per sperimentare le sue capacità diplomatiche nelle questioni politico-religiose. Dopo il viaggio in Spagna, il 6 giugno 1626, gli fu affidata la collettoria generale del Portogallo, di cui resse la nunziatura, incarico ufficialmente affidato ai collettori dopo il richiamo del nunzio, seguito alla perdita di indipendenza del Portogallo nel 1580.
Il 13 marzo 1627 il L. lasciò la collettoria del Portogallo, perché chiamato da Urbano VIII, su proposta del cardinale Barberini, alla carica di nunzio apostolico nelle Fiandre. La nunziatura era stata istituita nel 1596 da Clemente VIII, spinto da Filippo II a dare veste autonoma alla rappresentanza pontificia nei Paesi Bassi, competenza fino a quel momento della nunziatura di Colonia. Il 20 marzo 1627 il L. partì da Bologna alla volta di Bruxelles, raggiunta a maggio, per subentrare a Giovan Francesco Guidi di Bagno, trasferito alla nunziatura di Francia.
La centralità delle Fiandre nel sistema di alleanze europeo, la conflittualità religiosa, la tensione legata agli sviluppi della guerra dei Trent'anni facevano della nunziatura di Fiandra una carica di primissimo piano, da gestire con fermezza e con estrema prudenza. A questi principî sono ispirate le dettagliate istruzioni della segreteria di Stato che il L. ricevette poco dopo il suo arrivo in sede. In esse si sottolinea l'urgenza di intervenire su diversi fronti: la difesa e l'estensione della fede cattolica con particolare riguardo verso il diritto alla libertà religiosa per i cattolici ancora presenti nelle Province Unite, facendo ricorso alla forza delle armi e all'attività missionaria, cui il L. dedicò un serrato impegno organizzativo in un'ampia area che copriva l'Olanda, le isole britanniche e i paesi baltici; il mantenimento dell'autorità della S. Sede e della giurisdizione ecclesiastica, pur con la cautela necessaria a evitare contese con le autorità temporali; il controllo della disciplina del clero secolare e regolare, attraverso la collaborazione con i vescovi; infine, la necessità di fare leva sull'intervento dell'infanta Isabella, sovrana dei Paesi Bassi spagnoli, a favore di una convergenza delle armate asburgiche e francesi nella guerra ai principi protestanti, un'opera di mediazione tra i sovrani cattolici che coinvolgeva tutte le nunziature d'Europa in sostegno della pericolante Lega cattolica tedesca, anche favorendo i rapporti tra i principi membri e tra questi e l'imperatore Ferdinando II.
Il L. fu fedele esecutore delle direttive romane. Lucido osservatore e attento informatore delle dinamiche politiche internazionali, interpretò il suo ruolo in chiave estremamente attiva. Posto in estrema difficoltà dalle divergenze esistenti tra la corte madrilena e quella di Bruxelles, costretto ad affrontare le rivalità nella famiglia regnante di Francia e una situazione internazionale politicamente complessa e difficilmente controllabile, non esitò tuttavia a impegnarsi, con particolare intensità tra il 1631 e il 1632, in favore degli accordi franco-spagnolo e franco-imperiale, mai conclusi, ai danni della potenza svedese. Ebbe, allo stesso tempo, l'abilità di destreggiarsi tra la direttiva di consigliare a Isabella la prosecuzione della guerra con le Province del Nord e la necessità di non contrariarla nei suoi propositi di pace, contribuendo al mantenimento delle buone relazioni tra Roma e Bruxelles. La sua non fu tuttavia una missione esente da contrasti: furono la materia giurisdizionale e i rapporti tra il potere civile e quello ecclesiastico, nei Paesi Bassi piuttosto orientati in favore del primo, a determinare le maggiori frizioni. Il L. si impegnò per la salvaguardia dell'immunità fiscale del clero, per l'affermazione delle prerogative di Roma nella designazione degli ecclesiastici e nell'assegnazione dei benefici, per il controllo sugli ordini religiosi e sulle forme di devozione (sradicò i neonati istituti delle "gesuitesse", sospesi da Urbano VIII nel 1631).
Una crisi profonda si consumò - tra il 1628 e il 1629 - tra il L. e il Consiglio di Brabante, che aveva cassato, perché sprovvisto del placet del potere civile, un monitorio papale di scomunica per quei nobili che non avessero restituito, secondo previste modalità, beni mobili della Chiesa in loro possesso. Minacciando di scomunica l'intero Consiglio e dando libero corso al monitorio, il L. colse l'occasione per dare seguito alla direttiva romana di correggere l'abuso, da parte dell'autorità temporale, di privilegi fondati su antichi atti di cui la Chiesa stentava ormai a riconoscere la validità. L'intervento di Isabella moderò la reazione del governo di Madrid, che chiedeva il richiamo del nunzio, mentre da Roma, pur non prestando orecchio alle richieste spagnole, si invitava il L. ad agire con maggior prudenza. Non di rado, in effetti, gli fu rimproverata la mancanza di discrezione e di cautela. Perciò, benché la sua condotta non avesse inficiato i rapporti con il governo di Bruxelles, mantenutisi su un registro di sostanziale cordialità, è probabile tuttavia che la sua irruenza, accompagnata, a quanto sembra, da un certo gusto per il lusso e per l'eccesso, abbia pesato sulla scelta di non affidargli altri incarichi dopo il suo ritorno a Roma, nel gennaio del 1634, dovuto alla morte di Isabella e alla temporanea sospensione della nunziatura in attesa che al governo delle Fiandre tornasse un principe di sangue. La nunziatura di Fiandra, per alcuni trampolino per importanti missioni diplomatiche o per il cardinalato, non ebbe invece seguito positivo nella carriera del L., né la lunga fedeltà ai Barberini gli procurò ulteriori benefici. Non può essere considerata tale la nomina, nel novembre del 1634, al patriarcato di Antiochia.
Dopo avere rinunciato, nell'aprile del 1645, all'arcivescovato di Conza, per essere sostituito pochi mesi dopo da Ercole Rangoni, visse gli ultimi anni a Roma e morì a Napoli nel febbraio del 1659.
Le sue spoglie, sepolte nella chiesa di S. Agostino a Ercolano, furono poi trasferite dal principe di Sepino, suo nipote, nell'abbazia benedettina di Montevergine, dove lui stesso, nel 1652, aveva fatto erigere il proprio monumento sepolcrale nella cappella di famiglia.
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