DANZETTA, Fabio
Nacque a Perugia il 19 luglio 1769 da Nicola e Chiara Friggeri. Appartenente ad una delle famiglie più antiche e più ricche dell'alta borghesia cittadina, più ligia ai canoni ed ai dettami della politica pontificia (i fratelli maggiori Giacomo e Gianantonio, ecclesiastico, occuparono importanti cariche ed ebbero strette relazioni con gli ambienti romani), ricevette una educazione tradizionale, in un ambiente che - almeno in superficie - sembrava impermeabile ad ogni influenza innovatrice del tempo.
Laureatosi in legge nella città natale nel 1789, il D. nello stesso anno si affiliò all'Arcadia con il nome di Egelindo Clitoneo. Parallelamente si avviò il suo inserimento nella vita pubblica: fu nominato capitano onorario delle milizie a cavallo il 25 sett. 1790 e nel 1795 fu ascritto fra i membri del Collegio della mercanzia. Una carriera tradizionale: tanto più sorprendenti, quindi, l'imputazione rivoltagli nel 1796 di far parte di un gruppo di "sovversivi", il conseguente arresto e la prigionia di quattro mesi.
Non mancavano all'interno della città - come in tutto lo Stato pontificio - motivi di malcontento per la situazione esistente: strade bloccate, ambizioni insoddisfatte, ansie di affermazione e desideri di partecipazione attiva alla vita amministrativa confluivano in un'opposizione più o meno latente, di appartenenti alla borghesia medioalta ed anche all'aristocrazia, al governo prelatizio. Motivazioni che potevano spingere a rompere con la tradizione e portare ad abbracciare la causa rivoluzionaria, anche se negli ambienti frequentati dal D. si fraintendevano o si coglievano superficialmente i fermenti innovatori esterni. Il D. però rivendicò la matrice ideologica della sua scelta politica: "Io sono uno di quegli esseri gettato nella rivoluzione non per ambizione, né per interesse, né per libertinaggio giacché la mia nascita ed educazione e più d'ogn'altro la mia condotta tenuta in tempo di R[epubblica] ne fanno indubitata prova, ma una opinione resa falsa dall'esperienza cioè che un governo Democratico potesse recare del bene al umanità e che mi fece abbracciare con gran trasporto la rivoluzione..." (FondoDanzetta, lettera del D. al fratello Giacomo del 20 giugno 1798).
Sulla reale profondità di questa scelta è possibile nutrire dubbi nella verifica dei suoi alterni atteggiamenti. Comunque è certo che, almeno all'inizio, egli si votò con "gran trasporto" alla causa rivoluzionaria, perché in un appunto anonimo del 27 ott. 1796 (ibid.) si parla di lui come di un elemento "non papista", che era stato arrestato per "ordine supremo... per causa della di lui lingua relativamente agli affari correnti".
La prigionia durò quattro mesi: caso abbastanza raro in Umbria, dove circolavano voci di attività "sovversive", ma dove nessuno risultava per questo inquisito e condannato se non agli esercizi spirituali.
La condanna non ebbe effetti sulla sua vita pubblica. Il D. rappresentò per due volte consecutive, nel corso del '97, il Collegio della mercanzia, e lo rappresentò anche nel primo trimestre del '98: era, anzi, anche "capo ufficio" nella suprema magistratura del comune, quando arrivarono a Perugia per la prima volta - il 4 febbraio - le truppe francesi. Proclamata la repubblica, venne nominato dagli occupanti tra i "municipalisti" incaricati di reggere la città e successivamente comandante del I battaglione della guardia nazionale: sono chiaramente documentati il suo pieno appoggio e il suo diretto impegno nella frenetica attività di riforma attuata dal gruppo giacobino. Restò a Perugia solo un mese, perché il 5 marzo gli giunse notizia della sua nomina a tribuno: nomina caldeggiata dal generale A. Balliard, che lo aveva confermato nelle sue posizioni di potere nell'amministrazione cittadina, e da A. Brizi, il più noto avvocato perugino, già a Roma come delegato della città alla festa della Federazione e senatore nel nuovo Stato. Nonostante il parere contrario del fratello Giacomo, che lo sconsigliava di esporsi ulteriormente, il D. si recò a Roma, dove partecipò con assiduità, ma senza mettersi particolarmente in mostra, ai lavori dell'Assemblea. Dalla sua corrispondenza appare colpito soprattutto dall'apparenza formale del nuovo regime, abbastanza impreparato e forse non perfettamente consapevole del significato che esso aveva: non appare comunque inserito nei circoli politici cittadini.
