CARANDINI FERRARI, Fabio
Nacque a Castelnuovo di Garfagnana (dove suo padre era governatore) il 30 marzo 1578, secondogenito di Paolo e di Claudia Ferrari, figlia di Camillo, nobile centese. Ebbe il nome di Fabio in memoria di uno zio, morto da poco, che era stato segretario di s. Carlo Borromeo. Rimasto orfano di padre nel 1590, passò l'adolescenza nella casa del nonno materno a Cento, dove fece i primi studi. Ottenne la laurea in leggi non sappiamo dove né quando: forse a Roma, dove studiarono anche altri membri della famiglia e dove risulta che egli si era già stabilito nel 1608. Nel 1612, poiché la città di Ferrara aveva a Roma un suo avvocato concistoriale, il duca di Modena raccomandò a quella comunità il C. che aspirava a quell'incarico: forse l'ottenne giacché poco dopo gli fu conferita la cittadinanza ferrarese.
Camillo Ferrari, uomo assai ricco, morendo senza figli maschi aveva istituito una primogenitura in favore dei figli di Claudia, a patto che il chiamato a succedere assumesse il nome di Ferrari e risiedesse nella casa di Cento. Toccò la primogenitura ad Andrea Carandini; ma nell'anno 1614, morto costui senza figli maschi, gli subentrò il C., che, avendo ereditato beni anche dal padre, diventò molto ricco ed ottenne da Paolo V la dispensa dall'obbligo di risiedere a Cento.
Il C. continuò quindi a risiedere a Roma esercitando l'avvocatura ed occupandosi dell'amministrazione del suo patrimonio, che divenne sempre più ingente. Comperò la contea di Talamello e nel 1615 sposò la romana Imperia Incassati, dalla quale ebbe due figli, Camillo, morto nel 1663, e Anna Maria. Nel 1619 ebbe incarico dal cardinale Alessandro d'Este di fare pratiche relative a certi benefici spagnoli. Nel 1622, per i buoni uffici del cardinale Alessandro e del cardinale Gozzadini, fu nomina o residente del duca di Modena presso la corte romana. Subito cominciò ad occuparsi della causa intentata dal duca Cesare alla Camera apostolica per la restituzione di certi beni (fra i quali, principalissimo, la valle di Comacchio) che gli erano stati tolti all'epoca della devoluzione di Ferrara e che egli, con ragioni elaborate da una commissione di avvocati, sosteneva essere stati suoi possessi allodiali. La causa si trascinò per molti anni senza che il duca riuscisse ad avere soddisfazione. Cominciò il C. fin d'allora ad occuparsi anche (e continuò a farlo per tutta la durata della sua residenza) della vendita dei luoghi del Monte Estense e di tutte le pratiche ad esso relative. Anche i molti altri affari che ebbe a trattare furono d'ordinaria amministrazione: la politica estera del duca Cesare fu infatti pressoché nulla. Il C. si adoperò perché fossero conferiti benefici ecclesiastici al principe Borso d'Este, figlio del duca; per evitare che venisse effettuato un taglio del fiume Reno, che avrebbe danneggiato certe campagne modenesi; per la salvaguardia degli interessi dei cittadini modenesi che possedevano beni nel Bolognese; perché s. Contardo d'Este fosse aggiunto al martirologio; e simili.
Morto il cardinale Alessandro, il C. isieme con Camillo Molza fece l'inventario dell'eredità; prese possesso a nome dell'erede, la principessa Giulia d'Este, della villa di Tivoli e curò per parecchi anni l'amministrazione dei poderi annessi; prese in custodia e tenne per qualche tempo nella sua casa molte delle cose mobili lasciate dal defunto, in particolare i libri, i quadri e l'archivio. I quadri e disegni, che secondo un catalogo pubblicato da G. Campori (Racc. di catal. e invent. ined., Modena 1870, pp. 57 ss.), erano quasi un migliaio, furono poi spediti a Modena, via mare da Civitavecchia a Livorno; i libri (in trenta casse) furono dati ai padri teatini; gli altri mobili furono parte venduti, parte inviati a Modena.
Dopo la morte del duca Cesare, il nuovo duca, Alfonso III, nominò in luogo del C. il Molza, pur dicendosi soddisfattissimo dei servigi del C. al quale offrì la carica di suo consigliere di giustizia. L'offerta non fu accettata, e il C. restò a Roma. Ebbe contrasti con la Camera ducale, che lo diceva suo debitore, mentre egli se ne diceva creditore. Fulvio Testi in una sua lettera scrive addirittura che il C. si era appropriato di 10.000 scudi dell'eredità del cardinale. Continuò ad esercitare l'avvocatura sino a tardissima età. Infatti, a un suo nipote che nel 1662 lo esortava a tornare ad abitare a Modena rispondeva che "il consiglio potrebbe praticarsi quando non vi fossero mezza dozzina di processi rotali importanti".
Morì, probabilmente a Roma, nel 1664.
Fonti e Bibl.: Modena, Deputaz. di storia patria, Archivio Carandini, bb. 6, 7, 58, 59; Arch. di Stato di Modena, Arch. Estense,Ambasciatori..., Roma, bb. 164, 168, 169, 174, 175; Ibid., Particolari, b. 285; Modena, Bibl. Estense, Racc. Ferrari,Moreni,Famiglie modenesi, b. 30; F. Testi, Lettere, a cura di M. L. Doglio, Bari 1967, adIndicem; L. v. Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, ad Indicem.