La divergenza politica con la famiglia non gli impedì di mantenere stretti rapporti epistolari, dai quali appare il suo ruolo di mediatore tra i nuovi gruppi di potere e gli amici aristocratici, che lo incaricavano di ottenere sgravi fiscali o di intercedere per chi cadeva in disgrazia. Le lettere riflettono chiaramente un "doppio orientamento" tipico di molti nuclei familiari dello Stato pontificio, atteggiamento che permetteva di sopravvivere a tutte le esperienze ed avversità.
Allo scoppio della reazione e con l'invasione napoletana, il D. scappò a piedi verso Perugia, non ancora investita dalla guerra, anche se la situazione del contado non era stata e non era affatto tranquilla a causa dell'insorgenza contadina. Quando il Tribunato iniziò nuovamente i lavori, nel febbraio '99, tornò a Roma, dove fu chiamato a far parte della commissione speciale che doveva decidere sull'organizzazione della guardia nazionale sedentaria.
Ignoriamo quando fece ritorno nella sua città alla crisi del regime: comunque, al momento della capitolazione di Perugia alle truppe austro-aretine, verso l'inizio dell'agosto '99, il D., forse fidando sulla sua precedente azione moderatrice tra le opposte fazioni, forse fidando sulla protezione che la sua famiglia e quella amica Degli Oddi sembravano offrirgli, non cercò salvezza nella fuga. Il 4 agosto venne arrestato, rinchiuso nel carcere cittadino di S. Tommaso e poi tradotto ad Arezzo, il 23 agosto, con altri patrioti giudicati tra i più accesi "giacobini" di Perugia. Ricondotto con gli altri in Perugia il 30 genn. 1800, restò in carcere fino a che non gli giunse la grazia papale, il 2 novembre: libertà che ebbe brevissima durata, perché nella notte tra il 13 ed il 14 dello stesso mese venne nuovamente arrestato e condotto a Roma.
I motivi della detenzione non appaiono abbastanza chiari, nonostante il vasto materiale documentario. Attraverso la fitta corrispondenza tra il fratello Giacomo e gli avvocati incaricati della difesa - A. Brizi, l'ex giacobino ritornato a posizioni di prestigio anche se era stato pesantemente implicato negli avvenimenti precedenti, e il canonico O. Degli Oddi -, si viene a conoscenza dei particolari riguardanti la dura prigionia del D. nelle carceri Nuove: accenni alla sua salute e alle sue condizioni psicologiche, impressioni sull'atteggiamento dei ministri e della Consulta di Stato nei suoi riguardi. Le sue lettere alla famiglia ne testimoniano invece la profonda crisi spirituale, la stanchezza, la delusione.
Commutata la condanna "alla fortezza... per un tempo indefinito" nel bando dallo Stato, ebbe inizio per il D. un lungo esilio che lo portò a spostarsi continuamente nell'Italia centrosettentrionale: le sue lettere, pur se abbondanti per questo periodo, sono prive d'importanza da un punto di vista politico (probabilmente anche a causa del timore della censura); esse riflettono soprattutto preoccupazioni finanziarie e ricordi nostalgici per la propria città. Fallito il tentativo di ottenere la grazia, si stabilì a Milano, dove restò fino al 1808; con l'avanzata di Napoleone, si spostò prima a Livorno e poi a Firenze, per far ritorno - dopo otto anni di esilio - a Roma, il 21 dicembre dello stesso anno, e qui soggiornò fino al 1809. Nel dicembre si trasferì a Spoleto in qualità di consigliere di prefettura, riportato a un ruolo di primo piano - insieme con tanti altri compagni - dalla nuova situazione politica. Grande è la quantità di materiale che testimonia la sua attività, il suo impegno e la sua adesione al sistema politico ed amministrativo napoleonico, anche se qualche volta egli si mostra critico verso scelte che - soprattutto in campo religioso - giudica poco pertinenti alla realtà del paese. Durante un breve soggiorno, a Perugia, secondo un suo biografo, A. Rossi, vi fondò "una scuola di massoneria".
La notizia è confermata dallo stesso D. in una lettera a Giacomo, del 5 apr. 1816 da Firenze (Fondo Danzetta), successiva al crollo dell'Impero, in cui lo pregava di far sparire "tutti i Diplomi, e bigiù appartenenti alla massoneria" per paura di ricadere in nuove condanne. Un'altra testimonianza (del 26 sett. 1814, ibid.) è quella del parroco V. Fittaioli, che annotava la richiesta del D. "d'essere assolto dalle censure ... incorse per essersi aggregato alla Società chiamata dei Liberi Muratori ..." e la sua dichiarazione d'essere pronto a rivelare i nomi degli affiliati in cambio di un attestato di buona condotta.
Al crollo del regime napoleonico, per paura di nuove rappresaglie, il D. si recò a Firenze e poi a Bologna, per intraprendere (settembre 1816) un lungo viaggio attraverso la Francia, l'Inghilterra, l'Olanda e la Svizzera. Le sue osservazioni, riportate in due taccuini di viaggio, Libro primo de' viaggi di Fabio Danzetta del 1816 e Proseguimento del viaggio di Fabio Danzetta fatto nel 1816 (Fondo Danzetta) colpiscono per genericità e superficialità, e forse il viaggio fu intrapreso proprio per operare una frattura con il passato.
Il 1817 segnò per il D. il reinserimento nella vita di una Perugia silenziosa e inerte, alle prese con i gravi problemi della Restaurazione: era un uomo non più giovane, stanco, disilluso, desideroso di non farsi notare. Lo stesso anno si sposava, piegato a ciò da pressanti motivi: la famiglia era sul punto di estinguersi, in quanto Giacomo, l'unico ammogliato, era senza eredi. La scelta era caduta su Tommasa Oddi Baglioni, di ventitré anni più giovane, e che portava in dote, oltre a un nome antico e prestigioso, la cospicua somma di 10.000 scudi.
L'ultimo periodo di vita del D., vastamente documentato, fu dedicato solo all'amministrazione del florido patrimonio familiare (unificato dopo la morte dei fratelli) e di alcuni enti assistenziali, tra i più famosi della città, come il Monte di pietà e il sodalizio di S. Martino. Allo scoppio dei moti del 1831 egli non aderì al nuovo regime e vide premiato il suo atteggiamento da papa Gregorio XVI, che lo designò barone il 3 giugno 1832. Caso emblematico: il D., che aveva rappresentato la "prima generazione rivoluzionaria" della sua famiglia, riuscì altresì a coronarne, sotto un pontefice, l'ascesa sociale.
Morì a Perugia il 4 marzo 1837.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Perugia, Fondo Danzetta (in collocazione provvis.; cfr. C. Minciotti, Le carte del Fondo Danzetta all'Arch. di Stato di Perugia, in Rass. stor. del Risorgimento, LX [1973], pp. 437-42); Ibid., Periodo 1797-1816, Repubblica romana, carte sparse; Perugia, Bibl. comun. Augusta, ms. 1619: Appunti biografici da servire per la compilaz. delle biografie dei Pastori arcadi; Ibid., ms. 1862: Memorie di F. Macinara dal 1225 al 1505 (con un'append. di notizie su componenti delle famiglie Danzetta ed Ansidei dal 1639 al 1859); A. Rossi, Albero geneal. della Perugina Famiglia Danzetta con note storiche ai nomi dei personaggi che lo compongono, Pisa 1881; Cronaca della Repubblica francese in Perugia, in Boll. della R. Dep. di storia patria per l'Umbria, XXXI (1934), pp. 11, 53, e XXXIII (1935), pp. 38 s.,56, 84; Cronaca inedita di G. B. Marini, ibid., p. 106; G. Degli Azzi, Gli Umbri nelle Assemblee della patria, in Archivio stor. del Risorg. umbro, VIII (1912), fasc. 2-3, pp. 103, 105 ss.,118, 121 s., 130; T. Casini, Il Parlam. della Rep. romana del 1798-99, in Rass. stor. del Risorgimento, III (1916), pp. 548 s.; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, Città di Castello 1960, II, p. 346; C. Minciotti, Un perugino tra due rivoluzioni: F. D. (1769-1837), in Boll. della Deput. di storia patria per l'Umbria, LXX (1973) pp. 93-145.